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A Giffoni ‘La Madre’ di Amalia De Simone, nel doc le intercettazioni delle paranze dei bambini

"Non si nasce assassini o camorristi", spiega alla Dire l'autrice del documentario che sarà proiettato il 29 luglio al Giffoni Film Festival

Pubblicato:26-07-2023 15:02
Ultimo aggiornamento:26-07-2023 15:10

valente-montanino 'la madre'
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NAPOLI – “Non si nasce assassini o camorristi, ma esiste l’educazione che può essere un’educazione criminale oppure un’educazione salvifica”. Così alla Dire Amalia De Simone che ha firmato il documentario ‘La Madre’ che sarà proiettato, in un evento speciale, il 29 luglio al Giffoni Film Festival. Regia e lavoro giornalistico sono della reporter De Simone, fotografia, riprese e montaggio sono a cura di Simona Petricciuolo e delle stessa De Simone. Le musiche originali sono della cantautrice Assia Fiorillo, che ha composto la canzone ‘La Madre’, colonna sonora del documentario, insieme con De Simone con cui ha scritto il testo.

“Questa cosa qui – prosegue De Simone – è in capo alle madri. La figura femminile è fondamentale perché in genere è quella che resta a casa. Oggi in determinati contesti di sottoproletariato mafioso le donne hanno in mano i destini dei propri figli, dei propri nipoti, e ce l’hanno a volte in una dimensione di male assoluto. Che esista un museo, un luogo di cultura aperto a tutti, è fondamentale. Purtroppo questa cosa si è esaurita con la presidenza di Laura Valente che ha anche portato al risanamento dei bilanci del Madre perché si è sparsa la voce di una vita, di un’attività interessante all’interno del museo di arte contemporanea, e sono arrivati tanti visitatori”.

Il documentario è ambientato in una parte del centro antico di Napoli che per anni è stato ostaggio di degrado e camorra. In questo fazzoletto di territorio patrimonio dell’Unesco si sono affrontate bande ferocissime di ragazzi seminando terrore e morti innocenti. Sentire le loro voci autentiche che rimbombano nei vicoli e che parlano di rappresaglie, omicidi da compiere, modalità di vita indifferente a qualsiasi atrocità, è un racconto importante per decifrare la città. Nel doc ci sono le intercettazioni vere utilizzate nelle inchieste della direzione distrettuale antimafia di Napoli e quasi mai ascoltate.


Sentire dalla viva voce delle persone – argomenta De Simone – quello che succedeva in quel momento, quindi gli ordini di andare a uccidere delle persone, di fare dei raid, è completamenre diverso dal fatto di poterle leggere o di poter sapere che questa cosa è accaduta perché è come prendersi dieci schiaffi in faccia. È importante perché ci stiamo un po’ abituando a certe cose, a certe narrazioni, sta diventando tutto troppo fiction. La fiction certe volte scimmiotta la realtà, ma la realtà è molto più forte, è un qualcosa che a volte non immaginiamo nemmeno. Sentire una madre che dice a un figlio ‘vai, uccidili, sparagli nella macchina, non fa niente che ci sono i bambini’ è terribile così come lo è sentire due ragazzi che parlano dell’omicidio di un innocente, Genny Cesarano, dicendo ‘quello è morto d’infarto, lo ha detto l’autopsia, si è cacato sotto, ha avuto paura’. Queste cose qui sono terribili, ascoltarle dalla viva voce fa tutto un altro effetto. Ho scelto di fare questa cosa mettendo le immagini dei posti dove queste cose sono state dette prorio perché ci fosse la percezione della bruttezza di tutto questo, paragonato poi alla bellezze di altri fatti, di gesti d’amore come quelli di Lucia Montanino, di Laura Valente, che invece hanno portato, in qualche modo, alla salvezza di altre persone”.

Al centro del racconto c’è, dunque, anche il Madre, museo d’arte contemporanea Donnaregina della Regione Campania, che nel corso della presidenza di Laura Valente (febbraio 2018-gennaio 2021) è rimasto sempre aperto per la gente, quella stessa gente che fino a poco prima ignorava che lì ci fosse un museo. “Il Madre prima era percepito come un ufficio comunale dalla gente del posto. Laura – racconta l’autrice del documentario – ha aperto quel portone giallo, ha fatto enterare la gente del posto. I luoghi di cultura non devono essere elitari, devono avere una funzione sociale. Devono avere una funziona anche di ascensore sociale per migliorarsi. Devono dare la possibilità alle persone di guardare la vita in un’altra prospettiva, non di conoscere solo la bruttezza degli ordini di camorra, delle piazze di spaccio, delle stese. Sapere che c’è anche altro come vedere questi ragazzini, che nei loro giorni normali potrebbero essere reclutati dalle paranze, avere a che fare con artisti, fare cose, tornare anche un po’ bambini perché in certi posti si perde anche l’infanzia”.

Nel lavoro di De Simone ci sono le voci degli esponenti delle paranze dei bambini che raccontano di agguati, con le sorelle, le madri che li istigano alla vendetta, all’eliminazione fisica dei loro avversari, a pianificare delitti correndo il rischio di uccidere anche chi non c’entra nulla con le loro misere faide. E poi ci sono le storie di Lucia Di Mauro Montanino, che ha avuto suo marito assassinato da alcuni minorenni e ha avuto la forza di perdonare e “adottare” uno di questi ragazzi, e di Anna, appena uscita dal carcere dopo otto anni: fuori ha ritrovato un figlio cresciuto senza di lei e ha affrontato la perdita di un altro figlio dato in adozione dopo il suo arresto. Nel suo quartiere i bambini confezionavano dosi di droga e spacciavano.

Il doc ruota intorno alla parola Madre, che è il nome del museo, ma sono le madri che, come viene raccontato, possono essere istigatrici del male o via di salvezza per i propri figli e comunque le donne che spesso hanno in mano le sorti di certi quartieri. “Nei luoghi di cultura, nelle fondazioni, nei musei – e mi prendo la responsabilità di questa affermazione in cui non c’entra nulla nessun protagonista di questa storia – spesso le nomine politiche – chiosa De Simone – incidono negativamente. Questi sono luoghi che vanno affidati a dei professionisti che sanno quello che fanno, che hanno un’idea, che hanno un modo di lavorare aperto alla città e che porti effettivamente dei linguaggi nuovi. è successo anche al Mann con il grande lavoro di Giulierini. Laura ha fatto un grandissimo lavoro al Madre, quando c’era lei del Madre si parlava. Senza nulla togliere a chi è venuto dopo”.

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