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BOLOGNA – L’incidente che sabato ha provocato la morte della bimba di 5 anni – colpita dai detriti in fiamme dell’aereo delle Fiamme tricolori che si è schiantato nella zona di Caselle, in provincia di Torino – ha portato all’attenzione di tutti il termine ‘bird strike’. Un fenomeno di cui solitamente si occupano solo gli addetti ai lavori, ma che sull’onda del grande clamore suscitato dalla morte della piccola Laura, da giorni fa capolino sulle pagine dei principali quotidiani di informazione. Si parla di bird strike perchè è proprio questa la prima ipotesi che è stata fatta fin da subito come causa scatenante dell’incidente: un impatto con uno o più uccelli potrebbe aver provocato l’improvvisa perdita di quota da parte dell’aereo (il pilota si è buttato col paracadute quando ormai mancava pochissimo allo schianto). Nei giorni scorsi, sono uscite notizie discordanti sul fatto che, nelle ore precedenti l’incidente aereo, fosse stato diffusa o meno una allerta bird strike e questo potrebbe configurare un eventuale rischio ignorato all’origine dell’incidente. Ora, al di là di quello che appureranno le indagini, vediamo da vicino che cosa è il Bird strike, facendo ricorso a una relazione presentata dall’Enac, proprio su questo tema, alla fine del 2022.
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Il bird strike fa parte di una casistica più ampia che si chiama “wildlife strike“, termine con cui si definisce, spiega l’Enac, “l’impatto violento tra un aeromobile e uno o più animali selvatici, prevalentemente uccelli (bird strike), con conseguenze più o meno rilevanti, a seconda delle dimensioni e del numero di animali impattati, della fase di volo e della parte dell’aeromobile che viene colpita”. Lepri, piccioni, gabbiani falchetti, rondini, oche. Cosa succede in questi casi? “L’energia che si sviluppa nell’impatto è infatti direttamente proporzionale alla massa e al quadrato della velocità, per cui anche l’impatto con un piccione in atterraggio, o l’aspirazione di una lepre nel motore durante la corsa di decollo, producono lo stesso effetto di un proiettile“.
“Il primo incidente documentato tra un uccello e un aereo- spiega ancora la relazione Enac- risale al 1905, e sin da subito le autorità aeronautiche di tutto il mondo si sono occupate di questo problema con crescente preoccupazione. Il wildlife strike è infatti in costante aumento in tutto il mondo. Ciò è dovuto principalmente all’aumento progressivo del traffico aereo, ma anche all’incremento numerico di molte popolazioni di animali selvatici nel corso degli ultimi decenni”.
Negli Stati Uniti gli impatti tra fauna selvatica e aviazione civile sono passati da 1.850 nel
1990 a 15.556 nel 2021; nello stesso periodo le oche canadesi che vivono in Usa sono
cresciute da 1,3 a oltre 6 milioni di individui, si legge nella relazione.
In Italia, si legge ancora nella relazione Enac, il numero di wildlife strike è passato da 348
nel 2002 a 2.168 nel 2022 e dal 1980 a oggi la popolazione nidificante di gabbiano reale (una delle specie in assoluto più interessate nella problematica del bird strike, è spiegato nella relazione) è più
che raddoppiata, superando le 60.000 coppie.
“Ad oggi 724 persone sono rimaste uccise nel mondo a causa di wildlife strike, e 587 aerei sono andati distrutti tra aviazione civile e militare. La sola aviazione civile degli Stati Uniti spende quasi un miliardo di dollari l’anno per il wildlife strike, mentre in Italia si stima, attraverso comparazioni con quanto avviene in Usa, un costo di 2,4 milioni di euro/anno nella sola aviazione commerciale, tra riparazioni e ritardi nei voli”.
La relazione dell’Enac tra le altre cose fotografa molti aeroporti italiani fornendo i dati relativi al potenziale rischio per questi fenomeni e riporta anche una serie di statistiche del rischio, che cambia anche a seconda della stagione (è molto più alto nel periodo estivo) e dell’orario della giornata (i momenti più rischiosi sono l’alba e il tramonto, quando gli uccelli sono più attivi).
“La maggior parte degli impatti tra aeromobili e fauna selvatica si verifica negli aeroporti e nelle loro immediate vicinanze, dove la quota di volo è relativamente bassa; gli uccelli infatti volano generalmente al di sotto dei 500 ft di quota quando non sono in migrazione attiva. Il 70% degli eventi di wildlife strike avviene al di sotto dei 200 ft di quota, l’85% al di sotto degli 800 ft e oltre il 90% sotto i 2.000 ft. Il rischio di collisione è legato al tipo e all’intensità dell’attività della fauna selvatica sia all’interno che nelle
aree limitrofe dell’aeroporto. Gli animali attratti da specifiche opere e/o attività che si svolgono intorno
all’aeroporto possono infatti spostarsi dentro l’aeroporto o attraversare i corridoi di movimento degli aeromobili incrementando il rischio di impatto”.
La presenza di discariche, aree umide e zone dove c’è alta disponibilità di acqua, cibo e siti idonei dove ripararsi, riprodursi, aggregarsi e riposare, dentro e intorno a un aeroporto, costituiscono un’attrattiva formidabile per gli animali selvatici, soprattutto gli uccelli. Questi sono in grado di percorrere lunghe distanze in tempi relativamente brevi: un gabbiano reale può nidificare a distanze ben superiori ai 50 chilometri dalle aree di alimentazione, e percorrere centinaia di chilometri al giorno solo per nutrirsi.
La relazione dell’Enac prende poi in considerazione anche la prevenzione. Cosa si può fare? La prima cosa è fare in modo che nelle vicinanze degli aeroporti non ci siano attività che possano in qualche modo fungere da attrazione per la fauna selvatica. E poi è necessaria un’opra di costante monitoraggio delle piste e del territorio intorno agli aeroporti. Di tutto questo, si occupano specifici piani di controllo e mitigazione del rischio wild strike operati da personale specializzato (Bird Control Units).
Nella relazione Enac si parla della necessità di una “deguata gestione ecologica anti-fauna del sedime aeroportuale e del territorio circostante” in termini di “più efficace sistema di mitigazione del rischio di wildlife strike, insieme all’utilizzo di specifici apparati di deterrenza attiva tesi all’allontanamento degli
animali”. Viene poi ricordato che l’Organizzazione mondiale dell’aviazione civile (ICAO) e le altre organizzazioni e autorità che si occupano di navigazione aerea hanno identificato una distanza di sicurezza dagli aeroporti entro la quale limitare o mitigare alcune attività/opere in grado di attrarre fauna selvatica.
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