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Essere donna di scienza nel 2024, il racconto ad Aism della prorettrice della Statale di Milano

In un’intervista la visione appassionata di Maria Pia Abbracchio, tra difficoltà e speranze. Domenica la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza

Pubblicato:09-02-2024 12:54
Ultimo aggiornamento:09-02-2024 12:55
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Maria Pia Abbracchio
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ROMA – L’11 febbraio si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza. Chi sono? Quali sono le loro storie? Tante sono spesso dimenticate. E quali invece vengono ricordate? Soprattutto, esiste un modello di scienziata cui riferirsi per imparare a emergere in un mondo che, ancora nel 2024, è popolato dal pregiudizio che fare lo scienziato sia un mestiere da uomini, perché convinti (luogo comune, purtroppo) che le bambine non hanno una mentalità analitica e mancano di rigore e razionalità.

Vero è che nonostante l’ingresso massiccio delle ragazze nelle università, la partecipazione femminile ai corsi di laurea Stem (Science, Technology, Engineering and Maths) è ancora inferiore a quella maschile.
E quanto è difficile scegliere, come donna, la professione di scienziata? Enrica Marcenaro di Aism (Associazione italiana sclerosi multipla) lo ha chiesto a Maria Pia Abbracchio, scienziata italiana, prorettrice vicaria e con delega a Ricerca e Innovazione dell’Università degli Studi di Milano ‘La Statale’, e membro del comitato scientifico di Fism, la Fondazione italiana sclerosi multipla.

“La prima volta che ho visto una collega scienziata portarsi in laboratorio un neonato è stato nel settembre nel 1981, a Houston in Texas, quando lavoravo alla Medical School. L’Istituto di ricerca era il meglio di quanto qualunque ricercatore al mondo potesse desiderare. Io ero una giovane post dottoranda innamorata del mio lavoro. Ci inventavamo gli esperimenti e, se ce n’era bisogno, costruivamo con le nostre mani gli strumenti per farli. Mi piacevano le giornate e persino le notti dedicate allo studio in laboratorio. Mi piaceva, quando tornavo a casa, passare davanti agli edifici dove Chris Barnard aveva messo a punto la tecnica del primo trapianto di cuore. Non avevo capito che per me e mio marito tutto stava per cambiare. Che la mia vita sarebbe cambiata in un attimo e per sempre. Mi ero accorta di essere incinta. E tutto perché io e Angelo oltre a essere scienziati eravamo giovani e sani e la prima imprudenza ci aveva tradito”.

Comincia così la storia di Maria Pia, donna scienziato che è riuscita a rompere il “soffitto di cristallo”. Ce l’ha fatta, ma non dimentica la fatica di mantenere alto il livello della sua professionalità, della sua dedizione alla scienza e alla sua passione. La ricerca e la scienza sono passione. Non c’è dubbio. E sono qualcosa a cui nessuno può chiederti di rinunciare. Maria Pia Abbracchio con Marilisa D’Amico lo raccontano bene nel loro libro, Donne nella scienza. La lunga strada verso la parità (FrancoAngeli). “Nonostante all’epoca vivessi nella civilissima America, avevo visto quanto poco fosse tutelata la maternità anche lì”. Era però forte la mia certezza che non volevo rinunciare a niente. Né al figlio né al mio lavoro. E in più la certezza che sarebbe stata dura, anzi durissima”.
Durissima esperienza, certo. Persino i numeri remano contro le donne scienziate. Ogni 27 Nobel, solo uno è vinto da una scienziata; ogni tre ricercatori d’ingegneria al mondo solo una è donna. Statisticamente, le donne e le ragazze costituiscono solo il 28% dei laureati in ingegneria e il 20% di quelli laureati in informatica e computer science. Passando invece al campo della ricerca, occorre notare come alla percentuale femminile di ricercatori, stimata intorno al 33,3%, siano garantite di solito borse significativamente inferiori a quelle dei colleghi maschi. In un rapporto Unesco del2018, il 72% degli scienziati del mondo è uomo. La percentuale arriva al 97% nell’informatica. Solo il 20% dei docenti in IA a livello mondiale sono donne. Ma non è tutto. “Il dato che risulta più rilevante è un altro. Se si ripercorre la storia della scienza si trovano, spesso nascoste, molte donne che, seguendo la loro passione con tenacia, hanno raggiunto traguardi importanti. E sono molte le donne che hanno dato contributi fondamentali alla scienza e alla medicina senza che il loro nome venisse ricordato, a cui sono stati ‘sottratti’ e non riconosciuti i meriti. Ma la maggior parte delle donne che non sono emerse agli onori della cronaca nella storia della scienza sono donne che sarebbero potute diventare scienziate importanti, che hanno vissuto dietro le quinte, con ruoli degni di controfigure, non avendo avuto la possibilità di abbattere le barriere imposte dalla cultura, dalla società, dalla famiglia, dalla legge. A dirlo è ancora lei, Maria Pia Abbracchio.

Ribadiamola questa verità, allora, e proprio nell’occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, l’evento, istituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre del 2015 e patrocinato dall’Unesco, che si celebra ogni 11 febbraio.

Quanto è importante per le giovani scienziate poter far riferimento a esempi positivi cui ispirarsi?
“È importantissimo. Per me lo è stato. L’ho capito quando ero già una ricercatrice senior, avanti nella mia carriera. È stato importante capire che anche le scienziate affermate hanno dovuto affrontare le stesse difficoltà, hanno avuto gli stessi dubbi, gli stessi momenti di scoramento e hanno fatto la stessa fatica. Ma che nonostante questo, ce l’hanno fatta. E ho capito che quando si diventa un po’ più vecchi, arriva il momento di restituzione. Di dare, a chi inizia, un po’ di quello che hai avuto tu, e di comunicare la passione per la conoscenza a chi ne sa cogliere il grande valore. Per chi fa ricerca e insegna, creare opportunità per i giovani non è solo una priorità fondamentale, è un dovere morale”.

Perché è importante che il mondo della scienza sia popolato e rappresentato anche da donne?
“Faccio un esempio. C’è un gap pauroso nel mondo della matematica e dell’informatica. Solo il 20% delle docenti di matematica al mondo sono donne e solo il 13% delle donne si iscrive a informatica. Se a scrivere gli algoritmi che guidano i grandi sistemi più innovativi della tecnologia e dell’Intelligenza artificiale sono per la maggior parte uomini, c’è il rischio di generare uno squilibrio molto forte nei risultati. La mancanza di donne nella progettazione di questi algoritmi impedisce di sfruttare la grande ricchezza che può derivare dal confronto di punti di vista differenti, condizionando, ancora prima nascere, scelte politiche e sociali future. Che non saranno né inclusive né propulsive verso lo sviluppo sociale, sanitario, educativo. Credo che in ogni ambito della ricerca il contributo di più punti di vista tra loro differenti, compreso quello delle donne, siano una risorsa”.

Perché scegliere di essere una scienziata impegnata in enti di ricerca Non Profit?
“Penso che sia – e per me lo è – il sogno di ogni ricercatore, vedere concretizzarsi i risultati della propria ricerca. Il senso della ricerca traslazionale è un po’ come il sogno che si avvera davanti ai tuoi occhi. Vuol dire vedere i risultati della tua ricerca diventare reali; vuol dire avere il privilegio di consegnare nelle mani delle persone (che sono il senso del tuo impegno), il progetto cui hai dedicato tanto. E poi sapere che magari nella storia di vita e di malattia di una persona, quel pezzettino di positività, quella risposta così importante, gli è stata data anche grazie al tuo contributo, è un po’ il senso di tutto. La Ricerca e la Scienza sono al servizio della Società e della comunità. È un onore essere una scienziata e fare qualcosa che serve agli altri”.

Perché scegliere di essere membro del comitato scientifico della fondazione di Aism?
“Questa mia scelta fa parte dell’etica della Scienza, in cui credo. Credo che la Scienza sia anche Etica e faccio la mia parte impegnandomi anche nel far sì che siano le opportunità migliori di ricerca a essere scelte per il futuro, che siano i progetti scientifici più promettenti e rigorosi a poter contribuire a sconfiggere le malattie come la sclerosi multipla e a far avanzare la Scienza. Sento forte questa responsabilità. La Scienza è bene se rigorosa e etica. L’eccellenza si raggiunge così. Dare il mio contributo all’interno del comitato scientifico della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla è per me un gradissimo onore”.

Qual è una tra le figure che hanno influenzato la sua storia di scienziata?
“Una di queste è stata Rita Levi Montalcini; ho avuto la grande fortuna di conoscerla non solo quando era presidente di Fism, ma quando lavoravo a Londra. Era una relatrice straordinaria che sapeva trascinare perb ore folle di scienziati con le sue spiegazioni chiarissime e con il suo esempio di dedizione, passione per la ricerca e purezza etica”.

Donne e uomini. Quali sono i buoni scienziati?
“Facciamolo dire a Rita Levi Montalcini. Diceva che i migliori erano quelli che non lavorano solo nei laboratori; diceva che si è migliori solo se ci si dedica alla costruzione di un mondo migliore per tutti: è solo così che la vita di scienziato vale davvero”

Eccolo qui il senso di una giornata come questa. Provare a sconfiggere i pregiudizi, superare gli stereotipi, accelerare il progresso favorendo la piena parità di genere nelle scienze. Questo divariob di genere significativo e persistente, “sta privando il nostro mondo di un enorme talento e forza di innovazione inespresse. Abbiamo bisogno delle prospettive femminili per assicurarci che la scienza e la tecnologia funzionino per tutti”, ha dichiarato António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Bene. Allora l’idea è questa. Trovare il modo di parlare di scienza tutti i giorni. E poi costruire insieme e ricostruire oltre gli stereotipi, al di fuori dei laboratori di ricerca, facendo disseminazione, cultura,b raccontando, spiegando alle giovani generazioni il valore di una professione che non conosce confini, oltre al talento e all’impegno. Perché l’amore per la scienza si nutre solo di questo, di impegno, passione e soddisfazione. Di nient’altro.

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