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L’ipertrofia prostatica benigna cresce del 2-3% l’anno dai 45-50 anni di età

Presicce (San Filippo Neri): "Tra i 40 e i 50 anni 1 uomo su 3 ha disturbi delle basse vie urinarie. Per re Carlo endoscopia tradizionale o laser"

Pubblicato:22-01-2024 14:05
Ultimo aggiornamento:22-01-2024 14:05

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ROMA – “L’ipertrofia prostatica benigna è una condizione caratterizzata dall’ingrossamento della ghiandola prostatica. Di solito in un giovane adulto la prostata ha un volume all’incirca di 30 millilitri, e c’è un ritmo di crescita di circa il 2-3% l’anno a partire dai 45-50 anni di età. Questa crescita benigna della prostata può andare a determinare dei disturbi delle basse vie urinarie e una ostruzione del passaggio delle urine“. Lo spiega all’agenzia Dire il professor Fabrizio Presicce, dirigente medico della Asl Roma 1, ospedale San Filippo Neri, commentando la patologia di cui soffre re Carlo d’Inghilterra. Il sovrano sarà sottoposto a intervento questa settimana.
L’incidenza dei disturbi delle basse vie urinarie– prosegue l’urologo- è intorno all’8-10% alla terza decade e sale in maniera esponenziale fino addirittura al 90% nei pazienti tra gli 80 e i 90 anni. È dunque una condizione estremamente diffusa che intorno alla quarta, quinta decade si inizia a sviluppare in molti uomini: tra i 40 e i 50 anni un uomo su tre ha disturbi delle basse vie urinarie e il dato aumenta del 10% di decade in decade. A 50 anni, dunque, ne soffre il 50%, a 60 il 60% e così via”.
Una patologia che può essere parzialmente prevenuta. “I fattori di rischio legati all’ipertrofia prostatica benigna più noti- informa- sono l’invecchiamento e una predisposizione genetica familiare, fattori, purtroppo, non modificabili. Sembrerebbe esserci anche una certa associazione con la sindrome metabolica, una ridotta attività fisica e una dieta ricca di grassi saturi e proteine animali. In questo caso si tratta invece di fattori modificabili che potrebbero aiutare a ridurre il rischio di insorgenza di questa fastidiosa condizione”.
“I sintomi principali- continua l’esperto- sono quelli dell’ostruzione meccanica, legati proprio all’ingrossamento diretto della prostata, con un getto urinario debole, la sensazione di non svuotare bene la vescica e il dover urinare in più tempi. Ci sono poi effetti indiretti legati al fatto che, se la prostata determina una ostruzione, la vescica deve cercare di compensare questo aumento delle pressioni a valle, determinando un ispessimento delle sue pareti. Un fatto che determina una riduzione della capacità della vescica di contenere le urine: in questo caso si parla di disturbi della fase di riempimento, in cui il paziente accusa urgenza, ovvero la voglia di eseguire una minzione imperiosa e non differibile, che a volte si può tradurre in incontinenza urinaria“.
“Ci sono poi la frequenza, ovvero il dover urinare più spesso del solito– evidenzia Presicce- e la nicturia, che per i pazienti è tra i sintomi più invalidanti e che comporta lo svegliarsi durante la notte per eseguire una o più minzioni. Quando sono presenti questi sintomi significativi l’urologo riesce a inquadrare la patologia servendosi di questionari validati e con strumenti come l’ecografia e la flussometria e a quel punto, in base alla gravità dei sintomi, si può decidere quanto essere aggressivi con il trattamento, che può essere di natura farmacologica che chirurgica“.
“Nel primo caso- sottolinea- negli ultimi dieci anni non ci sono stati grandi novità. Abbiamo due categorie principali di farmaci: gli alfalitici, che agiscono rilasciando la muscolatura liscia della prostata e diminuiscono l’ostruzione meccanica. Sono farmaci sintomatici, non curativi, ovvero il paziente li assume e sta un po’ meglio, li interrompe e sta come prima. L’altra categoria agisce invece sulla conversione a livello dei tessuti prostatici del testosterone nella sua forma attiva: si tratta di farmaci individuati con la sigla ‘5-ARI’ e che agiscono sulla causa della malattia perché, se assunti per un periodo prolungato, riescono a bloccare la crescita prostatica e, anzi, a ridurre il volume prostatico del 20-30%“.
“Il problema- tiene a precisare Fabrizio Presicce- è che in un 5-10% dei casi questi farmaci possono provocare una disfunzione erettile ed è chiaro che uomini giovani adulti poco gradiscono questi farmaci proprio per i potenziali effetti collaterali“.
Differente, invece, il discorso legato agli interventi. “In questi anni c’è stato un fiorire delle tecniche chirurgiche: possiamo distinguere quelle endoscopiche tradizionali, ormai gli interventi a cielo aperto non si eseguono quasi più e si preferiscono procedure di natura endoscopica, attraverso il canale uretrale. Proprio in questi ultimi anni si fa spesso ricorso alle tecniche Mist, ovvero ‘Minimally Invasive Surgical Treatments’, che si possono realizzare anche con la chirurgia ambulatoriale o in day surgery. Il limite delle Mist è, però, che non hanno una convalescenza semplice e i risultati sono meno brillanti delle tecniche endoscopiche”.
Con tante possibilità di trattamento è dunque difficile individuare con certezza quale sarà il tipo di intervento a cui sarà sottoposto re Carlo d’Inghilterra. “Gli inglesi utilizzano un motto del 1700, ovvero ‘Ci sono molti modi per spellare il gatto’, o fanno ricorso al detto ‘Non c’è una taglia per tutti’: in realtà, dunque, dove l’urologo è in grado di proporre tutte le tecniche al paziente, fa una serie di valutazioni in base al paziente stesso e alle sue aspettative per scegliere insieme cosa fare. Fortunatamente qualsiasi metodica per l’ipertrofia prostatica non determina impotenza o incontinenza urinaria ma alcune possono impattare sulla eiaculazione. Attualmente le più utilizzate sono la tecnica endoscopica tradizionale, ovvero la resezione transuretrale della prostata, nota come ‘Turp’, che sta sempre più declinando in favore delle tecniche ‘Holep’, che prevedono l’enucleazione laser della prostata, con il laser a Holmio“.
“L’enucleazione laser della prostata- conclude lo specialista in urologia- è una tecnica che si adatta molto bene a tutti i volumi prostatici ma in particolare a volumi superiori agli 80 grammi, laddove la Turp è di difficile applicazione. Immagino che re Carlo possa essere candidato a una di queste due metodiche, che prevedono una degenza ospedaliera di 48-72 ore e una convalescenza di due-tre settimane, in cui il paziente sta bene, a casa, ma deve diradare gli impegni per il rischio di sanguinamenti post operatori”.

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