NEWS:

VIDEO | Fiori e frutta per colorare stoffe bio: ecco Ecofashion Agritessuti

Il marchio lanciato da 'Donne in campo' grazie a Cia presentato a Roma

Pubblicato:24-09-2019 15:51
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:44

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp











Precedente
Successivo

ROMA – Agricoltori, piccola industria, artigianato e alta moda si incontrano in Agritessuti, il marchio di filiera lanciato dall’associazione ‘Donne in Campo’ grazie a Cia-Agricoltori Italiani con l’obiettivo di sviluppare un fashion agricolo Made in Italy 100% ecosostenibile e presentato stamattina nel corso dell’iniziativa ‘Paesaggi da indossare-Le Donne in Campo coltivano la moda’ nella terrazza dell’auditorium Giuseppe Avolio a Roma.

Una filiera che sta nascendo, quella dell’ecofashion e degli Agritessuti, basata su tessuti naturali e tinture green realizzate con prodotti e scarti agricoli – dagli ortaggi alla frutta ai fiori alle foglie – ma che oggi può già contare circa 2mila aziende agricole attive nella produzione di lino, canapa e gelso da seta per un fatturato di quasi 30 milioni di euro con le attività connesse che nel prossimo triennio, se adeguatamente sostenute, potrebbe triplicare.


MERCATO DEGLI AGRITESSUTI CRESCIUTO DEL 78%

Sono queste aziende, molte al femminile, a rispondere a una domanda di capi sostenibili che in Italia è cresciuta del 78% negli ultimi due anni, con il 55% degli utenti disposto a pagare di più per capi ecofriendly. Ma sono anche pioniere di una rivoluzione verde in un’industria, quella tessile, che è seconda nella classifica delle più inquinanti al mondo, responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica.

“Si è stimato che nel 2014 in media gli europei possedevano il doppio dei vestiti posseduti nel 2000, negli Stati Uniti cinque volte in più- spiega in apertura dell’evento Pina Terenzi, presidente di ‘Donne in Campo’- Quanti di questi capi non vengono mai indossati? E poi, a parte l’impatto dovuto alla loro produzione, pensiamo alle microplastiche rilasciate nell’ambiente durante il lavaggio, le cui conseguenze sull’uomo sono ancora da approfondire. Da qui il nostro voler costruire qualcosa di più sostenibile per i nostri figli”.

Per la presidente Terenzi occorre, quindi, “guardare oltre l’idea del riciclare, per utilizzare fino in fondo quello che già c’è, che poi è l’anima degli agricoltori che non sprecano mai nulla”, ma anche “puntare alla certificazione di questi prodotti per dargli un’identità”.

Un “motivo di confronto da portare nei tavoli di filiera al ministero dell’Agricoltura” raccolto dalla vicepresidente della Commissione Agricoltura, Susanna Cenni: “C’è grande attenzione sulle tematiche ambientali- interviene la deputata- La sensazione è che questa attenzione sia alta nei momenti di grande mobilitazione ma che si faccia fatica a tradurre questi temi nei nostri comportamenti quotidiani. La vostra iniziativa va a fare questo, cambiando i comportamenti, valorizzando i produttori agricoli e, soprattutto, creando reti, che forse è il vero talento delle donne. Spesso le esperienze si fermano per la difficoltà di trovare uno sbocco sul mercato, a questo servono le reti”.

Sfatato il mito che il cotone sia la fibra più salutare perché “in realtà è tra le più inquinate e piene di pesticidi”, spiega Paola Ungaro, stilista e docente di Tipologia dei materiali tessili, che propone di optare “per un cotone biologico, che però è molto costoso”, ma anche di “ripristinare filiere in cui siamo forti, come la canapa. In generale- chiarisce- bisogna essere disposti a spendere un pochino di più per avere una fibra di qualità”.

Ed è l’attenzione alla qualità, al “produrre meglio” e al recuperare antichi tessuti e lavorazioni ad ispirare l’esperienza di Luisa Bezzi, a capo dell’omonima azienda agricola, eccellenza marchigiana nella produzione della canapa per il luxury Made in Italy, in contatto con i mercati asiatici e del Nord Europa che chiedono “prodotti di alta gamma dall’incredibile longevità”. Come anche i tessuti de ‘Il Nido di Seta’, azienda agricola cooperativa quasi tutta al femminile, che a San Floro, nel catanzarese, sta riportando alla luce le antiche tecniche di produzione della seta, completando la filiera, dal gelso alla fibra.

“Lo Stato ci aiuti nell’acquisto dei macchinari per chiudere la filiera della canapa”, è l’appello di Bezzi, mentre Silvia Cappellozza, ricercatrice Crea-Agricoltura e Ambiente, responsabile del Laboratorio di Gelsibachicoltura, pone l’accento sull’idea di riprendere con forza la sericoltura: “Abbiamo pensato che questa fibra avrebbe potuto portare ricchezza e sviluppo alla nostra società, come era una volta. Oggi la Cina produce l’85% della seta mondiale e tra poco ci darà il capo finito, mentre noi abbiamo due distretti, uno a Como, l’altro a San Leucio in Campania, che hanno vissuto molte difficoltà e se non vogliamo perdere questo ultimo segmento dobbiamo invertire la rotta. Per questo, anziché impiantare grandi filande con investimenti stratosferici- sottolinea la ricercatrice- abbiamo pensato di partire da una piccola produzione nel vicentino”.
A dimostrare che l’ecofashion non è più futuro ma è già realtà, Eleonora Riccio, Ethical Designer, testimonial degli Agritessuti di ‘Donne in Campo’, curatrice una sfilata che ha chiuso l’evento con un tuffo nelle stoffe biologiche e organiche tinte con ortaggi, fiori e frutti.

COLORARE UN TESSUTO AL NATURALE? PAROLA ALL’ECODESIGNER

Avocado, cipolla e un po’ di cavolo rosso, tutti rigorosamente biologici. No, non è il tagliere di un ecochef in cerca di estro per il piatto del secolo, ma la ‘cucina’ di una ecodesigner di alta moda con il pallino della sostenibilità. A raccontare alla Dire le antiche virtù di ortaggi e frutta nella colorazione dei tessuti è Eleonora Riccio, fashion designer laureata all’Accademia di Costume e di Moda di Roma, oggi imprenditrice di se stessa con il marchio ‘Eleonora Riccio-moda etica glamour’ attivo nella produzione di “moda di alta qualità, rivolta a chi desidera indossare capi raffinati, sartoriali, preziosi e soprattutto tinti con pigmenti naturali”.

Ed è proprio l’uso dei pigmenti naturali, estratti da frutta, ortaggi, radici, fiori, bacche e foglie, il punto di forza del progetto, che ha dato ad Eleonora la possibilità di diventare testimonial di Agritessuti, il marchio di filiera presentato stamattina dall’associazione ‘Donne in Campo’. “Ci sono piante che hanno una capacità tintoria molto più importante rispetto ad altre- spiega Eleonora, che nell’evento ‘Paesaggi da indossare’, ha curato una sfilata dei suoi capi- Dall’avocado, ad esempio, si estrae un colorante che è tra il salmone e il mattone, mentre dalla cipolla si ricavano i gialli e alcune tonalità di cipria, e dal cavolo rosso, il meno stabile tra gli ortaggi, i rosa e nuance che vertono sul turchese”.

Il procedimento per la colorazione dei tessuti sa di antico, ma trova nuova vita negli abiti di Eleonora: “Si procede inizialmente con una mordenzatura- precisa- le fibre vengono trattate con dei sali naturali e, dopo questo processo, si tingono i tessuti con i pigmenti naturali”. La biostilista, poi, sfata i falsi miti sulla poca resistenza delle colorazioni naturali: “Si pensa a volte che i coloranti sintetici artificiali siano più stabili rispetto a quelli naturali, ma in realtà non è così- sottolinea Eleonora- Se si va, ad esempio, in un museo i reperti archeologici hanno colori ancora molto accesi. Le aziende di moda, però, dal 1850 in poi hanno preferito utilizzare i coloranti artificiali e sintetici semplicemente perchè facilitano la produzione in serie”.

Ma cosa sono gli Agritessuti? “Agritessuti significa pensare ad una filiera sana di produzione- chiarisce la stilista- avere un’attenzione verso le persone che coltivano e producono cotone, canapa, lino, seta e tutti i tessuti naturali per arrivare alla messa in opera artigianale di un prodotto di moda che racconta le radici del nostro territorio e il lavoro di tante persone che sono dietro a ciò che si vede in passerella. Il marchio è nato con il mio nome- aggiunge- Dopo tante esperienze anche all’estero ho deciso che quello che poteva rendere particolare il progetto era dargli un valore diverso. Mi sono resa conto che nel settore moda c’era un gap: non c’era nessuna azienda che poteva offrire un progetto pret-a-porter di haute couture con tessuti biologici e tinture naturali. E poi ho pensato: per quale motivo una fashion victim non può vestire biologico e organico con degli abiti attraenti?”.

Nascono così le creazioni di Eleonora Riccio, che di una cosa è più che convinta: “Le donne in questo settore possono fare la differenza perché credo che abbiano una sensibilità maggiore verso il territorio e la natura. Come si pensa al biologico nel cibo- conclude- credo sia arrivato il momento di pensare al biologico e organico nell’abbigliamento”.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it