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A proposito di Indro Montanelli, il fascista salvato dalla democrazia

L'editoriale di Nico Perrone per Dire Oggi

Pubblicato:18-06-2020 15:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:31

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ROMA – Chiedo scusa ai lettori, oggi non parlerò dei (pochi) fatti politici, mi soffermerò sull’acceso dibattito nato dopo l’imbrattamento della statua di Indro Montanelli a Milano. Grande giornalista, grande capacità di scrittura, chi può negarlo; per me un pessimo uomo, che sposò il fascismo e tutto il suo credo.

Oggi va di moda il ‘contestualizzare’, ma è un discorso, se non si è ipocriti fino in fondo, che alla fine punta soltanto a trovare una giustificazione, una sorta di assoluzione. Io non ci sto, capisco l’obbedienza che può nascere quando c’è un manganello che ti indica la strada, ma ad un certo punto bisogna pure tornare all’essenza: alla fine c’è un torto e una ragione, c’è lo schifo e la bellezza. Ho poco spazio quindi mi perdonerete se sarò un pochino duro nelle affermazioni. Per me Montanelli uomo, con la divisa fascista, che si mette in posa in Africa e sposa una bambina «perché lì si usava così», non è un discorso che regge più di tanto. C’è un uomo adulto, nel pieno delle sue facoltà mentali, di alta cultura, per non capire che in quel momento sta organizzando uno stupro. Ho letto che si era pure lamentato perché la minore, sottoposta alla barbarie della mutilazione genitale, avesse difficoltà a provare piacere. Sulla vicenda ha pure scritto un libro, ha mirato pure al guadagno.

Per Beppe Severgnini, allievo di Montanelli e firma del Corriere della Sera, «Montanelli poi capì l’ingiustizia e l’anacronismo di quel legame; ma non negò, né rimosse, la vicenda. La giovanissima Destà andò poi in sposa a un attendente eritreo, e con lui fece tre figli: il primo lo chiamarono Indro». Per Severgnini «se un episodio isolato fosse sufficiente per squalificare una vita, non resterebbe in piedi una sola statua. Solo quelle dei santi, e neppure tutte». Ecco la sottile giustificazione, che alla fine non giustifica nulla. Il fascismo è stata una dittatura ma anche sotto il fascismo si poteva lottare per la giustizia. E a proposito di ragazze minorenni, vorrei ricordare la 17enne Maria Rosa Vitale, siciliana che nel 1939, in pieno fascismo, venne violentata. Lei rifiutò il matrimonio riparatore e denunciò il violentatore. Una ragazza del popolo, senza studi, appoggiata dalla famiglia, trascinò in giudizio i suoi aguzzini che furono condannati. Insomma, c’era il fascismo con il suo retaggio di violenza e sopraffazione e chi non ci stava; c’era Montanelli e tantissimi come lui che aderivano e sfilavano in parata, e chi non ci stava. Questo per dire che non c’è giustificazione per chi ‘stava’ dove voleva stare, non dove i tempi e il contesto li aveva messi. Tornando al tema, non stiamo parlando di statue ma di dignità, di rispetto, del coraggio di dire no a qualsiasi sopraffazione. Di questo stiamo parlando, non di statue. Dietro una professione, anche se svolta alla grande, ci devono essere questi valori. Altrimenti è una finzione. E se una ragazza di 17 anni, violentata, in pieno regime fascista, ha trovato il coraggio di denunciare per restare integra nella verità, ecco anche tutti noi quel coraggio dovremmo trovarlo ogni giorno per combattere le tante ingiustizie.


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