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Agenzia beni sequestrati non paga coadiutori? Giudice ordina pignoramenti

L'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata non pagherebbe da mesi i coadiutori. E ora è stato ordinato il prelievo di mobili

Pubblicato:22-09-2023 16:07
Ultimo aggiornamento:22-09-2023 16:07
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giustizia tribunale
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ROMA – “Il totale delle procedure che l’Anbsc (Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) deve pagare sono tre, per un importo complessivo di circa 150.000 euro, ma nessun pagamento viene effettuato, mentre vengo contattata telefonicamente ogni volta da soggetti diversi per richiedere documenti da me prodotti puntualmente ed esaustivamente nel corso della procedura nonché al termine della stessa e alla cessazione della carica per mia rinuncia”. A nulla valgono le diffide che tramite i suoi legali l’amministratrice giudiziaria Cristiana Rossi – che come coadiutore operava per il recupero di beni sequestrati alla mafia e restituiti allo Stato – ha recapitato all’Agenzia finita al centro di una vera e propria bufera. La sua, come ricorda intervistata dalla Dire, è la storia di una donna che la violenza istituzionale, così la definisce, l’ha già conosciuta prima per salvare se stessa e sua figlia dalla macchina della giustizia e dei servizi sociali che le volevano togliere la bimba dopo la denuncia all’ex compagno per violenza, e ora questa seconda volta nella sua vita professionale.

La novità degli ultimi giorni è che “in seguito al pignoramento mobiliare ad agosto il giudice dell’esecuzione ha ordinato il prelievo dei beni mobili – scrivanie, monitor, tavoli, poltrone, librerie, televisore 55 pollici della sala riunioni – dalla sede dell’Agenzia Nazionale per procedere alla vendita e se necessario ha autorizzato l’assistenza di un fabbro e della forza pubblica”, dunque l’epilogo della vicenda dovrebbe essere già scritto, eppure la battaglia legale dell’amministratrice giudiziaria è tutt’altro che conclusa. Il colpo di scena assume le sembianze di un’ennesima beffa nelle more di un calvario giudiziario senza fine.

“Sono partite le diffide al prefetto interessato, al vice prefetto custode dei beni già pignorati a maggio scorso presso la sede sita in via del Quirinale, al responsabile della tesoreria, alla funzionaria che si occupa dei pagamenti, alla funzionaria della procedura relativa all’incarico del Tribunale di Milano, alla dirigente responsabile della sede di Milano, infine alla titolare delle due procedure relative agli incarichi affidati dal Tribunale di Roma di cui una oggetto del decreto ingiuntivo, titolo immediatamente esecutivo”, ricorda Rossi.


L’Agenzia, questa la denuncia lanciata già mesi fa, continuerebbe a non pagare i compensi ai coadiutori generando una situazione paradossale per cui non viene pagato chi opera per conto dello Stato per il recupero dei beni delle mafie. La situazione infatti non riguarda solo Cristiana Rossi che ha portato la denuncia all’attenzione dell’opinione pubblica, ma molti suoi colleghi, e non a caso l’Agenzia “ha i conti pignorati” incalza ancora.

“Nel corso del mese di agosto la responsabile dell’Agenzia Nazionale della sede di Milano ha scritto a me e al presidente del Tribunale sollecitando azioni nei miei confronti accusandomi di aver prelevato indebitamente somme senza autorizzazione. Ho dunque dovuto rispondere con precisione punto per punto- spiega Rossi- dimostrando palesemente che i citati prelievi erano somme attinenti al compenso relativo alla fase di sequestro e confisca di primo grado gestita direttamente dal tribunale di Milano Sezione Misure di Prevenzione ed erano state autorizzate dal Giudice Delegato che in quella procedura era proprio il presidente del Tribunale. Il Giudice quindi non soltanto liquidò ed autorizzò le somme – come dovuto – a titolo di compenso, ma nel provvedimento apprezzò addirittura il lavoro da me svolto nell’ambito della procedura”. Una specie di ribaltamento kafkiano per cui la professionista, dopo la denuncia, si troverebbe a dover inviare “documenti su documenti per dilatare ulteriormente i tempi del pagamento”. Per difendersi dallo Stato, dice lei, ancora una volta.

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