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Spedizione Everest, Ietta (UniSi): “Lo studio indaga i meccanismi della vita riproduttiva”

La professoressa di Fisiologia dell'Università di Siena commenta il progetto 'Lobuje Peak-Pyramid che sta coinvolgendo 22 italiani: "L'obiettivo è rilevare la risposta adattativa ad alta quota delle donne in età fertile e in menopausa"

Pubblicato:08-11-2022 20:43
Ultimo aggiornamento:08-11-2022 20:43

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ROMA – “Grazie a questo studio ci aspettiamo di individuare molecole, proteine e geni sia che sono in grado di rispondere all’adattamento imposto dall’alta quota, sia che non rispondono a questo ‘stress’ e che – valute poi in condizione di ossigenazione iniziale, cioè a livello del mare – risultano alterate e patologiche. Questo potrebbe portare all’individuazione di molecole che finora sono risultate sconosciute o non rilevanti nel processo di adattamento all’ipossia”. A dirlo è Francesca Ietta, professoressa associata di Fisiologia all’Università degli Studi di Siena (Unisi), dipartimento di Scienze della Vita che partecipa al Progetto Internazionale dal titolo ‘Lobuje Peak-Pyramid: Exploration & Physiology 2022’, che sta coinvolgendo un gruppo di 22 italiani, uomini e donne, di età compresa tra i 20 e i 60 anni e che è seguito e supportato dall’agenzia Dire.

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Questo adattamento all’alta quota non è un esperimento fine a se stesso o che comunque può interessare solo le donne sportive che fanno trekking ma sono scoperte che interessano la popolazione generale che abitualmente vive a livello del mare. “Certamente – sottolinea l’esperta – questo studio indaga a 360 gradi i meccanismi che possono essere riproposti nella vita riproduttiva”. “Le partecipanti a questa spedizione – aggiunge la professoressa Ietta – sono state testate con prelievo ematico e con il test della saliva prima della partenza, a vari livelli di salita durante il trek nei laboratori Piramide, durante la discesa e saranno indagate subito al rientro in Italia per testare i parametri una volta tornati a livello del mare. Ma c’è di più: i 22 componenti saranno avviati a nuovi test a distanza di tre mesi dalla conclusione del viaggio per poter davvero capire se eventuali danni rilevati possano essere considerati reversibili”.


“Il campione di donne arruolate nella spedizione è variegato ed è composto da donne in età fertile e altre in menopausa over 50. La risposta adattativa che ci aspettiamo sarà diversa per età ma – precisa la professoressa – non deve essere necessariamente patologica”.

Gli adattamenti agli ambienti estremi sono sempre affascinanti perché fanno emergere delle risposte del corpo umano che, in condizioni ‘normali’, non possono essere rilevate. Quindi questo studio è davvero interessante e può accendere i riflettori su geni e proteine che magari sono ‘sottovalutati’ o ‘poco considerati’ nei meccanismi riproduttivi nella donna”, conclude Ietta.

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