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Spedizione Everest, ecco cosa succede alla fertilità in alta quota: parla l’esperto

La scarsa quantità di ossigeno in alta quota può ridurre in maniera significativa la motilità degli spermatozoi, ma non solo: ecco tutti i test che verranno condotti sugli scalatori che del 'gruppo dei 22' che in questi giorni sta salendo sull'Himalaya

Pubblicato:25-10-2022 13:04
Ultimo aggiornamento:28-10-2022 13:38

Progetto Himalaya
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ROMA – L’alta quota può impattare sulle persone che normalmente vivono a livello del mare. A volte si tratta anche di ripercussioni negative, fortunatamente in alcuni casi reversibili, su diversi aspetti della fisiologia umana: dalla fertilità alla struttura e funzione muscolare, alla funzione respiratoria e cardiovascolare alla composizione corporea ed ematica, nonché all’alterazione del sonno. Per indagare questi aspetti è in corso fino all’8 novembre 2022 il Progetto Internazionale dal titolo ‘Lobuje Peak-Pyramid: Exploration & Physiology 2022‘ che sta coinvolgendo un gruppo di 22 italiani, uomini e donne, di età compresa tra i 20 e i 60 anni e che è seguito e supportato dall’agenzia Dire.

Il gruppo dei 22, dopo un anno di preparazione fisica e mentale, arriverà alla base dell’Everest presso la Piramide di Desio, osservatorio e laboratorio internazionale a 5000 metri di quota. Mentre solo 4 tra loro, capitanati da Gaetano Di Blasio, tenteranno, nei giorni di permanenza in Piramide, la salita del Lobuje Peak di 6.119 m tra le montagne mozzafiato dell’alto Khumbu. Per capire come l’alta quota impatta sulla fertilità l’agenzia di stampa Dire ha intervistato Arcangelo Barbonetti, professore associato di endocrinologia presso università dell’Aquila (Univaq).

IMPATTO DELL’ALTA QUOTA SULLA FERTILITA’ MASCHILE E FEMMINILE

“La UOC di Andrologia Medica dell’Ospedale San Salvatore dell’Aquila- spiega all’agenzia Dire il professor Arcangelo Barbonetti- si occupa della diagnosi e cura dell’infertilità, oltre a sviluppare, come centro universitario, progetti di ricerca clinica e di base sulla riproduzione umana. Per questo progetto specifico verranno condotte analisi biomolecolari sui campioni seminali degli scalatori e ricercatori coinvolti nella spedizione. Negli spermatozoi verranno studiati marker cellulari di stress ossidativo e di apoptosi, il processo noto come morte cellulare programmata e i risultati delle indagini eseguite al rientro della missione saranno comparate con quelli dei test condotti prima della partenza per verificare il possibile impatto delle condizioni climatiche e ambientali tipiche dell’alta quota su tali processi biologici che assumono un ruolo eziopatogenetico sempre più consistente nell’infertilità maschile. Importanti informazioni potrebbero derivare dall’integrazione dei nostri dati con quelli prodotti sugli stessi campioni presso i laboratori del professor Libori Stuppia, dove verranno indagate le possibili modificazioni epigenetiche del seme”.


“Indagini di questo tipo- aggiunge il professor Barbonetti- possono essere condotte con relativa facilità sul seme mentre più complesso è lo studio dell’ovocita. Informazioni sulla funzione riproduttiva delle donne coinvolte nella spedizione saranno comunque prodotte dai dosaggi ormonali su campioni di sangue cui tutti i partecipanti saranno sottoposti prima, durante e dopo la missione”.

COSA SI ANALIZZA NEL LIQUIDO SEMINALE?

“Il progetto- sottolinea l’esperto- si propone di sviluppare i dati prodotti da una precedente esperienza di ricerca analoga condotta dallo stesso team di ricercatori nel 2016 quando si dimostrò che l’esposizione per alcuni giorni alle condizioni ipossiche dell’alta quota si associa ad una riduzione significativa della motilità degli spermatozoi. La motilità è uno dei parametri funzionali dello spermatozoo che più risente dello stress ossidativo prodotto da radicali liberi. Ricerche recenti hanno dimostrato che lo spermatozoo umano, quando sottoposto a specifiche condizioni ambientali che potremmo definire ‘sfavorevoli’, è in grado di generare esso stesso radicali liberi subendone i danni biologici. Questo può portare ad alterazioni della membrana cellulare con conseguente perdita della motilità ma anche a danni a carico del materiale genetico, cioè il DNA dello spermatozoo. Tutti i campioni saranno quindi sottoposti non soltanto ad accurata analisi computerizzata della motilità, ma anche a valutazioni avanzate di laboratorio che permettono la misurazione della produzione di radicali liberi e lo studio dell’integrità genetica. Ovviamente la produzione degli spermatozoi, detta spermatogenesi, è un processo complesso che avviene nel testicolo in virtù di fini meccanismi di regolazione ormonale; di conseguenza modificazioni endocrine indotte da condizioni ambientali estreme potrebbero giocare un ruolo importante e ancora tutto da dimostrare”.

LE PROSPETTIVE DI QUESTO STUDIO SULLA FERTILITA’ MASCHILE

“Riuscire a dimostrare che condizioni estreme come l’ipossia da alta quota portano ad alterazioni funzionali dello spermatozoo che hanno alla base lo stress ossidativo aprirebbe certamente scenari interessanti dal punto di vista farmacologico. Oggi disponiamo infatti di molti preparati antiossidanti di facile accesso che potrebbero trovare impiego in un’ottica di prevenzione per le popolazioni più a rischio”, precisa Barbonetti.

SPERMATOZOI E ALIMENTAZIONE: IL MENU’IDEALE

“La nutrizione è oggi entrata a pieno titolo tra gli interessi degli andrologi e della medicina della riproduzione nell’ottica di valorizzare regimi alimentari in grado di ridurre i danni determinati dai già citati radicali liberi. Bisogna considerare che una causa maschile isolata di infertilità è identificata nel 30% delle coppie con problemi di concepimento e dal 30 al 70% di questa fetta presenta problemi di qualità del seme connessi allo stress ossidativo. Da qui l’attenzione crescente verso strategie antiossidanti preventive e terapeutiche nutrizionali, nutraceutiche e farmacologiche. In tale scenario, questo studio, con i suoi obiettivi, esprime tutta la sua attualità, rispondendo alle richieste sempre più pressanti della comunità scientifica di settore”, conclude Barbonetti.

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