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Macché autonomia regionale, Meloni punterà al presidenzialismo

L'editoriale del direttore Nico Perrone

Pubblicato:24-03-2023 19:09
Ultimo aggiornamento:24-03-2023 19:09

giorgia_meloni
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ROMA – Se non ora, quando? Mentre Matteo Salvini e la Lega cercano di conquistare millimetri di visibilità davanti all’avanzata dei Fratelli d’Italia che vogliono, se non tutto, quasi, all’orizzonte appare già il prossimo scenario. Che non sarà il giochetto dell’autonomia differenziata del ministro Calderoli, che in molti già vedono destinata a naufragare nei mille passaggi parlamentari, ma il presidenzialismo, la trasformazione sostanziale della nostra Repubblica parlamentare.

Il momento è di quelli che capitano una volta, che vanno colti subito: una forte maggioranza di centrodestra, un’opposizione frammentata, destinata a marciare divisa sempre più anche per conquistarsi e togliersi pezzi di elettorato sin dalle prossime scadenze elettorali, le Amministrative e le Europee il prossimo anno. Se non ora, quando?

Certo, adesso il Governo è alle prese con varie emergenze: migranti, guerra in Ucraina e rapporti con l’Europa. A livello politico parlamentare si inseguono le polemiche del giorno su questo o quel tema, che sono come i petardi che qualcuno lancia più per attirare attenzione che per trovare la soluzione. Il presidente del Consiglio Meloni quindi per il momento lascerà fare, interverrà proprio quando sarà necessario, in attesa del momento migliore. Che arriverà, appunto, quando ci sarà il risultato delle elezioni europee del 2024.


Va ricordato che il sistema elettorale sarà proporzionale puro, quindi ogni partito sarà in guerra con tutti gli altri per strapparsi e conquistare un voto in più. Sarà quello il momento, dati alla mano, per misurare il peso reale delle forze in campo. Se Fratelli d’Italia, visti anche i grossi problemi interni che attraversano Forza Italia e Lega, risulterà ancora una volta la forza egemone, il partito leader attorno al quale la maggioranza del Paese (e dei poteri) vorrà organizzarsi, quello sarà il momento buono per lanciare la grande e rivoluzionaria riforma del nostro Stato.

Facile prevedere che i problemi che vivremo, che sicuramente saranno di più dei soldi che avremo in tasca, si accompagneranno ad una maggiore disaffezione verso la politica e le lungaggini burocratiche che da sempre accompagnano le decisioni prese dal Parlamento. Il clima ideale, soprattutto per un Paese che nel profondo è da sempre sensibile al richiamo del conductor unico, per tentare il grande passo.

A quel punto ci sarebbero due anni e mezzo di legislatura tutta incentrata sulla grande riforma, che per forza di cose vedrà tutto il centrodestra stringersi a coorte, e l’opposizione divisa che sicuramente in quel momento si starà dilaniando su chi ha preso lo zero virgola qualcosa in più rispetto all’altro, su chi deve guidare il Terzo Polo o il Movimento passato a 3 stelle, sulle varie anime politiche del Pd e su chi davvero le governerà.

La palla sarà in mano a Meloni, che giocherà la carta della semplificazione, dando direttamente al popolo la decisione di eleggere il suo presidente. Non ce la farà ad avere la maggioranza qualificata in Parlamento? Andrà al referendum confermativo con buone, strabuone possibilità di vittoria. Sarebbe bene, per l’opposizione tutta, cominciare a ragionare per tempo sulla risposta da dare e, soprattutto, su come convincere la maggioranza dei cittadini italiani della bontà della democrazia parlamentare. Serve lucidità, serve tempo per aprire un dibattito politico utile e fecondo, soprattutto perché, come ci diceva sempre il nostro saggio amico Stanislaw Jerzy Lec, “la scarsa memoria delle generazioni consolida le leggende”.

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