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Ha cantato amore e disagio, 22 anni senza Fabrizio De Andrè

Era l'11 gennaio del 1999 quando un carcinoma polmonare lo uccise, un mese prima di compiere 59 anni

Pubblicato:11-01-2021 12:04
Ultimo aggiornamento:11-01-2021 12:04

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ROMA – Raccontando l’amore, il disagio, la rabbia e la malinconia, in un contesto di realtà espressa in un modo che lo distingueva (e lo distingue) rispetto agli altri, Fabrizio De Andrè ha unito tutta l’Italia nell’amore per le sue canzoni, per la sua musica. Era l’11 gennaio del 1999 quando un carcinoma polmonare lo uccise, un mese prima di compiere 59 anni. Aveva scoperto la malattia tempo prima, cosa che non gli aveva impedito di lavorare a ‘Notturni’, un disco che non riuscì mai a completare. Oltre diecimila persone parteciparono commosse al suo funerale per salutare un uomo che, con il suo stile compositivo pungente e provocatorio, aveva portato alta la bandiera dell’italianità, tanto che la scrittrice Fernanda Pivano in occasione del suo funerale aveva dichiarato: “Non doveva andarsene, non doveva. È stato il più grande poeta che abbiamo mai avuto”.

De Andrè era nato nel quartiere genovese di Pegli il 18 febbraio 1940. Di lui è stato scritto tutto: dalla passione per le matite, le Faber-Castell, che gli sono valse l’appellativo ‘Faber’ dal suo amico Paolo Villaggio, fino alla voglia di rappresentare il disagio, raccontando storie di emarginati, ribelli e prostitute, canzoni considerate come vere e proprie poesie. Come in ‘Via del Campo’, senza dimenticare realtà come il carcere di Poggioreale, con la ballata ‘Don Raffaè’. Una scelta stilistica di De Andrè fu proprio quella di far sposare musica e dialetto, quest’ultimo veniva infatti utilizzato da Faber come strumento per descrivere determinate realtà proprio dal loro interno, con gli occhi di un osservatore partecipante.

De Andrè è stato inoltre uno dei capostipiti del progettare i dischi come un insieme di racconti, dove ogni canzone realizza un pezzo di un mosaico, che nel suo complesso va costruire una storia più grande, l’album, appunto. È il caso di dischi come ‘Storia di un impiegato’ e ‘La buona novella’. Tantissimi i temi trattati nelle sue canzoni: dalla prostituzione, con ‘La canzone di Marinella’ e ‘Bocca di rosa’ al mondo dei transgender e dei Rom, con ‘Prinçesa’ e ‘Khorakhané’ (A forza di essere vento). E ancora, il dramma della guerra con ‘La guerra di Piero’, passando per una delle piaghe di quegli anni, il terrorismo, con il brano ‘Il bombarolo’ e la canzone ‘Una storia sbagliata’, volta a non dimenticare il controverso omicidio di Pasolini, fino all’accenno di racconto del rapimento subìto da lui e dalla moglie nel 1979, con i brani ‘Franziska’ e ‘Hotel Supramonte’. E infinite canzoni volte a raccontare l’amore in tutte le sue sfumature con brani come ‘Verranno a chiederti del nostro amore’, ‘Amore che vieni, amore che vai’ e ‘La ballata dell’amore cieco’. Ma anche nelle canzoni d’amore, in apparenza le più leggere per tematiche, Faber celava sempre uno spaccato di contemporaneità, come nel caso di ‘Dolcenera’, dove di sfondo alla storia d’amore c’è la violenta alluvione che ha colpito Genova nel 1970. Ognuna, a modo suo, ha segnato il percorso di Fabrizio De Andrè nella strada verso l’eternità. 


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