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Soldati e stressati, i nostri militari “non sono supereroi”

Ne ha parlato con fermezza Carlotta Lorefice, militare, psicologa e vicepresidente nazionale del Sindacato Unico dei Militari

Pubblicato:12-04-2024 16:40
Ultimo aggiornamento:12-04-2024 16:42
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ROMA – “Nell’immaginario collettivo il militare è raffigurato massiccio, armato e più vicino a un supereroe che a un essere umano. In realtà è un uomo che ha avuto il coraggio di scegliere il mestiere delle armi e il privilegio di poter essere quotidianamente forgiato nel corpo e nello spirito da un addestramento costante che gli permette di rispondere in maniera pronta ed efficace ai diversi scenari. E’ vero che i militari hanno stili di coping e strategie adattive migliori, l’addestramento permette di forgiarli nel corpo e nello spirito, e di avere risposte celeri, efficienti ed efficaci per poter rispondere al meglio anche a situazioni molto particolari e scenari importanti. Ma ciò non toglie che una minima parte, potrebbe avere risposte meno adattive ed essere sotteso all’insorgenza di stress“. Il primo convegno nazionale del Sindacato Unico dei Militari (S.U.M.) che si è svolto ieri sera a Roma alla Pio IX ha affrontato il concetto di benessere psicologico e di stress nei militari, un tema spesso taciuto, in nome di uno stigma: quello della vergogna di chiedere aiuto. Ne ha parlato con fermezza Carlotta Lorefice, militare, psicologa e vicepresidente nazionale del sindacato.

“Il soldato, uomo o donna, è chiamato ad assolvere una missione molto spesso in situazioni ambientali non permissive e difficili, lontano dalle sue routine, dai suoi più cari affetti e sprovvisto di ogni comfort. Il soldato agisce una scelta di vita prima ancora che professionale che lo espone frequentemente a stress stra-ordinari. Siamo più addestrati di altri, ma questo non vuol dire che per avere una risposta disadattiva ci deve essere necessariamente un trauma. Anche una continua e incessante richiesta esterna, su chi ha risorse meno adattive può provocarne l’insorgenza”.
Lorefice ha sottolineato: “E’ importante avere strategie adattive allo stress individuale e a quello collettivo. Molte indagini da parte della Difesa per il benessere dei militari sono state effettuate, ma non può essere sottaciuto che ai minimi livelli ordinativi sono disconosciute perché sono indagini qualitative e quantitative top-down, ad esempio- spiega la vicepresidente del S.U.M.- ed è importante monitorare se ci sono state molte richieste di trasferimento, anche solo da un ufficio a un altro, perché potrebbe essere un indice di malessere. Non sfugge inoltre che un certo clima è sotteso alla leadership che influisce sulle risposte di gruppo”.

Ci sono poi i traumi, gli eventi shock vissuti da chi va in teatro o vive missioni difficili e segnali ‘preoccupanti’ che bisogna saper cogliere. Nel congresso ne ha parlato la psicoterapeuta Virginia Ciaravolo che ha descritto il comportamento di quei militari che chiedono aiuto, e che lei segue in terapia, fuori dal contesto militare per non esser riconosciuti: “Si chiama sindrome di adattamento e ha tutta una serie di sintomatologie fisiche e psicologiche e interferisce nel quotidiano. Si va dalla depressione– spiega la specialista- alle turbe sonno- veglia, all’insonnia, a flash back, incubi e ricordi intrusivi. Non ci voltiamo dall’ altra parte- il suo appello- bisogna accorgersi da questi segnali se un collega sta male, fare quadrato e inviarlo a uno specialista”. Il sindacato S.U.M. ha per questo siglato una convenzione con l’Osservatorio lavoro e sicurezza di cui ha parlato la psicologa Flavia Margaritelli esortando a saper cogliere “gli eventi sentinella”.


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