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Il rapper Gims attacca Tunisi e cancella il concerto: “Disumano espellere i migranti in Libia”

La scorsa settimana ha destato grande eco sui media internazionali la fotografia dei cadaveri di una mamma abbracciata alla sua bambina, morte nel tentativo di sopravvivere al deserto

Pubblicato:01-08-2023 18:01
Ultimo aggiornamento:01-08-2023 18:01

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ROMA – Anche il noto rapper congolese Maitre Gims scende in campo per i diritti dei migranti e richiedenti asilo, che la Tunisia è accusata di espellere illegalmente nelle zone desertiche di Libia e Algeria, oltre i propri confini. Il cantante ha infatti deciso di annullare il concerto in programma l’11 agosto prossimo sull’isola di Djerba, denunciando sul suo profilo Instagram che “bambini, donne, uomini, espulsi dalla Tunisia alla Libia, vivono in condizioni disumane. Non posso mantenere l’appuntamento preso per l’11 agosto. Non so dove siano le soluzioni- ha aggiunto- ma questa angoscia estrema è insopportabile”.

La scorsa settimana ha destato grande eco sui media internazionali la fotografia dei cadaveri di una mamma abbracciata alla sua bambina, morte nel tentativo di sopravvivere al deserto. Per loro si è anche tenuto un sit-in a Milano sabato 29 luglio di fronte al Consolato tunisino organizzato dall’associazione Refugees in Libya, dal Collettivo degli Attivisti dei Diritti Tunisini e dall’ong Mediterranea Saving Humans, per chiedere alle autorità libiche e tunisine che le salme di Fati Dosso e di sua figlia Marie – questi i loro nomi – siano rimpatriate in Costa d’Avorio, loro Paese d’origine. Gli attivisti hanno anche chiesto all’Unione europea e al governo italiano che “sia fatta luce sulle responsabilità che sono dietro alla loro morte”.

Fati Dosso, 30 anni, ha trascorso cinque anni in Libia con il marito, di origini camerunensi, e la figlia Marie. La piccola è morta come la mamma, di fame e di sete, a soli 6 anni. La famiglia, non riuscendo a trovare lavoro, aveva deciso di trasferirsi in Tunisia come molti altri migranti, ma qui da inizio anno si sono moltiplicate le aggressioni contro le persone originarie dell’Africa subsahariana, in particolare a Sfax, città prossima al confine che accoglie molti stranieri e da cui partono i barchini diretti verso le coste europee.


Ad aumentare le tensioni a Sfax secondo i difensori dei diritti dei migranti, sarebbe stato il discorso “razzista” pronunciato a febbraio dal presidente Kais Sayed, che ha definito l’arrivo dei migranti “una minaccia” per la Tunisia perché in grado di causare “una sostituzione etnica”. Nelle tensioni di luglio, un tunisino è stato accoltellato a morte e questo avrebbe generato l’espulsione di massa oltre confine, denunciato dalla Guardia di frontiera libica e dalle testimonianze dei migranti sopravvissuti.

Gli agenti di frontiera libici sostengono infatti di aver tratto in salvo “centinai di persone” nel deserto prossimo al confine. La stampa internazionale rilancia filmati che li ritraggono intenti a prestare soccorso ai migranti, provati dal caldo e dalla fatica. Mostrano però anche i corpi di persone ormai senza vita.
Di recente l’Unione europea ha stretto con il governo di Tunisi una partnership che prevede milioni di euro per sostenere l’economia tunisina ma anche mettere in campo azioni per limitare la partenza dei migranti. Leon Blanchaert, attivista di Mediterranea Saving Humans, condanna accordi di questo genere, perché “queste misure si sono rivelate mortali per le persone vulnerabili che cercano sicurezza e una vita migliore. È essenziale dare priorità alla protezione dei diritti umani e fornire canali sicuri e legali per la migrazione in conformità con il diritto internazionale”.

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