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Le giornaliste in Kenya: “Basta stereotipi e notizie acchiappa-clic”

In Kenya ci sono più di 3mila giornaliste professioniste. E sono stanche di essere vittime di molestie e di 'hate speech': per questo dicono no agli stereotipi, nei titoli e nei resoconti

Pubblicato:14-09-2023 11:26
Ultimo aggiornamento:14-09-2023 15:54

kenya giornaliste
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NAIROBI (KENYA) – Non chiamatelo #MeToo, perché loro si pensano già al plurale. Non dieci né cento ma più di 500, impegnate in tutte e 47 le contee del loro Paese. “Non ne possiamo più di titoli fatti solo per i clic, tutti scandali sessuali e stereotipi che offendono la dignità delle donne” sospira Patience Nyange, direttrice di Association of Media Women in Kenya (Amwik). Premessa: è una cronista di talento, in carriera da 18 anni, che ha deciso di lasciare l’emittente inglese Bbc passando alla comunicazione d’azienda senza però dimenticare la passione per le notizie né abbandonare la lotta per le pari opportunità.

Un impegno quotidiano, il suo, che continua attraverso Amwik. L’associazione, nata oltre 40 anni fa in uno dei Paesi dell’Africa più vivaci dal punto di vista del confronto giornalistico, continua a stimolare e anche a orientare il dibattito. “Bisogna contrastare resoconti stereotipati che sono la conseguenza di una cultura patriarcale”, denuncia Nyange, “e allo stesso tempo difendere i diritti delle croniste nelle redazioni”.
Che si tratti di web, tv o giornali non fa troppa differenza. “Le giornaliste professioniste in Kenya sono più di 3mila, più che in altri Paesi: il punto è che sono spesso vittime di molestie e di ‘hate speech’ e poi sono ostacolate nella carriera nonostante il loro talento, con i colleghi maschi a occupare tutte le posizioni apicali sia nelle redazioni che nel management“.

Da tempo anche in Kenya esisterebbero i presupposti per un nuovo #MeToo, il movimento nato negli Stati Uniti per denunciare abusi e molestie sul luogo di lavoro. Secondo Nyange, però, “su tante colleghe pesa il timore di diventare vittime due volte, finendo nel mirino anche per il fatto di non essere rimaste in silenzio”. Association of Media Women in Kenya, già partner dell’ong italiana Aidos, funziona anche come osservatorio. Proprio in questi giorni sta lavorando a un sondaggio che aiuti ad avere un quadro della professione e delle sfide da affrontare. “Abbiamo realizzato 200 interviste in una settimana, ascoltando non solo reporter donne ma anche colleghi uomini” sottolinea la direttrice: “Il dibattito deve includerli assolutamente se si vogliono cambiare le cose”.


E le notizie? A volte è difficile dire se siano buone o cattive. “Prendete il presidente William Ruto” sottolinea Nyange: “Aveva promesso un governo composto per metà da uomini e per metà da donne, ma una volta in carica non ha mantenuto l’impegno”. È andata meglio con l’elezione di sette governatrici di contea, un record per il Kenya, anche se dopo il voto sono riemersi i pregiudizi. “È eclatante il caso di Kawira Mwangaza, che la contea di Meru non aveva di fatto neanche cominciato ad amministrarla” ricorda Nyange. “I consiglieri uomini hanno tentato una procedura di impeachment con accuse di corruzione e nepotismo, mentre la stampa titolava sul carattere ‘da boss aggressivo’ della governatrice senza affrontare le questioni di merito”.

Ne ha scritto il quotidiano Daily Nation ancora questa settimana. Secondo il giornale, Mwangaza ha sconfitto il governatore uscente grazie alla sua popolarità nelle aree rurali, conquistata anche grazie a distribuzioni di materassi e stivali di gomma nei villaggi più svantaggiati. Tra le fonti citate nell’articolo c’è una dirigente della contea, ma avrebbe potuto essere una delle croniste di Amwik: “In una società ancora perlopiù patriarcale gli uomini non riescono ad accettare che il leader politico possa essere una donna”.

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