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I terroristi di Hamas uccidono una possibile convivenza. Tocca a Israele non farsi accecare dall’odio e ricreare le condizioni: è il costo di essere un paese democratico

L'editoriale del direttore dell'Agenzia Dire Nico Perrone

Pubblicato:18-10-2023 19:59
Ultimo aggiornamento:18-10-2023 19:59

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ROMA – Nella striscia di Gaza cresce il numero dei morti e dei feriti. Sono soprattutto civili, donne, uomini e bambini quelli che cadono sotto i colpi dell’esercito israeliano. I terroristi di Hamas hanno i loro rifugi sicuri, mentre i loro leader da anni se la spassano alla grande in paesi che per loro giochi politici perseguono lo stesso obiettivo: far sparire Israele e gli ebrei dalla terra. E non voglio soffermarmi a parlare del colpevole dell’ultima strage dell’ospedale, che le due parti in guerra si rinfacciano. La guerra è orrore, chi ne paga le conseguenze è soprattutto la gente comune, persone normali che vogliono vivere la loro vita in pace. Ma noi, in generale, siamo abituati a schierarci con le ‘ragioni’ della nostra parte. Quindi alla fine ci ritroviamo quasi sempre a trovare una giustificazione per i nostri ‘buoni’  e a condannare senza appello i ‘cattivi’ degli altri. Il più delle volte senza nemmeno conoscere qualche pagina di storia, analizzare quello che è successo prima, capire quali interessi anche esterni che si stanno muovendo per imporre la logica della guerra e delle armi allontanando qualsiasi ipotesi di soluzione pacifica.

Basterebbe pensare invece all’interesse dei rispettivi popoli per capire che trovare una via d’uscita pacifica è possibile. Difficile, perché le due parti dovranno cedere qualcosa, ma possibile. Invece ci troviamo di fronte al premier israeliano Benjamin Netanyahu che con logica politica che non ho paura di definire criminale in tutti questi anni ha di fatto aiutato i terroristi di Hamas non solo a rafforzarsi nella striscia di Gaza dando loro modo anche di sottomettere con le armi e con il fanatismo i palestinesi di quel territorio. Una grave responsabilità politica denunciata anche oggi da Ehud Barak, già capo di governo laburista, generale dell’esercito ed ex titolare del dicastero della Difesa. Un curriculum da peso massimo. Che finisce ora sulle spalle di Netanyahu, accusato non solo per il 7 ottobre, con oltre 1.300 morti “il più grande fallimento della storia di Israele”, ma anche per non aver fatto nulla per contrastare Hamas nel corso degli anni. Anzi, di più: di averlo di fatto favorito.  Al settimanale inglese The Economist, Barak ha detto che il 7 ottobre è stato “il più grande fallimento della storia di Israele”, il portato della “negligenza più grave”. “A perdere la vita sono stati perlopiù civili”, ha sottolineato l’ex primo ministro: “Lo Stato è venuto meno alla sua responsabilità principale verso i cittadini, vale a dire mantenerli vivi”. Le accuse a Netanyahu, che è a capo della destra del Likud, non riguardano però solo gli aspetti di intelligence e sicurezza. Barak lo ha chiarito anche in una nuova intervista, pubblicata in Italia dal Corriere della Sera. “I vertici hanno coltivato per anni l’idea che Hamas potesse essere addomesticato” ha detto l’ex primo ministro rispondendo a una domanda sulle responsabilità dei capi dell’esercito e dei servizi israeliani. “Netanyahu in particolare ha lasciato che il Qatar portasse milioni di dollari in contanti ai fondamentalisti”.

A proposito dell’attuale capo di governo, Barak ha aggiunto: “Sperava di tenerli buoni pagando tangenti e alla comunità internazionale ripeteva: ‘Vedete, come posso negoziare con Abu Mazen se controlla solo metà dei palestinesi?’ Intanto Hamas si rafforzava”. Adesso tocca a Israele, che ha il diritto di esistere e di difendersi, non cedere all’odio che genera odio. Colpire i terroristi e allo stesso tempo pensare al dopo, a quando bisognerà ricominciare a tessere la tela della possibile convivenza tra due popoli che abitano uno stesso territorio. E fa rabbia vedere come altri paesi, penso all’Egitto confinante, pensino solo ai propri interessi, sacrificando a loro volta i palestinesi. Tutti si aspettano un corridoio umanitario, che i palestinesi in fuga possano uscire dalla striscia di Gaza arrivando nel territorio dell’Egitto.


Oggi il boss egiziano Al Sisi, un altro despota, ha subito passato la palla: “Israele potrebbe trasferire i palestinesi della Striscia di Gaza nel deserto del Negev, nel sud del suo territorio, invece di chiedere all’Egitto di accoglierli nella penisola del Sinai” ha detto il presidente egiziano durante una conferenza stampa al Cairo insieme con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. E ha trovato pure una buona scusa: Al-Sisi, infatti, ha denunciato il rischio che, con l’arrivo di centinaia di migliaia di profughi palestinesi nel Sinai, la penisola diverrebbe “una base per le operazioni contro Israele” e che così “l’Egitto sarebbe etichettato come una base per terroristi”.  Inoltre voglio segnalare anche l’importante gesto compiuto dal presidente americano Joe Biden, volato oggi in Israele. Vero che nella zona stanno arrivando portaerei e marines americani, ma Biden oltre alla solidarietà agli israeliani oggi ha parlato anche dei rischi da evitare. Lo ha fatto sulla scorta degli errori commessi proprio dagli americani dopo l’attentato terroristico alle torri gemelle: la rabbia che prova Israele dopo l’attacco del 7 ottobre, ha detto il presidente americano “è la stessa che gli Stati Uniti hanno provato dopo l’11 settembre: shock, dolore, rabbia divorante…” ma, ha ricordato, a causa di quella rabbia “gli Stati Uniti hanno commesso degli errori dopo l’11 settembre. Bisogna fare giustizia ma non lasciate che questa rabbia vi consumi” sottolineando che “le scelte non sono mai facili” e “c’è sempre un prezzo da pagare” perché “richiedono una valutazione onesta. La maggioranza dei palestinesi non sono Hamas e anche la perdita di vite palestinesi conta” ha detto Biden. Di qui la responsabilità di Israele, del nuovo corso politico che necessariamente dovrà aprirsi archiviando la malagestione di Netanyahu, puntando, come si è fatto in altre situazioni dove l’odio vinceva da decenni, a trovare il ‘Mandela’ palestinese, personalità autorevole, che con un agire laico e coraggioso saprà costruire la sua parte del ponte. Toccherà alla nuova guida politica di Israele aggiungere la parte mancante. Solo così si distruggerà per davvero e per sempre il terrorismo di Hamas, che invece prospera e vive sull’odio e la guerra che genera odio.

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