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8 marzo, Bolivia e Kenya si mobilitano contro violenze e impunità

Pubblicato:08-03-2022 16:09
Ultimo aggiornamento:08-03-2022 16:09

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ROMA – A La Paz, in Bolivia, è stato creato un ‘muro della vergogna’, dove son ostate affisse le foto e i nomi dei presunti responsabili di omicidi e violenze rimasti impuniti oppure assolti ingiustamente. In Kenya, invece, la marcia per l’8 marzo si è trasformata in un appello per porre fine all’impunità per chi commette violenze, dopo che la scorsa settimana una tassista è stata aggredita da parte di un autista di mototaxi.

A LA PAZ IL MURO DELLA VERGOGNA AL PALAZZO DI GIUSTIZIA

Per celebrare la Giornata internazionale della donna, in Bolivia la società civile ha scelto la causa dell’impunità per i crimini sessuali e i femminicidi. Le attiviste del collettivo Mujeres Creando nella capitale La Paz già a partire da ieri hanno invitato vittime e familiari delle vittime a erigere un “muro della vergogna”: al Palazzo di giustizia, decine di persone hanno affisso le foto con i nomi di presunti responsabili di violenze e uccisioni di donne, o dei responsabili che hanno goduto di assoluzioni, rilasci e sconti di pena considerati “ingiusti”. Tra le immagini esposte, anche quelle dei giudici accusati di favorire questo clima di impunità.
Il presidio convocato ieri è durato 24 ore, con i partecipanti invitati ad accamparsi davanti al Palazzo di giustizia – che si trova di fronte a quello della Procura generale – perché come sostiene il collettivo Mujeres Creando, ospiterebbe gli autori di quella “corruzione e prevaricazione” che avrebbero favorito il regime di impunità, e quindi le violenze contro le donne.

QUELLE TANTE, TROPPE GRAVIDANZE TRA ADOLESCENTI

Il fenomeno in Bolivia è serio, come si apprende da un report del 2021 dell’ong Handicap International – Humanity and Inclusion. Secondo lo studio, la Bolivia presenta il più alto numero di gravidanze tra le adolescenti dell’America Latina, spesso “conseguenza degli abusi sessuali subiti”. Stando all’analisi, oltre la metà delle donne intervistate (pari al 52,3%) ha dichiarato di aver subito violenza fisica o sessuale da parte del proprio partner. A fronte di questa situazione però, solo l’1% dei casi di violenza di genere finisce in tribunale e vede la condanna dell’imputato.


PER SETTE SU DIECI LA VIOLENZA È IN FAMIGLIA

Oltre a ciò l’ong francese, che ha un focus particolare sulla protezione delle persone con disabilità, ha denunciato che le donne affette da disabilità fisica o mentale in Bolivia hanno dieci volte di probabilità in più di subire abusi rispetto alle donne normodotate.
Sette su dieci di coloro che hanno denunciato una violenza sessuale inoltre ha accusato un membro della propria famiglia. La metà riferisce di aver rischiato la vita dopo la violenza. Dato il rapporto di dipendenza quotidiana che queste bambine, ragazze e donne vivono rispetto alle loro famiglie, solo una minima parte trova il coraggio di denunciare gli aguzzini, come denuncia ancora Handicap International.

LE LEGGI CI SONO MA MANCANO LE RISORSE

Eppure, la Bolivia negli ultimi trent’anni ha adottato una serie di leggi per sradicare le violenze e le discriminazioni contro le donne, tra cui l’ultima del 2012 frutto di una battaglia durata otto anni, che criminalizza pressioni, violenze fisiche e psicologiche e abusi sessuali contro donne che ricoprono incarichi politici o pubblici e che permette loro di denunciare senza doversi dimettere.
Progressi ritenuti importanti secondo la Commissione interamericana per i diritti umani, che tuttavia avverte che la mancanza di risorse e delle istituzioni necessarie rende molto difficile tradurre le leggi dalla carta alla pratica.

IN KENYA LA MARCIA DELLE DONNE LANCIA APPELLO CONTRO IMPUNITÀ

In Kenya la marcia per i diritti delle donne si è trasformata in un appello per porre fine all’impunità per chi commette violenze, dopo che la scorsa settimana una tassista è stata aggredita da parte di un autista di mototaxi. Le dimostranti hanno sfilato nel centro della capitale Nairobi con cartelli con cui dire, tra le altre cose, “Insieme possiamo fermare la violenza di genere” e “Ascoltate il nostro grido”.
Le associazioni in questi giorni avevano già fatto appello affinché venisse creata una task force per regolare gli operatori dei “boda boda”, i mototaxi con cui comuni cittadini offrono passaggi in cambio di denaro. Un appello che stamani il ministro dell’Interno Fred Matiang ha accolto, assicurando che il governo interverrà per regolamentare il settore.

CON LA PANDEMIA SONO AUMENTATE MOLESTIE E VIOLENZE

Oltre a ciò, il Kenya è tra quei Paesi in cui durante la pandemia si è registrato un aumento nei casi di molestie e violenze sessuali, ma anche di sfruttamento sessuale, matrimoni precoci e mutilazioni genitali femminili.
L’ong Plan International in un report del mese scorso ha avvertito che oltre alla crisi economica globale innescata dal Covid-19, Paesi come Kenya, Etiopia e Somalia contano 13 milioni di persone che faticano a trovare quotidianamente cibo e acqua potabile a causa di conflitti o fenomeni climatici come siccità e invasioni di locuste che distruggono i raccolti. Ciò può spingere le famiglie, come avverte l’organizzazione, a compensare la mancanza di reddito attraverso la pratica delle “spose bambine”, il lavoro precoce e lo sfruttamento sessuale. Tutti fenomeni che non solo obbligano bambine e adolescenti ad abbandonare la scuola o percorsi di formazione, ma che lasciano anche conseguenze sulla loro salute fisica e psicologica.

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