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Strage di Bologna, Faranda: “Non sapevo che il covo di via Gradoli fosse dei Servizi”

L'ex militante delle Br è stata ascoltata in qualità di testimone assistita: "Non ho mai avuto nemmeno il sospetto che ci fossero contatti tra i brigatisti e i Servizi segreti"

Pubblicato:07-07-2021 14:47
Ultimo aggiornamento:07-07-2021 14:47
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BOLOGNA – “Non ero a conoscenza che in via Gradoli 96 ci fossero appartamenti riconducibili ai Servizi segreti, e per quanto è a mia conoscenza non ho mai avuto nemmeno il sospetto che ci fossero contatti tra i brigatisti e i Servizi“. A dirlo ai rappresentanti della Procura generale, testimoniando in Corte d’Assise a Bologna nel processo sulla strage del 2 agosto 1980 a carico di Paolo Bellini, Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia, è l’ex militante delle Brigate rosse, Adriana Faranda, ascoltata oggi in qualità di testimone assistita per oltre due ore.

La maggior parte della testimonianza ha riguardato, appunto, i covi di via Gradoli 96 a Roma, usati in periodi diversi prima dalle Br (in particolare nel 1978, durante il sequestro Moro) e poi, nel 1981, dai Nar. Dall’inchiesta della Procura generale è infatti emerso che molti degli appartamenti dello stabile erano gestiti da società o persone riconducibili ai Servizi, in particolare il Sisde.

Faranda, entrata nelle Br alla fine del ’76 e uscita assieme a Valerio Morucci per contrasti insanabili con il resto dell’organizzazione -in particolare i due erano contrari all’uccisione di Aldo Moro- fu arrestata nel maggio del ’79 mentre si trovava in un appartamento di viale Giulio Cesare 47 a Roma. Assieme a lei e a Morucci, venne catturata anche Giuliana Conforto, proprietaria dell’appartamento e figlia di Giorgio Conforto. Quest’ultimo era una spia del Kgb e, come ha ricordato il sostituto pg Umberto Palma, “faceva anche il doppio gioco per i Servizi Usa e italiani”.


Palma ha poi sottolineato un’altra ‘coincidenza’, oltre a quella relativa all’utilizzo dell’appartamento di via Gradoli, legato ai Servizi, da parte delle Br, ovvero che l’avvocato di Giuliana Conforto, Alfonso Cascone, “era un agente del Viminale”. Un’ulteriore stranezza sottolineata dai pg, ma definita dalla testimone come “l’ennesima coincidenza”, è il fatto che lo stabile di via Massimi 91 a Roma in cui aveva trovato rifugio il brigatista Prospero Gallinari ospitava anche il cardinale Egidio Vagnozzi, che aveva contatti con i Servizi e con Giorgio Di Nunzio, faccendiere legato a Licio Gelli.

Domani e venerdì la Corte si sposterà in Tribunale a Roma per ascoltare alcuni testimoni che per vari motivi non possono venire a deporre a Bologna, tra cui l’ex prefetto Umberto Pierantoni, già responsabile della Direzione centrale della Polizia di prevenzione del ministero dell’Interno, l’ex terrorista di estrema destra Paolo Aleandri e alcuni parenti di Federico Umberto D’Amato, ritenuto dagli inquirenti uno degli organizzatori e finanziatori della strage alla stazione di Bologna.

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