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“Lo scanniamo come un vitello”: operazione antimafia a Bagheria, otto fermi. Scongiurato un omicidio

Indagine 'Persefone', seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Salvatore De Luca, e condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri

Pubblicato:13-09-2021 08:34
Ultimo aggiornamento:15-09-2021 08:34

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PALERMO – Operazione antimafia a Bagheria, in provincia di Palermo. I carabinieri del Comando provinciale hanno eseguito otto fermi su richiesta della Direzione distrettuale antimafia nei confronti di altrettanti indagati ritenuti, a vario titolo, responsabili di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di droga, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione e lesioni personali aggravate (reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose).

L’indagine, denominata ‘Persefone‘, è seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Salvatore De Luca, ed è stata condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri sulla famiglia mafiosa di Bagheria.

I carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno ricostruito i ruoli all’interno del clan di Bagheria. Il ruolo di comando sarebbe stato di Massimiliano Ficano, che “in forza del forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale“, avrebbe preso il posto di Onofrio Catalano, detto ‘Gino’, con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti.


Ficano “in forza del forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale – dicono i carabinieri – induceva Catalano a ridimensionare il proprio ruolo e lo relegava in posizione subordinata, con compiti esclusivamente connessi alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione del nuovo capofamiglia”. Ficano e Catalano, nonostante il travagliato avvicendamento al vertice, si sono impegnati nel mantenere il controllo del territorio e avrebbero imposto estorsioni e guidato le piazze di spaccio di droga. Le scelte operative sarebbero state comunque in capo a Ficano, il quale nel corso di una conversazione intercettata con un suo stretto collaboratore affermava che in questo momento le attività più remunerative per la famiglia mafiosa di Bagheria erano costituite dalla gestione di centri scommesse e dal traffico di sostanze stupefacenti. Attività illecite che venivano controllate direttamente dal capomafia, anche se non si esponeva mai in prima persona delegando i più fidati collaboratori. I proventi servivano anche al sostentamento dei familiari dei detenuti.

Tra le estorsioni scoperte, quella messa in atto da Catalano nei confronti dei titolari di un panificio di Bagheria, rei di produrre dolci: una attività considerata dannosa per un vicino bar gestito da una persona considerata vicina alla famiglia bagherese di Cosa nostra. Le vittime sono state effettivamente costrette a smettere di produrre i dolci.

Tra gli indagati, oltre a Catalano, anche Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano. Quest’ultimo, imprenditore edile, è considerato vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e, in particolare, allo storico capo mandamento detenuto, Leonardo Greco.

L’indagine ‘Persefone’ ha consentito di bloccare un progetto di omicidio che era stato pianificato dai vertici del clan nei confronti di un pregiudicato. Quest’ultimo, estraneo alla famiglia mafiosa, era ritenuto poco incline al rispetto delle ‘regole’ imposte dal clan. Si tratta di Fabio Tripoli, che spesso aveva sfidato colui che, secondo i carabinieri, avrebbe preso in mano le redini della famiglia mafiosa bagherese: Massimiliano Ficano.

La risposta del clan all’atteggiamento di Tripoli non tardò ad arrivare: in sei lo picchiarono selvaggiamente provocandogli un trauma cranico e un trauma a una mano. Tripoli reagì alla spedizione punitiva e armandosi di accetta fece sapere in giro di essere intenzionato a incendiare un locale da poco inaugurato da Ficano. Visto l’affronto pubblico Ficano e un altro degli indagati, Bartolomeo Scaduto, avrebbero quindi deciso l’eliminazione di Tripodi “pianificandone nel dettaglio – sottolineano i carabinieri – l’omicidio”. “Lo portaimo in campagna e lo scanniamo come un vitello”, si sente nelle intercettazioni (video).

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