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In Russia prove di autarchia dopo lo stop di McDonald’s. Con l’incognita lavoro

Putin spera di rilanciare l'economia nazionale dopo la sospensione delle attività delle multinazionali. Ma la classe media teme di pagare il conto delle sanzioni: "Ci sentiamo come in ostaggio"

Pubblicato:17-03-2022 16:22
Ultimo aggiornamento:18-03-2022 12:06

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ROMA – “Pazienza per i Big Mac, non siamo né viziati né sciocchi; il problema già adesso è il lavoro, con le chiusure, le imprese in difficoltà e l’aumento della disoccupazione“. A parlare è Marina, 45 anni, professionista del settore finanziario a Mosca, “una della classe media” sintetizza, chiedendo di non divulgare il suo cognome. Con l’agenzia Dire condivide foto degli scaffali semivuoti di un supermarket alla periferia della capitale russa. “Non nei quartieri centrali ma negli ‘spalnye’, i quartieri-dormitorio, quelli dove vive la gente comune, la maggioranza della popolazione”, sottolinea. “In alcuni negozi già mancano zucchero e riso, mentre la pasta si trova solo di qualità italiana, a caro prezzo; anche reperire le medicine in farmacia non è più scontato“.

A Mosca le sanzioni si stanno facendo sentire. Sulle pagine della stampa locale è finito anzitutto il colosso americano McDonald’s, che in Russia ha fermato tutti i suoi 850 ristoranti e punti vendita. “Altro che panini, lì ci lavoravano 62mila persone“, ricorda Marina. “Le società straniere che hanno chiuso o interrotto le attività sono già oltre 300, senza contare le imprese locali, come la casa di automobili Avtovaz, che hanno migliaia di dipendenti e a causa delle sanzioni si trovano in difficoltà con i componenti o altri approvvigionamenti indispensabili alla produzione”.

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Secondo Pervyj Kanal e altri media di Stato, la parola chiave è “importozameschenie”, vale a dire “sostituzione dell’import“. “La tesi è che le sanzioni si possano rivelare un’occasione per il rilancio dell’economia nazionale, puntando su produzioni locali e magari scommettendo su realtà come Teremok, un brand specializzato in bliny, pelmeny e altri piatti della cucina tradizionale che però difficilmente potrà acquisire il peso di McDonald’s”, spiega Marina. Anche se per ora molti marchi stranieri hanno deciso di restare, come Auchan, Decathlon e Leroy Merlin del gruppo francese Mulliez, che in Russia ha 30mila dipendenti e 231 punti vendita, a sospendere le attività sono state multinazionali di riferimento. Si va da Yum Brands a Coca-Cola fino a Starbucks, che a Mosca e in altre città ha circa 2.000 impiegati.

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In diversi casi, come in quello di McDonald’s, i vertici aziendali hanno detto che nonostante lo stop alle vendite gli stipendi ai lavoratori russi saranno garantiti. “Bisognerà vedere quanto andranno avanti e poi non tutte le società si impegnano con i sussidi”, riprende Marina. “In qualche caso si è parlato di tre mesi, in altri i salari invece non saranno pagati affatto“. Società americane ed europee hanno collegato lo stop in Russia al proseguimento dell’offensiva militare in Ucraina, definita dal Cremlino “operazione speciale” ma in corso in realtà già da tre settimane.

Difficile capire se l’impatto delle sanzioni potrà condizionare la politica. “Qui non si può scendere in strada, intonare slogan di protesta e poi tornarsene a casa tranquillamente – osserva Marina – Chi lo fa rischia di essere imprigionato o, peggio, come è capitato sia a giornalisti che a oppositori, imprigionato o assassinato”.

La tesi è che anche la politica abbia tempi e modi di reazione differenti rispetto a quanto accade nei Paesi dell’Europa occidentale. “Lui”, dice Marina, riferendosi al presidente Vladimir Putin senza nominarlo, “è completamente immune alla realtà“. L’idea di una mobilitazione popolare capace di orientare le scelte del Cremlino non sarebbe fondata, almeno nell’immediato. Anche perché, sottolinea da Mosca un’altra fonte della Dire, “le banche che gestiscono i proventi delle esportazioni del petrolio e del gas stanno riuscendo a bypassare le sanzioni internazionali e continuano a finanziare la guerra”.

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Diverso il discorso per la classe media, un settore minoritario della società russa ma comunque in espansione durante la presidenza di Putin negli ultimi venti anni. “C’è chi non riesce a ritirare i soldi degli stipendi perché la sua banca è stata colpita dalle sanzioni“, riferisce una terza fonte della Dire a Mosca. “Io stesso ho un conto in Europa ma non ho potuto ritirare nulla, senza un vero motivo, probabilmente per il solo fatto di essere russo”.

Ieri fonti concordanti citate dall’agenzia di stampa Reuters hanno rivelato i contenuti di direttive trasmesse dalla Banca centrale europea agli istituti di credito dopo il 24 febbraio. Stando a queste informazioni, decine di migliaia di russi e bielorussi residenti in Paesi Ue sarebbero sottoposti a una sorveglianza speciale nonostante in teoria appartengano a una categoria non colpita dalle sanzioni. Le misure adottate dall’Unione europea vietano invece espressamente alle banche di accettare depositi superiori ai 100mila euro da parte di cittadini o società russe.

Mentre si torna a parlare dell’ipotesi di default, con Mosca chiamata a versare 117 milioni di dollari di obbligazioni di Stato, Marina riprende la parola: “Possiamo usare solo rubli; non so se ci sia russofobia, ma oggi ci sentiamo come in ostaggio“.

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