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Treble city, re di Champions nonostante l’Inter

Vince il City che nulla, mai, lascia al caso. Ma stavolta si fa bastare un 1-0 che non varrà a questa finale una sua pagina Wikipedia. Resterà una partita vinta e basta

Pubblicato:10-06-2023 23:36
Ultimo aggiornamento:11-06-2023 16:24

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NAPOLI – Too big to fail. Non ancora, non più. Il Manchester City s’è preso la “sua” Champions League. Il mostro finale è battuto. Il destino inseguito per anni, progettato, scritto, controfirmato da Abu Dhabi. Eccola, incontestabile: la Champions del City. Con l’Inter a riempire di sogni una finale, fino all’1-0 – solo un gol, firmato Rodri – che riporta tutti sulla terra conquistata dagli alieni.

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Eppure c’era stato un tempo, il primo, sfuggito alle ipotesi. Anche quelle più fantasiose. Il City non faceva il City e l’Inter non se ne stava rintanata in un’area asfissiata, con un cappio tattico a stritolarla. Una parantesi di pace temporale, uno stallo, in cui la finale di Champions più scontata della narrazione moderna sarebbe ripartita dopo 45 minuti sullo 0-0, e senza De Bruyne (uscito per noie muscolari). Una sola, prima e unica, vera occasione sui piedi di Haaland. Una risposta altrettanto pesante dell’Inter avrebbe atteso il 58′, con Lautaro troppo egoista per trasformare una dormita di Akanji in un assist per l’accorrente Lukaku (dentro al posto di Dzeko). Un tranello crudele.


Ne sarebbe seguito il secondo tempo predefinito. Il gol di Rodri al 67′, classica azione City, con Bernardo Silva che dal fondo serviva il piattone chirurgico alla sinistra di Onana. E poi una traversa di Di Marco, pochi attimi dopo. E ancora l’1-1 masticato e sputato via da Lukaku – minuto 88′, nientemeno – con una testata a un metro da Ederson, sprecata sul ginocchio del portiere. E infine una parata decisiva a recupero scaduto, un secondo prima della fine.

Vince il City che nulla, mai, lascia al caso. Fondato sulla capacità di pianificare non solo la mossa successiva ma tutte le mosse successive, con un’attenzione maniacale ai dettagli, e la sfacciata sicurezza di attraversare gli ostacoli e nel frattempo – già che ci sono – di impedire che ne nascano di futuri.
Il Manchester stavolta si fa bastare un 1-0 che non varrà a questa finale una sua pagina Wikipedia. Resterà una partita vinta e basta, mentre quelle prima avevano via via preso le forme d’una Gioconda, se non di vere e proprie lezioni morali, rimproveri. Contro il Real Madrid, contro il Bayern Monaco: la strategia dell’azzeramento, della terra bruciata. L’Inter, visto il contesto, sarebbe stato un agnello sacrificale finito per caso sui binari dell’alta velocità.

Il City suggella un dominio. L’hard power finanziario, politico, tattico e tecnico. Il sadico disprezzo verso la concorrenza, blandita dalla bellezza del gioco, dai modi melliflui di Guardiola. La perfezione di una campagna militare vinta con altri mezzi, più o meno infiniti. La squadra che non voleva solo vincere, ma farlo demoralizzando l’avversario.

E’ passata un’era geologica dal Guardiola che cazziava pubblicamente i suoi giocatori, li chiamava “fiorellini felici”, gente appagata accusata di giocare per inerzia. Per non parlare della preistoria ormai elaborata del City sfigato, condannato alla sconfitta. Il “tipical City” che non c’è più. Quella che una volta era una passione masochistica ora è un progetto, una ricerca del dominio su una scala che il calcio mai aveva visto prima. Il City versione 2023 è un killer, metodico, livido, concussivo. Sempre in controllo, padrone e signore.
Contro l’Inter si spoglia degli orpelli, i glitter, quel modo fluido e decorativo di farsi bello a discapito del dirimpettaio malcapitato. Ma davvero si possono battere questi? Era la domanda di questa ennesima vigilia. In sette anni il City ha creato un’intersezione di talento, fitness, movimenti, chimica, e sistemi. Imbattibile mai, perché nello sport è un ossimoro. Eppure ecco le variabili, i colpi di scena, le insicurezze, l’idea stessa – romantica – che chiunque può sempre battere chiunque, azzerate o quasi: campioni d’Europa per supposta e conclamata superiorità. Inter nonostante.
Il triplete – anzi.. il treble – non è più un valore anomalo nell’equazione del City. Tornano tutti i conti. Il City è diventato troppo grande per fallire.

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