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Volontariato, Iori: “Avere cura di chi si prende cura”

ROMA -  “Per esperienza personale so quanto sia difficile per i familiari comprendere cosa porti un figlio a dedicare buona parte del

Pubblicato:04-02-2019 09:20
Ultimo aggiornamento:04-02-2019 09:20
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ROMA –  “Per esperienza personale so quanto sia difficile per i familiari comprendere cosa porti un figlio a dedicare buona parte del suo tempo libero agli altri, con i rischi che questo comporta. Anche perché scegliere di fare il volontario non significa ‘quando ho tempo vado in ambulanza’. Significa prendere un impegno preciso sapendo che una tua mancanza rischia di far saltare il mezzo di soccorso. Significa che se manchi, i tuoi colleghi dovranno faticare il doppio. Significa che in questo Stato, che affida il primo soccorso principalmente al volontariato, rischia di andare in tilt un servizio fondamentale”. La testimonianza di una volontaria della Croce rosa celeste di Milano è stata raccontata in anonimato. “E forse non è un caso”, commenta la senatrice Pd Vanna Iori in un intervento intorno al mondo dei soccorsi e del volontariato

Una realtà che è “spesso trascurata, perché silenziosa nel suo operare: caschi, tute, quasi senza volti, mai al centro delle telecamere o sulle prime pagine, eppure la presenza di chi salva vite non può essere percepita come scontata- ragiona Iori-. Si elogia la tempestività nei soccorsi, ma poco o nulla si racconta dell’esperienza in prima persona di chi vive a contatto con tragedie o con la morte, con esperienze di dolore che lasciano un segno indelebile nella vita di questi volontari. Quando sentiamo una sirena suonare all’impazzata, o li vediamo immersi nelle macerie, o al freddo accanto a un senzatetto, raramente ci si chiede chi sono e quali vissuti attraversano i loro gesti. Non sono supereroi, anche quando cercano di rimanere forti e determinati, senza mostrare le loro paure. Manifestare emozioni sembra non essere ammesso;  prevale un modello “neutro” e impersonale di aiuto in emergenza. I volontari e gli operatori spesso nascondono il loro coinvolgimento. Ma il distacco emotivo è possibile?   Cosa provano subito dopo aver gestito una situazione di emergenza? Quanto segna la loro vita? Il contatto con la malattia e la sofferenza sconvolge le certezze ordinarie, disorienta, costringe a guardarsi e a vedere i limiti. Avvicinarsi agli altri che cono in condizione di bisogno apre le domande radicali sulle fragilità esistenziali e sul perché del dolore”. “Questi volontari sono esposti a situazioni ad alta densità emotiva- prosegue Iori-. Proprio per questo devono aver cura dei loro sentimenti, per potere sostenere le relazioni difficili. La vita emotiva deve essere messa al centro dell’investimento formativo dei volontari.  Anche chi soccorre ha bisogno di soccorso. Può sembrare un paradosso, ma avere cura di chi si prende cura è un passaggio fondamentale per chi entra in contatto con il dolore degli altri. Non basta concentrarsi sul fare, sulle procedure indispensabili, quando il dolore emotivo, le lacrime dei parenti, il dolore dell’anima, ti chiede di provare a  lenire l’anima ferita dell’altro. Molte volte invano. Rientrando a casa i soccorritori non si lasciano alle spalle  il dolore che a volte sembra insuperabile. Per questo è essenziale affermare la centralità della cura emotiva, che non è buonismo né sentimentalismo. È capacità di entrare in relazione con l’altro, perché la fatica del lavoro di cura si fa insostenibile quando le difficoltà e le sofferenze si sedimentano nell’anima. Mentre recuperare l’umanità e ridare dignità ai sentimenti significa coltivarli come risorsa per non separare “curare” e “aver cura””.


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