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Coronavirus, Bper: “Le mascherine? Lasciamole a chi ne ha bisogno”

La Banca popolare dell'Emilia-Romagna ha spiegato ai sindacati di non voler procedere a distribuire le mascherine al personale

Pubblicato:27-02-2020 16:45
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:04

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BOLOGNA – Mascherine? No, grazie: meglio lasciarle a chi ne ha davvero bisogno. E’ la linea scelta da Bper che, in coerenza con le direttive del ministero della Salute, ha spiegato ai sindacati di non voler procedere a distribuirle al personale “in quanto non utili a proteggersi in questa situazione, e anche motivando la valenza antisociale dell’accaparramento di tali forniture a discapito di quelle strutture, come gli ospedali, in cui ce n’è maggior bisogno”, raccontano Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca-Uil e Unisin che stanno discutendo con l’istituto di credito le misure per evitare i casi di contagio. Tra le idee emerse c’era anche quella di installare vetri per schermare il front office, ma “si è rivelata una misura non praticabile tanto per i tempi di realizzazione quanto per la variegata tipologia di strutture in cui operiamo”, segnalano i rappresentanti dei lavoratori.

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Un accorgimento che invece entra in vigore è quello per evitare assembramenti: all’ingresso delle filiali viene comunicato che è ammessa “la presenza massima di un numero di clienti pari al numero dei colleghi al lavoro nella filiale”. Nel fare il punto Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin esprimono innanzitutto vicinanza ai lavoratori in questa fase, specie a quelli che risiedono o operano nelle aree maggiormente colpite, a loro “va tutta la nostra solidarietà e costante attenzione”.


Di fronte all’emergenza Coronavirus, Bper ha attivato la propria unità di crisi interna, inviato una comunicazione al personale e diffuso un documento Faq aggiornato quotidianamente, anche in risposta alle istanze che di volta in volta i sindacati e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza stanno ponendo. Al momento le filiali chiuse sono quelle delle zone rosse: chi lavora qui, resta a casa con permessi retribuiti. Idem chi vive nei Comuni delle zone rosse.

Nelle discussioni in azienda sugli impatti indiretti del coronavirus, proseguono Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin, “è stata rimarcata, tra le varie esigenze, la necessità di venire incontro ai colleghi genitori residenti nelle zone in cui le ordinanze hanno di fatto chiuso asili e scuole: l’azienda ha concesso un permesso non retribuito di cinque giorni, soggette ad autorizzazione del responsabile dell’Unità operativa”.

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Quanto allo smart working, “al momento l’unica risposta è che si prevede un piano di mille attivazioni entro il 2021. L’infelice situazione attuale potrebbe trasformarsi in una opportunità, in questo ambito, per accelerare le tempistiche del progetto”. Agli hub-workers che vivono e lavorano in una delle regioni che hanno emanato un’ordinanza per contenere il coronavirus viene offerta l’opportunità di lavorare cinque giorni su cinque da casa, invece che solo alcuni giorni a settimana, senza recarsi presso le postazioni hub. Altra contromisura: la frequenza delle pulizie dei locali è stata portata a cinque giorni su cinque.

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