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Malattie rare, l’esperto: “Rendere operativo il fascicolo elettronico”

Maurizio Scarpa dirige il Coordinamento regionale del Friuli Venezia Giulia ed è coordinatore della Rete europea malattie metaboliche: "Sfruttare i fondi del Pnrr per ampliare l'uso delle tecnologie digitali"

Pubblicato:26-02-2022 13:40
Ultimo aggiornamento:26-02-2022 13:40

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ROMA – L’esperienza dell’utilizzo delle tecnologie digitali in ambito sanitario, fatta durante la pandemia “va amplificata sfruttando l’opportunità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Prima di tutto perché abbiamo ancora grosse difficoltà a comunicare tra ospedali, anche all’interno della stessa Regione. Invece, sarebbe ora che in Italia ci fosse la possibilità di condividere in modo trasparente i dati raccolti in un ospedale con tutta la rete ospedaliera, soprattutto nel caso di malati rari o cronici. Il fascicolo sanitario elettronico dovrebbe essere un obiettivo da raggiungere entro il 2023″. La sollecitazione viene da Maurizio Scarpa, pediatra, direttore del Coordinamento regionale Malattie rare del Friuli Venezia Giulia e coordinatore della Rete europea delle malattie metaboliche (Metabern), che ha approfondito le prospettive della digitalizzazione in sanità con l’agenzia Dire in vista della Giornata mondiale delle malattie rare, che come ogni anno si celebra il 28 febbraio.

IL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO

“Il fascicolo sanitario elettronico è uno strumento particolarmente importante – ribadisce l’esperto – perché consente di caricare al suo interno anche protocolli di emergenza, necessari nel caso in cui un malato necessiti di assistenza al di fuori del proprio territorio”. Sicurezza, continuità, maggiore consapevolezza rispetto alle malattie rare, secondo Scarpa, tutto questo potrebbe essere raggiunto implementando la tecnologia digitale in sanità.

“Il Covid – ricorda il coordinatore di Metabern – ci ha insegnato molte cose: che dal punto di vista di sanità pubblica il territorio è importante, che bisogna saper raggiungere i pazienti e che ci sono cose che possono essere fatte a casa, risparmiando il tempo che il paziente impiega per recarsi in ambulatorio e in ospedale e impiegandolo in modo più fruttuoso. Se durante la pandemia non avessimo avuto dei sistemi per raggiungere i pazienti per via telematica, questi ultimi sarebbero stati completamente isolati. Grazie alle tecnologie digitali, invece, queste persone hanno beneficiato di strumenti che hanno consentito di tenere sotto controllo la loro situazione, ma soprattutto di non farli sentire soli e di tenere in piedi il contatto con il proprio medico”.


L’ESPERIENZA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

“In Friuli Venezia Giulia – spiega Scarpa da responsabile della rete delle malattie rare regionale – è stata predisposta una piattaforma per la telemedicina, messa a disposizione già un mese dopo l’inizio della pandemia. Si è rivelata uno strumento particolarmente prezioso, perché il 60% dei pazienti del centro di coordinamento regionale provengono da altre Regioni e proprio grazie a questa piattaforma abbiamo potuto erogare servizi di controllo e consiglio, compilare dei referti medici con valore legale prescrivere esami, aggiornare terapie. Mentre alcuni medici hanno avuto qualche resistenza nell’accogliere questa novità, i pazienti l’hanno accolta come una importante opportunità di non interrompere il collegamento col proprio medico”.

LE TECNOLOGIE DIGITALI AL SERVIZIO DELLA DIAGNOSI

“Tutto questo riguarda l’assistenza, ma – precisa Scarpa – noi dobbiamo lavorare anche sulla diagnosi. Oggi abbiamo sistemi informatici e di bio-informatica che devono essere studiati e applicati per abbreviare i tempi di diagnosi o per individuare il rischio di malattie rare in soggetti ospedalizzati per altre patologie o che hanno avuto una diagnosi sbagliata. All’interno della Rete europea delle malattie metaboliche, in collaborazione con la Sissa di Trieste e ad altre aziende di bio-informatica e intelligenza artificiale, stiamo lavorando su questo per creare dei sistemi di dati ospedalieri (di laboratorio, provenienti da referti) che possono essere raccolti, letti, screenati e poi inseriti in database di intelligenza artificiale che aiutino a identificare segni che possono indicare il rischio di una malattia rara. Per arrivare a implementare questi sistemi rendendoli efficaci, c’è bisogno di accumulare quantità di dati molto grandi e per farlo occorrerebbe mettere in rete tutti i centri. Questo è un problema ancora più sentito nel settore delle malattie rare perché data la loro scarsa diffusione non consentono di raccogliere grosse quantità di dati”, sottolinea l’esperto.

DIAGNOSI E TERAPIE PRECOCI PER LE MALATTIE RARE

“Il mondo delle malattie rare è sempre meno ad esclusività pediatrica – spiega il pediatra esperto di malattie rare – Fino a qualche anno fa si pensava che la malattia rara, essendo di origine genetica, fosse di pertinenza pediatrica. Con gli studi più recenti si è invece visto che una fetta di pazienti adulti manifesta malattie che da giovane non aveva. È ovvio che, essendo le malattie rare per il 70% di origine genetica, già alla nascita c’è un problema che poi può manifestarsi precocemente o meno. Proprio per questo è necessario conoscere le malattie rare, così da identificarne i primi segni e sintomi, spesso condivisi con altre patologie più comuni, così da arrivare alla diagnosi non a 40 anni ma a 20 e consentire di assegnare una terapia non a 50 anni ma a 22. Le malattie rare possono manifestarsi in modo severo già nelle prime ore di vita. Tuttavia – chiarisce Scarpa – possono anche avere delle manifestazioni molto sfumate che, anche se invalidanti, sono compatibili con la vita familiare, sociale, lavorativa, sebbene non si ha mai una vita normale. Il paziente magari lamenta sintomi, piccoli acciacchi (scheletrici, neurologici, motori, cardiaci) per tutta la vita senza mai arrivare ad avere una diagnosi corretta”.

LA FORMAZIONE SULLE MALATTIE RARE

La difficoltà nell’individuare una malattia rara, soprattutto quando esordisce in età adulta e con sintomi comuni ad altre patologie più comuni, pone l’accento sulla necessità di rendere diffusa e omogenea la formazione del personale sanitario su questo tema. “A chi si occupa di malattie rare non interessa che il medico di medicina generale o il pediatra faccia una diagnosi di malattia rara – precisa lo specialista – Certamente, se la fa, tanto meglio. Ma quello che a noi interessa è il sospetto, la capacità di identificare dei segnali, di intercettare il paziente e inviarlo al centro di riferimento o allo specialista, così da iniziare un percorso di terapie anche con dieci anni di anticipo rispetto a tante situazioni. Per arrivare a questo, bisogna formare i medici a individuare i segni non solo delle malattie più comuni, ma anche delle malattie rare sapendo che queste ultime condividono problematiche sintomatologiche con le malattie più diffuse”.

Per questo, annuncia Scarpa, “nell’ambito del tavolo tecnico delle Regioni, Piemonte, Campania e Friuli Venezia Giulia si sono costituite come Regioni capofila per effettuare una ricognizione dei corsi dedicati alle malattie rare presenti nelle università italiane, capire che programmi hanno, creare un percorso comune e ragionare con la politica affinché questi programmi vengano inseriti nella formazione dei medici, ma anche degli infermieri, degli psicologi e di tutti gli operatori sanitari che entrano in contatto con le malattie rare”.

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