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Stand by me: ecco perché va restituito l’orizzonte ai giovani

Si diano strumenti ed occasioni perché, anche guardandosi indietro, di questa stagione non ricordino solo il brutto periodo, ma anche le tante energie spese da loro e gli aiuti ricevuti dagli adulti per fronteggiare e superare l'emergenza

Pubblicato:19-02-2021 17:28
Ultimo aggiornamento:19-02-2021 17:28

giovani torre asinelli
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BOLOGNA – Ci sono i ristori per bar e ristoranti e per i maestri di sci; per le imprese, bonus per famiglie e partite Iva… E per i giovani: quali sono i ristori per loro? Anzi, cosa sono? È un tema da porsi visto quel che sta accadendo, che viene rilevato e detto, ma resta un po’ sullo sfondo. I giovani, che magari si ammalano meno del virus, sono vittime speciali e vere della pandemia: anche per loro forse è il caso di pensare a ‘ristori’ che facciano sentire che li si è pensati non solo in via estemporanea, non solo dopo un allarme. E che non si è fatto affidamento nell’idea che tanto sono nel pieno delle forze e avranno le energie per ripartire quando l’emergenza sarà finita.

Nel discorso in Senato Mario Draghi ha citato 9 volte la parola “giovani”. E ha detto: “Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura”. Più o meno in contemporanea all’insediamento del nuovo Governo, le cronache delle città (a Milano, a Venezia, a Modena e a Reggio Emilia) raccontano spesso di ragazzini che nel loro andare in giro superano, per così dire, un po’ troppo le regole dello stare insieme; e intanto gli esperti censiscono con regolarità, e a prescindere dalle latitudini (recenti le analisi in questo senso a Bologna e Firenze), un sempre più profondo disagio degli adolescenti: più chiusura e ansia per il futuro, disturbi alimentari, sintomi di ritiro, attacchi di panico ed autolesionismi; più aggressività e minor rispetto delle regole. Certo fa più notizia dei tanti che continuano a comportarsi bene o a fare volontariato. Ma un tema c’è.

Dove sono i giovani? Quelli dei Fridays for future non sfilano più, e gli studenti si sono forse sfiniti nella battaglia per il ritorno in classe almeno un po’. E con i rialzi di contagi la prospettiva di un ritorno alla vita che si fa alla loro età si complica. Già non era facile prima, davanti un orizzonte indefinito in cui realizzarsi (laurea, casa, impiego, famiglia) era più avventurarsi verso una minaccia di ‘problemi’ che verso una promessa di felicità. Ma era la prospettiva dell’orizzonte, ora rischia di chiudersi anche a quella a breve termine: non sanno nemmeno più se dovranno stare a scuola anche a giugno. Si dirà, c’è gente senza lavoro, etc etc. Tutto vero, sacrosanto, urgente e prioritario. Ma loro? Non è mica banale sapere o non sapere se si va a scuola a giugno. Restare sospesi. Perché, come ha scritto di recente un neuropsichiatra dell’infanzia e adolescenza dell’Ausl di Bologna “tutti siamo limitati, ma per i ragazzi è più doloroso: sono anni importanti, unici in cui poter fare esperienze e poi il vissuto soggettivo del tempo è differente: una settimana di chiusura sembra un anno e… un anno sembra una vita, un orizzonte senza fine”. E allora rischiano o di ‘prenderselo’ quell’orizzonte, uscendo e trasgredendo a regole di comportamento, o di stare male (disagi vari).


“L’adolescenza è proprio l’età in cui si sfidano i limiti, si sfugge alle regole e invece oggi chiediamo ai ragazzi di essere limitati, di stare chiusi, di essere obbedienti e, tutto sommato lo sono stati”, dice sempre il neuropsichiatra infantile bolognese aggiungendo: “In questa situazione servono adulti che sappiano farsi carico del peso emotivo e proporre strategie di soluzione”, ma “forse come adulti non siamo riusciti a porre come prioritari i diritti dei ragazzi e le loro naturali necessità di libertà, socializzazione, amicizia, svago, movimento, gioco e forse non abbiamo mandato sempre un messaggio coerente“.

Ecco allora che con l’allungarsi della lotta al virus su un orizzonte più lungo ora questa questione si pone. Se finora si è fatta prevenzione e tamponato al meglio le falle dell’emergenza, ora forse è il caso di riflettere su un segnale ‘generale’ da dare. In fondo pure Draghi ha espresso la “speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui in questa aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo”. E Papa Francesco dice di aiutare “a trasformare i sogni degli studenti in progetti”, a impegnarsi “affinché possano scoprire che tutto il potenziale che hanno è un ponte, un passaggio verso una vocazione. Proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, raggiungerle”; “aiutiamo i giovani a crescere serenamente anti-conformisti, non lasciamo che la vertigine che cercano per sentirsi vivi la ricevano da chi non fa che mettere a rischio la loro vita”.

Vogliamo chiamarli ‘ristori’? Ok, diamogli un titolo un nome, ma si diano strumenti ed occasioni perché, anche guardandosi indietro, di questa stagione, non ricordino solo il brutto periodo, ma anche le tante energie spese da loro e gli aiuti ricevuti dagli adulti per fronteggiare e superare l’emergenza.

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