NEWS:

Le Mercedes? Devi dire a tuo padre che non esistono più

"Ieri sera - martedì 22 aprile 2024 - abbiamo vinto il ventesimo scudetto: sulla maglia oltre al tricolore avremo la seconda stella, una ogni dieci scudetti. Battendo il Milan nel derby, sbancando San Siro versione casa loro"

Pubblicato:23-04-2024 20:21
Ultimo aggiornamento:23-04-2024 20:23
Autore:

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

di Giuseppe Pace

BOLOGNA – La sera in cui Mario mi spedì dal tabaccaio a comprar sigarette ormai inesistenti, fu la fine di un amore stantìo – non so più nemmeno cosa fumare, commentò deluso al mio ritorno a mani vuote – e l’inizio di una storia infinita: quella mia con l’Inter. Uscire, volare al SaleTabacchi e rientrare in casa era stata solo una parentesi nel racconto che stava facendo mentre giocava a carte coi suoi amici, operai come lui del pastificio Corticella. Lavoravano farina in canottiera e bustina bianca in testa: spaghetti, penne e conchiglioni. In particolare, ricordo un nome che narrava, tal Lorenzi, centravanti nerazzurro degli anni Cinquanta, detto Veleno, che segnava, dribblava e menava. E poi il Mago. Il Mago, il Mago, il Mago: Herrera, l’allenatore della Grande Inter, lo squadrone che vinse tutto a metà dei Sessanta, mentre io nascevo, nel giugno 65 (e il 6 di quel mese vincevamo il nono scudetto, subito seguito dalla seconda Coppa dei Campioni e dalla prima Coppa Intercontinentale).

Mio padre smazzava con Gibin, il solo nome che ricordi dei suoi sodali, e gli altri, tutti arrivati a Bologna per metter su famiglia, diceva mirabilie calcistiche e innestava in me la passione per il Football Club Internazionale, meglio noto come Internazionale (“perché noi siamo Fratelli del Mondo”, recita lo statuto fondativo del 1908). Semplicemente Inter.


La sera delle Mercedes mancate avrò avuto sei, sette anni. L’inizio.

Il primo scudetto che vidi dal vivo fu quello del campionato 1979-80, Eugenio Bersellini in panchina, il sergente di ferro, con Altobelli-Muraro davanti e subito dietro Beccalossi, numero dieci dal clamoroso sinistro. Poi chiaro, il 2010: campionato, Coppa Italia e Champions League (la vecchia Coppa dei Campioni) portati a casa nella stessa stagione, con Mou – gigante assoluto – a guidare una truppa mai vista. Però lì hai già 45 anni, sei adulto, hai una famiglia, una professione, hai costruito una vita; sì ma la fantasia che diventa realtà pensavi dovesse essere solo un sogno, invece era il Triplete: roba che nessuna squadra italiana c’è mai riuscita.

Ma poi c’è l’Inter. La filosofia che si materializza, le sovrastrutture che si sfaldano. Il gol di Eto’o a Stamford Bridge (uno a zero al Chelsea di Carlo Ancelotti, sempre anno di grazia 2010) e gli occhi increduli della curva nerazzurra in trasferta. La doppietta di Milito al Bernabeu, per fare lo Storia quella con la maiuscola: dio mio El Principe!

Noi che abbiamo visto Ronaldo, l’unico Fenomeno, non imitazioni plastificate.

Ieri sera – martedì 22 aprile 2024 – abbiamo vinto il ventesimo scudetto: sulla maglia oltre al tricolore avremo la seconda stella, una ogni dieci scudetti. Battendo il Milan nel derby, sbancando San Siro versione casa loro. Che restano a diciannove scudetti, noi a venti, noi che portiamo la seconda stella a Milano, come già avvenne per la prima.

Tutto perfetto, tutto giusto, tutto inevitabile. Come solo l’Inter.

Mio padre al fischio finale mi ha mandato un messaggio: sei felice eh? Ma di brutto, così tanto che aggettivi non esistono. E son corso fuori tre gradini alla volta, schizzando in tabaccheria a comprar le Mercedes, di nuovo disponibili. Giuro, è tutto vero.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it