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La scrittrice Caridi: “Il 9 novembre digiuno collettivo con Alaa che in Egitto rischia di morire”

Abdel Fattah vuole ricordare che i diritti ambientali rivendicati dalla Cop27 di Sharm El-Sheikh non sono slegati da tutti gli altri

Pubblicato:08-11-2022 15:44
Ultimo aggiornamento:08-11-2022 15:44

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ROMA – “Domani, 9 novembre, chiediamo alle persone di aderire al digiuno collettivo in solidarietà con Alaa Abdel Fattah, detenuto egiziano che domenica scorsa, dopo oltre 200 giorni di sciopero della fame, ha iniziato anche quello della sete in concomitanza con l’avvio della Cop27 per denunciare che le nazioni hanno deciso di organizzare un summit per i diritti ambientali in un paese che li viola tutti, da quelli umani a civili, ambientali compresi”. Con la Dire parla Paola Caridi, giornalista e scrittrice esperta di Medio Oriente, ideatrice di un’iniziativa per Abdel Fattah iniziata il 28 maggio scorso con un “digiuno a staffetta che non si è interrotto neanche un giorno”. Data la gravità della situazione, domani l’appello è ad una iniziativa collettiva.

Caridi conosce bene la vicenda di Abdel Fattah, anche perché ha collaborato al libro “Non siete ancora stati sconfitti”, pubblicato nel 2021 (Fritzcarraldo Editions, traduzione italiana di Monica Ruoco edita da Hopefulmonster), un testo che raccoglie discorsi e articoli redatti dall’attivista scritti soprattutto durante i vari periodi di detenzione nell’arco di dieci anni. “Alaa- dice Caridi- rappresenta simbolicamente ciò che in questi anni abbiamo sbagliato: continuare a considerare l’Egitto il campione di stabilità del Mediterraneo. Ma oggi la realtà ci dice altro: da anni le organizzazioni confermano che in Egitto tutti i diritti sono sistematicamente violati. Si contano oltre 65mila prigionieri di coscienza. Nonostante questo, gli abbiamo permesso di ospitare un evento fondamentale come la Conferenza Onu sul clima”.

Abdel Fattah è tra i nomi più noti del movimento democratico che ha animato la rivoluzione del 2011. Dal 2019 si trova in carcere, e a dicembre scorso è stato condannato a cinque anni di reclusione perché, con il suo attivismo politico, avrebbe “diffuso false notizie”, un reato per il quale attende un verdetto anche lo studente di Bologna Patrick Zaki. Capi d’accusa che secondo diverse organizzazioni, l’Egitto di Al-Sisi utilizzerebbe per imbavagliare ogni voce critica. Per proclamare la sua innocenza e denunciare le condizioni carcerarie ha iniziato uno sciopero della fame che prosegue da 220 giorni.


LO SCIOPERO A RISCHIO DELLA VITA

Il primo novembre, con l’approssimarsi della Cop27 di Sharm El-Sheikh, Abdel Fattah ha deciso di passare allo sciopero della fame totale togliendo anche le ultime 100 calorie che assumeva al giorno, pari “ad un bicchiere di tè con un po’ di miele”, avverte Caridi, e come se non bastasse “il 6 novembre ha avviato lo sciopero della sete. Per un corpo già tanto debilitato, smettere completamente di bere significa scegliere consapevolmente di rischiare la vita entro la fine della Cop27, il prossimo 18 novembre”.

Una decisione estrema e durissima per la famiglia, che ha avuto l’ultimo incontro a fine ottobre e “non sa se lo rivedrà al prossimo di metà novembre” avverte ancora Caridi, che osserva: “Alaa può persino dirsi ‘fortunato’ perché alcuni non vedono i famigliari per anni”, come accaduto a Ramy Shaath, altro attivista che per quattro anni non ha potuto vedere la moglie, cittadina francese, a cui Il Cairo negava il visto d’ingresso nel Paese.

“L’UE PUò INCIDERE SUL RISPETTO DEI DIRITTI”

Intanto, isolato e senza certezza che riceva cure mediche adeguate, “Alaa sta scomparendo” denuncia Caridi citando le parole della sorella di Alaa, Mona Seif. “Da quasi un anno Alaa chiede la visita di un medico indipendente e del console britannico, avendo ottenuto la cittadinanza britannica, e gli viene negato”. Anche da qui la decisione di legare la sua protesta alla Cop27: “Alaa con le sue scelte vuole ricordarci che nessun diritto, tanto meno quello di vivere in un pianeta sano, è slegato dal rispetto dei diritti umani, civili, politici e così via. E purtroppo l’Egitto li viola tutti. Non è neanche campione di tutela ambientale: ha decimato gli alberi del Cairo, metropoli da 20 milioni di abitanti, e sta costruendo Cairo 2 nel deserto, una mega opera edilizia di cementificazione”.

Un’iniziativa che sta gettando un’ombra scura sulla Conferenza di Sharm El-Sheikh, dove sono al lavoro rappresentanti ed esperti da quasi tutti i Paesi del mondo per frenare l’innalzamento delle temperature: “L’attuale governo egiziano- afferma Caridi- sfrutta ogni occasione per imporsi a livello internazionale e all’iniziativa di Alaa non ha neanche risposto. Le nazioni, e soprattutto l’Unione Europea, devono capire che con le loro scelte – e in modo non coloniale – possono incidere in modo da favorire il rispetto dei diritti umani, a partire dall’Egitto: non si può organizzare il summit sul Clima in un Paese che si comporta in questo modo. Il Cairo ha anche limitato la partecipazione di tante ong alla Cop27 e compiuto tantissimi arresti preventivi”.

Un presidio per Alaa si terrà questo pomeriggio alle 17 davanti l’ambasciata del Regno Unito a Roma, organizzato da Amnesty International ed EgyptWide.

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