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In Myanmar è ricercato Ashin Wirathu, il bonzo ultranazionalista

Per lui è stato chiesto l'arresto per incitamento all'odio, in particolare contro le istituzioni dello Stato. Ma non si trova: nel suo monastero non ci sono tracce

Pubblicato:29-05-2019 10:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:20

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ROMA – E’ scattato il mandato d’arresto per Ashin Wirathu, personalità controversa del panorama politico del Myanmar. Il monaco è infatti ritenuto da più parti uno dei leader dell’estremismo buddhista e ultranazionalista del Paese, al punto che nel 2013 la rivista americana ‘Time’ lo defini’ “il volto del terrorismo buddhista”. Nei suoi discorsi pubblici il bonzo non perderebbe occasione per attaccare le varie minoranze del Paese, tra cui anche i rohingya, perlopiù musulmani. Wirathu è sempre stato un fervente sostenitore della giunta militare, al punto che nell’ultimo comizio del 15 maggio ha incitato i suoi sostenitori a “venerare i militari presenti in Parlamento come degli dei”.

Inoltre, come sempre ha anche lanciato attacchi contro la Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito di governo della Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, oggetto di invettive poiché ritenuto “antidemocratico”. Tanto è bastato a far scattare il mandato d’arresto per incitamento all’odio, in particolare contro le istituzioni dello Stato.

Secondo fonti di stampa concordanti, però, le manette per Wirathu non sono ancora scattate: nel monastero di Mandalay, dove ieri gli agenti si sono recati per dare seguito al mandato d’arresto, non c’è più traccia di lui e al momento non si avrebbero altre informazioni. Il bonzo, se giudicato colpevole, rischia fino a tre anni di reclusione.


Il Myanmar, dopo il golpe del 1962, è stato retto per oltre 50 anni dalla giunta militare. Ignorato poi l’esito delle prime elezioni libere, nel 1990. Vari difensori per i diritti umani accusano la giunta di perseguitare ancora in vario modo le minoranze nel Paese, tra cui quella dei rohingya, a cui viene negato il diritto alla cittadinanza. L’ultima offensiva che nel 2017 questa comunità ha subito – con oltre 700mila persone costretti a fuggire nel vicino Bangladesh – sarebbe stata così efferata da spingere le Nazioni Unite a parlare di “pulizia etnica”.

L’arrivo al governo della Lega di Suu Kyi, nel 2015, ha permesso di far entrare in parlamento anche deputati non provenienti dalle Forze armate, che ora stanno lavorando a una riforma costituzionale che elimini la quota di seggi riservata ai militari. Una riforma, anche questa, da sempre osteggiata da Wirathu. E come osservano vari quotidiani, è concreto il rischio che il bonzo possa sottrarre voti al partito di Suu Kyi alle elezioni generali del prossimo anno.

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