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Nel mondo oltre 200 milioni di donne sono vittime di mutilazioni genitali

Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità ogni anno sono circa 4 milioni le donne che rischiano di subire queste pratiche

Pubblicato:08-03-2022 18:45
Ultimo aggiornamento:08-03-2022 18:45

mutilazioni genitali femminili_aidos
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ROMA – Nel mondo sono oltre 200 milioni le ragazze e le donne che hanno subito multilazioni genitali femminili (MGF), secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità al 2020. Ogni anno sono circa 4 milioni le donne che rischiano di subire queste pratiche. Secondo i dati 2021 di Unicef e Unfpa, infine, la pandemia potrebbe aver esposto al rischio altri due milioni di bambine e ragazze a causa della chiusura delle scuole e dell’interruzione dei programmi di protezione. A riportare i numeri relativi alle Mutilazioni genitali femminili è stato Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) del Movimento e ‘Uniti per Unire’, intervenuto alla giornata di studi ‘La Salute incontra i Diritti Umani. Le mutilazioni genitali femminili e la salute riproduttiva’, organizzata in occasione della Giornata internazionale della Donna dall’AO San Giovanni Addolorata.

“Ringrazio la Regione Lazio, l’assessore Alessio D’Amato e il direttore generale dell’Ospedale San Giovanni per aver organizzato questo convegno importante dove è fondamentale ribadire il ‘No alla MGF’ e combattere ogni forma di violenza sulle donne e sulle bambine. Costringere le ragazze a metodiche vietate, senza il loro consenso – pratiche che vanno bandite dal punto di vista legislativo e sanitario da tutto il mondo – è infatti una violenza atroce”.

Aodi ha quindi sottolineato l’importanza della prevenzione e della mediazione culturale per combattere queste pratiche e ridurle quanto più possibile, anche nei Paesi in cui emigrano persone provenienti da nazioni in cui le MGF vengono praticate. Per questo, il presidente di Amsi ha lanciato la proposta di “istituire, con la Regione Lazio, Amsi e Uniti per Unire, un ‘Osservatorio anti-mutilazioni genitali femminili per promuovere formazione, istruzione, comunicazione e protezione a livello nazionale e internazionale. È molto importante- ha aggiunto concludendo il suo intervento- combattere anche la medicina ‘fai da te’ alla quale ricorrono ancora troppi cittadini immigrati che faticano a integrarsi nei Paesi in cui si stabiliscono”.


“Le donne che hanno subito una mutilazione genitale vivono in una prigione dalla quale sanno che non verranno mai più liberate- ha sottolineato Saveria Mobrici, presidente della Camera penale militare– Nell’opinione pubblica è diffusa la convinzione che nella maggior parte dei Paesi africani queste pratiche siano legali e invece non è così. La maggior parte degli Stati africani le condanna e le ha dichiarate fuori legge: ha iniziato la Sierra Leone negli anni ’20, seguita dal Sudan nel 1946, da Senegal, Ghana, Uganda e Gibuti negli anni ’90. Un cammino che è proseguito anche negli anni duemila e che prosegue ancora oggi. Un percorso che va sostenuto a livello internazionale e incentivato”. “Oltre alle complicanze immediate e a quelle di lungo termine, le mutilazioni genitali femminili provocano danni ulteriori alle donne che le hanno subite perché, in occasione del parto, viene praticata la defibulazione e dopo che il bambino è nato molte donne, su pressione del marito ma anche per motivazioni proprie, chiedono di essere re-infibulate. Se consideriamo che queste pratiche potrebbero essere necessarie più volte, in occasione di ogni gravidanza, capiamo l’impatto che esse possono avere sulla salute di queste donne”, ha spiegato Paola Lopizzo, ginecologa dell’Unità operativa di Salute riproduttiva e IGV dell’AO San Giovanni Addolorata.

Dai numerosi interventi che si sono susseguiti durante la giornata è emerso con forza come le MGF non abbiano alcun fondamento scientifico e nessuna motivazione di tipo medico-sanitario, si tratta di pratiche antichissime (l’infibulazione totale viene chiamata ‘faraonica’ perché risale all’Antico Egitto), il cui retaggio è esclusivamente culturale e religioso.

Riguardo alle motivazioni religiose alla base di tali pratiche, Jossy Ivie Obamwonyi, una ragazza nigeriana venuta in Italia nove anni e recentemente laureatasi in una professione sanitaria con una tesi di laurea dedicata proprio alle MGF, ha tenuto a specificare che “non è vero si tratti di pratiche diffuse quasi solo tra i musulmani, in realtà sono trasversali e ricorrono anche tra fedeli di altre religioni, compresa quella cristiana. Dall’indagine che ho condotto per la mia tesi- ha spiegato- è emerso che il 90% delle donne immigrate che nella loro vita hanno subito una mutilazione genitale non sono felici di questo e non vorrebbero sottoporre le proprie figlie a tali pratiche. Molto diversa è- invece- la situazione per le donne che vivono in Nigeria. Tra coloro che ho intervistato, il 48% non conosce le conseguenze delle mutilazioni e pensa che sottoporrebbe le proprie figlie a una di queste pratiche. Se si chiede alle donne perché farebbe praticare le mutilazioni genitali sulle proprie figlie, la risposta è che così le ragazze sono più attraenti agli occhi degli uomini che potrebbero prenderle in sposa e che in questo modo si evita che abbiano una vita sessuale promiscua”.

L’iniziativa, ha spiegato Tiziana Frittelli, direttore generale del San Giovanni Addolorata, “nasce con l’obiettivo di contribuire a promuovere i diritti di cura della sfera sessuale e riproduttiva contro la violenza e diventa occasione di confronto tra esperti e di dibattito con testimonianze, per tracciare un’analisi dal punto di vista sociale, legislativo e medico sanitario. Troppo spesso si dimentica che, in alcuni Paesi, la donna è ancora vittima di rituali violenti quali le mutilazioni genitali femminili”. 

Per diverse culture, prosegue Frittelli, “questo è un rito di passaggio importante che ogni donna deve affrontare nella vita e, perciò, paradossalmente un momento da ‘festeggiare’. Per evitare l’emarginazione dalla comunità, milioni di donne sono ancora costrette a sottoporsi a tale pratica che rappresenta per tutte un immenso trauma, oltre a una evidentissima violazione dei diritti delle donne, ancora bambine quando subiscono questa forma di violenza. Dedichiamo questa giornata a tutte le donne che stanno vivendo la guerra, con un pensiero particolare e tutta la nostra vicinanza alle donne ucraine”.

“Le mutilazioni genitali femminili rappresentano un rituale violento ancora purtroppo diffuso in molti Paesi e che vede vittime molte, troppe donne- ha ricordato l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato– Qui al San Giovanni verrà istituito un ‘Help desk’ per fronteggiare queste pratiche illegali. A fine mese- ha inoltre annunciato- presenteremo il primo Rapporto sulla Salute di Genere”. “Una società multietnica offre opportunità di crescita per tutti- ha dichiarato Barbara Funari, assessore alla Salute e Politiche sociali del Comune di Roma– Uno dei temi critici emersi negli ultimi anni riguarda la tradizione di pratiche di violenza sulle donne come le mutilazioni genitali femminili e continuata anche da alcune comunità presenti in Italia. Gli obiettivi che dobbiamo perseguire sono la prevenzione e il contrasto del fenomeno attraverso forme di educazione sociale che possono contribuire alla sensibilizzazione delle famiglie. La rete dei servizi (sociali, sanitari, giudiziari) del territorio, in stretta collaborazione con mediatori culturali specializzati, rappresenta il percorso più opportuno per aiutare queste donne”.

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