ROMA – Propaganda russa, estrema destra e sinistra “anti-imperialista a metà”: secondo Leila Al Shami, attivista e blogger siriano-britannica, sono anche questi i nemici dei “citizen journalist” che documentano il conflitto e di chi – come gli White Helmets – “è in prima fila per salvare vite”. Fondatrice di ‘Tahrir-Icn‘, rete di lotta contro le dittature estesa dal Medio Oriente al Nord Africa, Al Shami ha pubblicato nel 2016 ‘Burning Country: Syrians in Revolution and War’. Con l’agenzia DIRE parla al telefono, dall’Inghilterra, di ritorno da una conferenza all’estero.
“Gli White Helmets lavorano con le donne e gli uomini delle comunità siriane assistendo le vittime dei bombardamenti aerei. Vanno nei luoghi colpiti rischiando la vita. Oggi sono vittime di una campagna di disinformazione e di teorie del complotto che mirano a screditarli. Ad alimentare queste teorie sono quasi sempre fonti russe o di estrema destra, amplificate poi da bot sui social o dalla cosiddetta sinistra anti-imperialista: tutta gente che non si trova sul campo, non ha modo di verificare e finisce solo per legittimare il governo di Bashar Assad”.
“Con i loro filmati gli White Helmets documentano il lavoro di soccorso e le conseguenze dei raid. Non sono giornalisti ma sono rispettati dalle comunità. E per le vittime dei bombardamenti rappresentano spesso l’unica salvezza”.
“Che accettino gli aiuti occidentali è ovvio. Non hanno scelta. Come potrebbero altrimenti far fronte ai bisogni umanitari, che sono enormi? Per salvare vite servono milioni di dollari e a oggi non esistono altre fonti di finanziamento. Accettare aiuti e il rischio di un condizionamento, però, non vuol dire trasformarsi in marionette dell’Occidente imperialista. Anche le ong che operano nella Striscia di Gaza sono finanziate dall’Unione Europea. E non c’è nessuno scandalo”.
“Vuole vedere tutto attraverso il prisma dell’imperialismo Usa. Pensa che gli Stati Uniti lavorino per rovesciare il regime di Damasco e si dimentica di Russia e Iran, che in Siria sono intervenuti in modo massiccio. È un approccio sbilanciato, spesso cieco rispetto alle testimonianze quotidiane dei ‘citizen journalist’: che sono sul campo e verificano le informazioni, ma sono trattati come complottisti”.
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