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La premier Meloni in Parlamento c’è, la segretaria del Pd no

L'editoriale del direttore Nicola Perrone

Pubblicato:28-06-2023 16:58
Ultimo aggiornamento:29-06-2023 11:07

meloni
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ROMA – Ancora assente. “Incredibile, ma questo è l’abc della politica, quando in Parlamento viene il Presidente del Consiglio la leader del Pd deve esserci, deve essere lei ad intervenire“. Tra i parlamentari Dem sono in molti quelli rimasti a bocca aperta, increduli nel constatare che la segretaria Dem invece di essere alla Camera per replicare alla premier Giorgia Meloni era volata a Bruxelles per una riunione, sussurra qualche cattivo, “che si terrà domani”. Come mai questa scelta? “In molti siamo rimasti senza parole – spiega un esponente del Pd- anche perché Meloni interveniva su temi centrali dell’Unione europea, materia della segretaria, che invece ha deciso di far intervenire Boldrini e De Luca, per carità va bene, ma Fassino e Amendola avrebbero avuto più voce in capitolo“.

Poi sulle comunicazioni di Meloni è arrivato il commento di Schlein da Bruxelles, altro sale sulla piaga: “Vorrei capire chi le fa l’agenda, chi le fa fare queste brutte figure – insiste il Dem- non è la prima volta che la segretaria si assenta, nei momenti caldi del dibattito e dello scontro politico la sua sembra quasi una fuga – insiste il Dem- col suo pensiero che viene poi propalato dal suo giro ai giornalisti con la formula ‘parlando con i suoi’… ma parlasse lei quando deve e bisogna replicare agli avversari, altro che con i suoi amici”.

Va bene, lo sfogo è sicuramente di parte, di chi magari ha un’idea di partito diversa da quella della nuova leader. Il problema è che tra i Dem la soglia di allarme sta crescendo perché si collezionano sconfitte su sconfitte, ultima in Molise, e la tendenza è sempre in calo. Tra un anno ci saranno le elezioni europee e andranno al voto anche Regioni importanti e molti comuni capoluogo.


Il ‘cerchio’ Schlein, a questo appuntamento, guarda con grande fiducia e ottimismo: addirittura in molti sono convinti, e lo dicono in giro a chiunque,  che il Pd prenderà il 30% superando pure Fratelli d’Italia di Meloni. Voi capite che c’è qualcosa che non torna. A partire dall’analisi, o almeno un piccolo ragionamento, su quello che è accaduto e sta accadendo. Vero, in passato si discuteva forse troppo e si scendeva pure troppo nel dettaglio di una sconfitta elettorale. Ma qui la gente va a votare, sempre meno, il centrodestra vince (quasi sempre), il Pd e i suoi alleati anche quando trovano uno straccio di intesa non aggiungono qualche nuovo consenso ai loro, ma si cannibalizzano. Alla fine la strategia politica, al limite della psicoanalisi, sembra questa: si cerca sempre e comunque l’alleanza col M5S di Giuseppe Conte o altri, che se anche non porta nuovi (altri) voti almeno consente al Pd di strapparne una quota all’alleato di turno.

Ma come insegnava il maestro alle elementari cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia... e quindi con questi numeri si perde di sicuro. Venendo alla comunicazione della premier Meloni in Parlamento, poteva essere l’occasione per la segretaria Dem di mettere in luce l’operazione che la stessa Meloni sta realizzando in Europa come presidente dei partiti Conservatori per allearsi lei col Partito popolare del presidente Manfred Weber mandando all’opposizione i Socialisti europei. Stava qui, forse, l’arma migliore che la leader dell’opposizione poteva usare per spiegare agli italiani il vero motivo delle tante perplessità espresse da Meloni su importanti provvedimenti europei: che diventano merce di scambio proprio in vista del possibile ribaltamento dell’asse politico e quindi della nuova strategia politica dell’Unione europea da attuare in futuro.

Nuova strategia che, se Meloni vincerà, punterà sempre più a polarizzare lo scontro sui temi cari alla Destra: nazionalismo, identità, famiglia e natalità, basta immigrati, diritti sì ma meglio quelli del tempo che fu. Invece nel Pd, quello che i dirigenti rivendicano essere l’unico vero partito ancora rimasto in campo, non si riesce a fare uno straccio di analisi, un confronto nel merito. Si resta intrappolati in una sorta di qui e ora asfissiante, legato a quello che accade in quel minuto. Si risponde mandando a memoria la formuletta che i comunicatori hanno messo giù sul titolo del momento senza curarsi che dopo qualche ora magari un collega affermerà il contrario. Sono sicuri, il ‘presentismo’ ha ucciso qualsiasi memoria, anche quella a breve, e quindi chi se ne importa di ragionare basta stare sul pezzo. Potrebbe andar bene se ci fosse un qualche risultato positivo. Il fatto è che si continua a perdere, e che a crescere sono solo le preoccupazioni degli attuali arrivati a mantenere i loro posti. Quindi affidiamoci al miracolo, al 30% per cento che tra un anno il Pd prenderà alle Europee. Lo assicura Schlein ai suoi.

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