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’40 anni da Litfiba’, la vita e il rock di Ghigo Renzulli

È uscita l'autobiografia del chitarrista scritta con il giornalista della Dire, Adriano Gasperetti, e pubblicata da Arcana. Ecco il primo capitolo

Pubblicato:03-03-2021 08:46
Ultimo aggiornamento:03-03-2021 08:48

Ghigo-Renzulli
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ROMA – Quarant’anni di storia del rock, attraverso gli occhi e i ricordi di uno dei più famosi chitarristi italiani. Dall’esperienza Cafe’ Caracas, con Raf, alla nascita di una delle più longeve rock band italiane, i Litfiba. Federico “Ghigo” Renzulli racconta e si racconta nell’autobiografia ’40 Anni da Litfiba’, scritta con il giornalista della Dire, Adriano Gasperetti. Un racconto nudo e crudo, in cui riflette, ricorda, e traccia un percorso che va dall’infanzia all’esperienza londinese, fino alla nascita della band portata al successo con Piero Pelù. Pubblichiamo il primo capitolo del libro:

URLANDO AL MONDO

Electric Lady Studios, New York 1970. 50 anni dopo ci avrei missato due brani, ma in quell’anno Jimi Hendrix ci registrò il suo ultimo blues, Belly Button Window, un brano bellissimo e con un gran testo. Un bambino non ancora nato guarda fuori dalla “finestra dell’ombelico” di sua madre e, vedendo le facce tese e accigliate dei suoi genitori, si chiede se davvero lo vogliano. Fosse per lui, se ne tornerebbe anche nella terra degli spiriti dalla quale proviene, ma la situazione non è quella. Prendere o lasciare, hanno solo duecento giorni per decidere e poi lui verrà al mondo a dispetto dell’amore e dell’odio. Io sono come quel bambino e, anche se la vita è difficile, ho sempre voluto viverla pienamente, lottando con convinzione per quello in cui credo. Proprio per questo, in un lontano giorno di dicembre, tirai fuori la testa e lasciai il mio caldo rifugio urlando al mondo a pieni polmoni.
Sono nato il 15 dicembre 1953 a Manocalzati, un paesino sulle montagne dell’Irpinia, in provincia di Avellino, una località che fino a pochi anni fa era dimenticata da Dio ma che recentemente, con il boom delle aziende agricole e degli ottimi vini che produce, è rinata fino a diventare quella che ora chiamano “La Svizzera del Sud”.
Sono ormai lontani i tristi ricordi del terremoto che colpì questa bella terra nel 1980.Venni alla luce in una clinica privata gestita da suore perché dopo cinque giorni mia madre Antonietta non riusciva a partorirmi, dato che pesavo più di quattro chili e mezzo, e per sicurezza l’ostetrica consigliò di andare in ospedale. Alla fine riuscirono a prendermi la testa con il forcipe e mi tirarono fuori.Così il mio luogo di nascita è Manocalzati, dove c’era la clinica che oggi non esiste più, e non San Michele di Serino dove abitavano i miei genitori insieme ai nonni paterni. Una volta a casa, la notizia di questo bambino nato grossissimo, fece il giro del paese e tutti i compaesani andarono a trovare i miei genitori per vedere di persona. Mi chiamarono Federico, come mio nonno paterno, un piccolo proprietario di vigne e terreni. Come moltissime famiglie meridionali, anche noi avevamo le nostre usanze, le nostre tradizioni, che vanno rispettate.Come per la scelta del nome. Nella nostra famiglia, i primi figli maschi si dovevano chiamare Federico o Giuseppe, in maniera alternata.
Per molte generazioni questa tradizione era sempre stata rispettata.
Io però decisi di non rispettarla.
Quando nacque il mio primo figlio non l’ho chiamato Giuseppe, come mio padre, perché il nome, pur bello, era di derivazione troppo ecclesiastica, e quindi scelsi Alessandro, un nome più forte, più da condottiero, in sintonia con il mio nome Federico. E per la stessa ragione, d’accordo con la mia compagna di allora, il secondogenito fu chiamato Cesare e la terzogenita Lucrezia. Interruppi la tradizione di famiglia e mio padre non mi parlò per quattro o cinque anni.
I miei genitori erano giovanissimi: mia madre (nata nel 1931) quando mi partorì aveva 22 anni e mio padre (nato nel 1926) ne aveva 27. Si erano conosciuti subito dopo la guerra a una festa da ballo e si erano fidanzati.


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