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Paolo Genovese: “La cultura del cinema deve partire dalle scuole”

Il pluripremiato regista presenta al Love Film Festival il suo ultimo film 'Il primo giorno della mia vita': "Sogno di continuare a raccontare storie"

Pubblicato:17-06-2023 09:00
Ultimo aggiornamento:17-06-2023 00:06

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(Photo credits: Maria Marin)

ROMA – Storie che in un modo o nell’altro riescono a sconvolgere. Storie che scavano nei lati più profondi dell’essere umano. Storie disarmanti, dolorose, piene d’amore, di crisi, di resilienza e di coraggio. Storie che assomigliano a una seduta dallo psicoterapeuta e di cui c’è sempre bisogno.

Sono le storie raccontate da Paolo Genovese. Il pluripremiato regista presenta oggi al Love Film Festival a Perugia (diretto da Daniele Corvi) il suo ultimo film ‘Il primo giorno della mia vita’. A muovere il racconto – con protagonisti Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy e Sara Serraiocco – la forza di ricominciare quando tutto intorno sembra crollare. Tratto dal suo omonimo romanzo (edito da Einaudi), il film racconta di quattro persone che hanno toccato il fondo e vogliono farla finita. Un uomo incrocia la loro strada per proporgli un patto: una settimana di tempo per farle rinnamorare della vita. Il suo intento è quello di offrire la possibilità di scoprire come potrebbe essere il mondo senza di loro e aiutarle a trovare un nuovo senso alle proprie esistenze. 


Il tema della nona edizione del Love Film Festival – dedicata a Francesco Nuti – è spiritualità e ambiente, ne abbiamo parlato con il regista durante l’intervista. Spazio anche ai sogni, ai ricordi legati alla sala cinematografica, alla serie Disney+ ‘I Leoni di Sicilia’, a ‘Perfetti Sconosciuti’ e alla sua partecipazione allo Shanghai International Film Festival, dove è in Concorso con ‘Il primo giorno della mia vita’.

L’INTERVISTA A PAOLO GENOVESE

Ciao Paolo, come stai?

Bene, grazie. 

Voglio partire dal Love Film Festival. Il tema di quest’anno è spiritualità e ambiente. Spiritualità: in un momento storico in cui si divora tutto velocemente, come il tempo per il cinema, la spiritualità che ruolo ha in questo?

Il ruolo della spiritualità è importante oggi più che mai. Tutto scorre velocemente, soprattutto la fruizione dell’audiovisivo. Ormai si guardano pezzi di serie in autobus, in ufficio, in pausa pranzo, facendo magari anche altre cose. In un momento così frenetico è davvero importante regalarsi due ore per staccare tutto e lasciarsi trasportare da una storia in una sala cinematografica. La visione condivisa con altre persone è un modo di condividere le emozioni con altri 400 sconosciuti. Non bisogna smettere di preservare il cinema in sala.  

L’ambiente. Un tema che oggi riempie le pagine dei giornali, il web, la tv tra le azioni dei ragazzi di Ultima Generazione e la natura che si sta ribellando. Secondo secondo te il cinema e l’arte più in generale possono essere dei validi mezzi per creare consapevolezze e sensibilizzare su questi temi?

Il cinema con le sue storie può essere assolutamente uno strumento di sensibilizzazione o come lo è per qualunque genere di storia a seconda del tema affrontato. È un modo per portare una tematica, quindi anche quella ambientale. Però il problema ambientale è così importante che – accanto a una sensibilizzazione anche emotiva che può fare l’arte – ci vogliono degli interventi strutturali da parte dei governi a livello mondiale. Il problema è così grande che il messaggio che può dare il cinema può essere sicuramente utile, ma è come se fosse una goccia nell’oceano.

Tra un po’ ti vedremo su Disney+ con la serie ‘I Leoni di Sicilia’, che racconta la saga familiare tratta dall’omonimo bestseller di Stefania Auci e interpretata da Michele Riondino, Miriam Leone, Donatella Finocchiaro, Vinicio Marchioni, Eduardo Scarpetta, Paolo Briguglia,Ester Pantano e Adele Cammarata.

Non posso dirvi ancora nulla. 

(La sinossi della serie: ‘I Leoni di Sicilia’ è l’avvincente storia della famiglia Florio. I fratelli Paolo e Ignazio sono due piccoli commercianti di spezie fuggiti da una Calabria ancorata al passato e in cerca di riscatto sociale. In Sicilia s’inventano un futuro, dove a partire da una bottega malmessa danno vita a un’attività florida che il giovane figlio di Paolo, Vincenzo, con le sue idee rivoluzionarie, trasformerà poi in un impero. Tuttavia, a travolgere la vita di Vincenzo, e quella di tutta la famiglia, è l’arrivo dirompente di Giulia, una donna forte e intelligente, in contrasto con le rigide regole della società del tempo. I Leoni di Sicilia è un’epopea fatta di amore, famiglia, successi, guerre e rivoluzioni, che si svolge nella Sicilia dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia del 1861).

‘Perfetti Sconosciuti’ funziona anche in teatro. Secondo te perché? Qual è il valore aggiunto rispetto al cinema?

È una commedia in cui c’è una forte identificazione e immedesimazione. E questa aspetto a teatro viene esaltato perché il pubblico ha veramente la sensazione di stare seduto a tavola con i sette protagonisti. Quindi, la vicinanza del palco e degli interpreti crea una immedesimazione molto potente, un bel cortocircuito.  

E questo film, così come lo spettacolo teatrale, ci fa riflettere, tra le tante cose, anche sul saper disinnescare. Oggi questa è una via che si sceglie poco, dalla società alla politica. 

Disinnescare è un concetto assoluto. In ‘Perfetti Sconosciuti’ è applicato alla coppia. Secondo me, è un’attitudine fondamentale nelle relazioni umane. Saper fare un passo indietro e capire quando è il momento magari di cedere, di essere concilianti, di mettere da parte le proprie ragioni e capire quelle degli altri. Concetto così universale, così ampio che ovviamente andrebbe applicato in qualunque contesto.

Sui tuoi set è facile mantenere questa conciliazione o a volte proprio è proprio difficile?

Devo dire che i miei set sono molto sereni. Fondamentalmente perché io sono molto sereno sul set anzi amo questo lavoro e ancora oggi, dopo vent’anni, vado la mattina sul set consapevole di essere un privilegiato quindi estremamente felice, estremamente grato di quello che faccio. Sono in armonia con il set e ovviamente cerco di trasmetterla a tutti. È difficile che nascano tensioni. Anche in quei pochi casi di discussioni c’è massima armonia.

È partita la campagna del ministero della Cultura ‘Cinema Revolution’: biglietti scontati a 3,50 euro sia per i film italiani europei. Questo per incentivare ad andare al cinema, soprattutto in estate. Secondo te basta?

Certo che non basta. Ben vengano gli incentivi. Ma il prezzo del biglietto è uno dei più bassi rispetto a qualsiasi altra forma di rappresentazione. Penso che, al di là degli incentivi economici, vada fatta veramente una politica culturale: partire dalle scuole per capire l’importanza della visione cinematografica, della bellezza del cinema, del lavoro che c’è dietro e di far comprendere che tutti gli elementi che ci sono in un film non ci stanno in un televisore da 50 pollici. Ma soprattutto come attitudine di visione. Il cinema è come quando ci raccontavano una favola da bambini prima di addormentarci, c’era soltanto la voce della mamma, senza nessuna altra distrazione. Un pubblico colto è un pubblico che ha voglia di andare a vedere e ha voglia di farlo al meglio. Se questo non c’è, il rischio è quello di far passare che qualunque cosa sia se la vediamo sul cellulare, sul tablet, in tv o in sala sia la stessa cosa. Ma non è così, soprattutto al livello emotivo.

Ultimamente in America gli sceneggiatori si sono ribellati per i loro diritti. Secondo te in Italia siamo capaci di fare una mobilitazione così così grande per il cinema, per l’arte in generale, per la cultura?

Qui in Italia le varie associazioni sentono molto questo problema e sono molto compatte. Non siamo ancora forti come il sindacato americano, in grado di bloccare addirittura l’industria. Tutte le rivendicazioni sindacali e lavorative, laddove siano giuste, sono sacrosante. Quindi, andrebbero andrebbero fatte. È ovvio che costano sacrifici: perché vuol dire fermarsi vuol dire e non lavorare per un periodo. Però tutti insieme per un bene superiore è qualcosa che andrebbe fatto.

Il primo ricordo legato al cinema.

Quando mio padre mi portava nella sala parrocchiale, dietro viale Libia dove abitavamo, a vedere i film con Bud Spencer e Terence Hill. Il cinema era una festa, quasi come fosse una piazza. I bambini giocavano prima dell’inizio dello spettacolo, c’era la signora che vendeva i croccanti dolci. Io aspettavo la domenica per andare al cinema per guardare i film ma anche per l’atmosfera che si creava. Vedere storie sul grande schermo insieme ad altre persone era veramente una grande esperienza.

Tanti film, libri, successi. C’è ancora qualcosa che sogni?

Sogno di continuare a raccontare storie. Non sogno una cosa in particolare. Potrei dirti un premio, a tutti fa piacere vincerlo oppure fare un film con degli attori importanti con i quali non hai ancora lavorato tante. Però fondamentalmente quello che sogno è di continuare ad avere storie da raccontare che possano emozionare il pubblico. 

Il tuo ultimo film ‘Il primo giorno della mia vita’ sarà presentato al pubblico del Love Film Festival ma non potrai esserci perché il tuo ultimo lavoro sarà in Concorso allo Shanghai International Film Festival.

Sono molto felice perché è un festival importantissimo e ‘Il primo giorno della mia vita’ è l’unico film italiano in Concorso. È stato selezionato tra oltre 8mila film provenienti d tutto il mondo. In Cina c’è un’attenzione incredibile per i film internazionali. I miei film lì sono conosciuti. Quando è uscito ‘Perfetti Sconosciuti’ è stato un successo enorme. È un mercato vasto e diverso come cultura dal nostro. Il fatto che le mie storie possano arrivare a una cultura così diversa mi gratifica: vuol dire che sono delle storie che hanno una valenza internazionale.

Sei felice?

Sono domande che non hanno mai una risposta univoca.  Ci si interroga in quelle due volte a settimana che si va in quello studio. E c’è signore che ti fa delle domande e tu sei steso su una poltrona. Non è più un tabù, mi sembra che la terapia oggi sia vissuta come una necessità in un mondo complesso. Una persona in più, rispetto a quelle che ti sono vicine, che ti aiuta a capire cosa succede dentro. 

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