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Una mamma su tre in casa famiglia è italiana, nel 50% dei casi perché senza dimora

Lo rivela un’indagine dell’associazione Ain Karim, attiva da 25 anni con 422 donne accolte. Domani un convegno a Roma

Pubblicato:13-10-2022 18:48
Ultimo aggiornamento:13-10-2022 18:48

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Roma, 13 ott. – Una mamma su tre che viene accolta nelle case famiglia del nostro Paese, insieme al suo bambino, è italiana e nel 50% dei casi il motivo che la spinge in queste strutture riguarda la questione abitativa: è senza dimora. Inoltre, 1 donna ogni 5 soffre di problemi di salute mentale, dipendenze o violenze. Tra le mamme over 35 aumentano le vittime di violenza. È questa la fotografia scattata dall’associazione Ain Karim, una ‘casa famiglia diffusa’ che opera a Roma sul territorio del quartiere Tiburtino a favore del nucleo madre-figlio, quando questo si trova in una condizione di disagio, fragilità e solitudine. In 25 anni questa struttura ha accolto 422 mamme di età media 28 anni. Nel 73% dei casi sono donne maggiorenni dai 18 ai 35 anni; nel 21% over 35 e, infine, un 6% di minorenni. Per quando riguarda la nazionalità, il 27% sono italiane, il 36% europee, mentre il 37% extra europeo.

L’indagine completa sarà presentata domani a Roma al convegno ‘Dall’accoglienza all’autonomia. 25 anni di impegno di una Casa Famiglia per donne con bambini, la strategia per il traguardo‘. Evento promosso dall’Assessorato alle Politiche sociali e alla Salute di Roma Capitale nella Sala della Protomoteca, in Campidoglio, insieme alla presidente dell’associazione Ain Karim, Paola Lamartina, e al presidente del Coordinamento nazionale delle comunità di tipo familiare per i minorenni, Gianni Fulvi.
“Le problematiche che hanno spinto le donne nelle case famiglie sono cambiate negli ultimi 25 anni, dal 1997 al 2022– chiarisce Marzia Saglietti, ricercatrice della Sapienza Università di Roma, che ha curato lo studio- si passa dalle donne sole e senza casa, con eventuali problemi legati alle dipendenze, alle donne con problemi di salute mentale che hanno subìto tratta e violenza, i cui figli spesso hanno problemi di salute. È emerso anche un maggior coinvolgimento del tribunale dei Minorenni e dei servizi sociali”.

I TEMPI DELL’ACCOGLIENZA: DA 9 MESI A 4 ANNI

Altro nodo problematico sono i tempi dell’accoglienza: “All’aumentare dell’età della donna aumenta anche la permanenza media della coppia madre-bambino, che varia da 9 mesi a 4 anni”, precisa Saglietti. “Pensare che un ragazzino piccolo possa stare 3 anni in una comunità è troppo– prosegue Fulvi- bisogna accelerare i tempi sui quali decidere. Bisogna riflettere su come emancipare le donne che hanno un’esperienza legata alla solitudine, alla violenza, alle dipendenze e a difficoltà di tipo psicosociali. Donne che tentano di rimettersi in piedi in assenza di una rete parentale adeguata”.
Guardando poi alla provenienza delle donne accolte, Fulvi spiega che in passato “le case famiglia accoglievano prevalentemente madri italiane che restavano incinte fuori dal matrimonio e si allontanavano dalla propria famiglia per un senso di vergogna. Poi il bisogno di accoglienza si è spostato sulle straniere che si ritrovavano sole a gestire la maternità. Infine, è ripreso con l’aumentata richiesta dei tribunali per i minorenni di inserire i minori e le madri in queste strutture per verificare il recupero della capacità genitoriale in seguito alla riforma della Giustizia minorile. Questo perché il sistema giudiziario deve dimostrare di aver fatto di tutto per garantire al minore la sua famiglia- spiega il presidente Cncm- tenendo conto anche di alcune condanne che la Cedu ha emesso nei confronti dell’Italia”.
Fortunatamente non c’è un’alta percentuale di separazioni madre-bambino. “Una mamma su due recupera le competenze parentali- ricorda Saglietti- mentre in un caso su dieci si assiste alla separazione dal figlio: il 6% dei minori va in adozione/affido e il 4% va in un’altra comunità”. Tra chi non ce la fa a recuperare la capacità genitoriale, invece, emerge “un 25% dei casi che si separa dal figlio e un altro 25% che scappa con il bambino senza sapere dove andare”.


DUE OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE: CASA E LAVORO

Torna quindi centrale il problema dell’abitazione. “Per affrontare i nodi ‘casa’ e ‘lavoro’ abbiamo invitato tre assessori- continua Fulvi- Barbara Funari assessore alle Politiche sociali e alla Salute di Roma Capitale; Monica Lucarelli, assessore alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità di Roma Capitale; e infine Tobia Zevi, assessore al Patrimonio e Politiche Abitative di Roma Capitale. Queste donne non sono pienamente autonome e le associazioni si fanno carico di loro con strutture per la semiautonomia. Bisogna però impegnarsi sul tema lavoro e casa, perché se le donne non raggiungono questi due obiettivi non sapranno mai dove andare. Come vogliamo emancipare queste donne?“, chiede in conclusione Fulvi.
Il lavoro di rete è centrale per il raggiungimento dei due obiettivi: “È certamente migliorato negli ultimi 10 anni, ma resta critico il supporto alla formazione e all’orientamento della donna, che è indispensabile– afferma la studiosa della Sapienza- Inoltre, il finanziamento è integrato per il 75% dei casi con risorse dell’associazione e del volontariato con punte dell’80% negli ultimi 10 anni. Il 100% dei casi che transita in semiautonomia- termina la ricercatrice- ha beneficiato di finanziamenti aggiuntivi di servizi/supporto”.

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