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Tensioni in Tunisia, il sociologo: “I migranti vanno integrati, non ghettizzati”

Abdessatar Sahbani: "La situazione è peggiorata da quando il presidente Kais Saied ha parlato di una presunta sostituzione etnica"

Pubblicato:05-07-2023 15:48
Ultimo aggiornamento:05-07-2023 18:22

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ROMA – In Tunisia soffrono i cittadini che sfuggono alla povertà imbarcandosi alla volta dell’Europa, ma anche tanti migranti subsahariani che subiscono razzismo e ghettizzazione. Un fenomeno, questo, che genera solo inutili tensioni. L’analisi è del sociologo Abdessatar Sahbani e trova conferma nella cronaca più recente: a Sfax, città di arrivo per i migranti africani dalla Libia, ieri si sono verificati scontri tra stranieri e residenti per il terzo giorno consecutivo. Lunedì, un quarantenne tunisino ha perso la vita, pugnalato a morte presumibilmente da un uomo originario del Camerun che, come ha riferito la polizia, è stato arrestato con altri due connazionali.

L’intervista dell’agenzia Dire al docente dell’Università di Tunisi, si tiene a Roma a margine del ‘Sister-led dialogue on migration’, una tavola rotonda organizzata dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), in partnership con il Global Solidarity Fund, per dar voce sul fenomeno migratorio a migliaia di missionarie da tante parti del mondo. L’occasione è anche la prospettiva della firma di un memorandum d’intesa tra Bruxelles e Tunisi che prevede stanziamenti per 900 milioni di euro per frenare le partenze.
“L’Ue esternalizza le frontiere” commenta Sahbani, che continua: “La risposta tunisina sulle migrazioni non andrebbe decisa in base a quanti soldi l’Ue è disposta a dare ma dovrebbe invece seguire un proprio approccio politico”.

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LO SLOGAN DE “LA TUNISIA AI TUNISINI”

Una politica che, suggerisce il docente, “risolva prima di tutto il razzismo: non si capisce perché i tunisini possono sognare l’Europa ma i subsahariani non possono venire in Tunisia”.
Un’insofferenza, quella verso i migranti di pelle nera, che per l’analista “è peggiorata da quando nel febbraio scorso il presidente Kais Saied ha parlato del rischio della ‘sostituzione etnica’”. Così, secondo Sahbani, “invece di ammettere che i migranti svolgono tanti lavori, contribuendo alla nostra economia, si cede alla vuota retorica della ‘Tunisia ai tunisini'”.
Uno slogan, spiega il sociologo, rilanciato da chi propugna la “tunisificazione del Paese”, ma che non ha senso. “Ci dimentichiamo”, sottolinea Sahbani, “che la Tunisia nel corso della storia ha sempre accolto tanti stranieri, come gli andalusi o i mori, che si sono tutti ben integrati, al punto che il nostro continente deve il nome alla prima antica denominazione della Tunisia, ossia ‘Ifriqiya’, da cui Africa”.

LA PROPAGANDA USATA PER MASCHERARE I TEMI REALI

I migranti dunque “non devono diventare una scusa per camuffare i reali problemi politici che la Tunisia sta attraversando”, a partire dalle accuse di autoritarismo che una parte dell’opposizione muove a Saied, da quando ha sciolto governo e parlamento, riformato la Costituzione e assunto maggiori prerogative, non senza arrestare alcuni dissidenti, mentre l’economia a picco incoraggia l’emigrazione via mare.

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E’ ora di ripensare le cose“, suggerisce Sahbani, “regolarizzando coloro che lavorano e donano tanto alla nostra società in termini economici e di multiculturalismo, e garantendo loro l’integrazione sociale, scolastica e sanitaria”. Infine, dice Sahbani, “dobbiamo risolvere il razzismo, di cui soffre anche il 10-15% dei tunisini di pelle nera“. Il docente conclude: “Per fortuna è stata varata la legge che criminalizza ogni forma di razzismo ed esclusione razziale”.

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