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‘Milkman’ di Anna Burns: intervista sulla traduzione con Elvira Grassi

"Vi spiego perché è un romanzo originale e illuminante". Il libro, vincitore del Booker Prize 2018, è pubblicato in Italia da Keller.

Pubblicato:25-11-2019 08:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:39

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Immaginate una diciottenne che negli anni Settanta – in una città senza nome dell‘Irlanda del Nord, dilaniata da bombe e intolleranza – si aggira per le strade con un libro in mano. Nel quartiere cattolico in cui abita è considerata una ragazza strana, non solo perché legge mentre cammina e si lascia ammaliare dai tramonti, ma anche perché è stata vista girare con in mano la testa mozzata di un gatto. All’improvviso un quarantenne legato a gruppi paramilitari e noto come il lattaio, la avvicina, piegandola alla sua volontà. E’ la trama di ‘Milkman‘ di Anna Burns, vincitrice del Booker Prize 2018. Il romanzo, che ha conquistato migliaia di lettori in tutto il mondo, è stato pubblicato in Italia da Keller. L’agenzia Dire ha intervistato la traduttrice del libro, Elvira Grassi, che per diversi mesi si è immersa nella prosa fluviale della Burns, riuscendo a restituire la forza e il ritmo imposto dalla scrittrice.

Qual è stato il primo approccio al libro? Conoscevi già il romanzo in lingua originale?

“Ho letto Milkman in inglese quando Roberto Keller me lo ha affidato per valutarlo – non era ancora entrato nella short list del Man Booker Prize 2018. Mi è bastato leggere il primo capitolo per capire che era un romanzo fuori del comune. Più andavo avanti e più trovavo conferma che la scrittura di Anna Burns, e la voce che ha dato alla protagonista, è di un’intelligenza e unicità impressionanti. Ne ho parlato subito in toni entusiastici in redazione, e ancora prima di finire di leggerlo abbiamo deciso che doveva entrare nel catalogo della Keller”.


Quando mi hai parlato la prima volta del libro, lo hai definito “un romanzo originale e illuminante”. Merito di una sperimentazione linguistica capace di avvolgere il lettore e tirarlo dentro?

“La scrittura di Anna Burns è molto naturale, non c’è un’autoimposizione: se di sperimentazione linguistica dobbiamo parlare, è priva di virtuosismi e di invenzioni intellettualistiche fini a sé stessi. È stato questo a conquistarmi, oltre all’originalità narrativa. Milkman è un libro politico; non avevo mai letto un libro che parlasse di problemi così seri, così reali e universali, con una voce tanto ironica e a suo modo surreale. E poi è un libro fatto di parole, sorella di mezzo e la sua storia sono le parole che pronuncia, il lettore viene risucchiato da questo gorgo di parole”.

Per Anna Burns sono stati fatti paragoni con grandi scrittori come Beckett, Joyce, Sterne. Sei d’accordo?

“Di questi autori Burns ha l’altisonanza, la ricchezza e la stratificazione della lingua. Milkman ha fatto sua, secondo me, la lezione beckettiana a proposito dell’individuare la normalità nell’anormalità della vita. Ho trovato echi di Aspettando Godot e Finale di partita. Quando leggevo e traducevo i dialoghi tra sorella di mezzo e cognato-numero-tre, per esempio, pensavo alle conversazioni beckettiane basate sull’inconsequenzialità, sulla non comunicazione, sulla negazione di ciò che era appena stato pronunciato (ma questo si può estendere a tutte le conversazioni che sorella di mezzo ha con chiunque altro, a parte vero lattaio); oppure, l’incapacità dei personaggi di Milkman di accorgersi che il cielo può essere di un’infinità di colori e non soltanto di un “colore ufficiale” (l’azzurro) e di “tre colori non ufficiali” accettabili – cioè l’“azzurro (il cielo di giorno), nero (il cielo notturno) e bianco (le nuvole)” – è la stessa incapacità dei personaggi di Beckett di cogliere le sfumature; o ancora, la comicità che scaturisce dalla tragicità e assurdità della situazione in cui sorella di mezzo vive è la comicità grottesca del teatro di Beckett (“niente è più comico dell’infelicità”)”.

Quanto tempo hai impiegato per tradurlo?

“Parecchi mesi, per la densità e la lunghezza del libro ma anche perché le mie giornate lavorative non sono fatte di sola traduzione”.

Mentre traducevi hai sentito anche tu, come Sorella di mezzo, la necessità di camminare?

“Condivido con Sorella di mezzo l’abitudine di camminare molto e il piacere di correre. Facendo mie le sue parole, quando cammino o corro, “penso meglio, e in modo più elaborato”. Quando cammino o corro, per esempio, trovo le soluzioni migliori per i passaggi più complessi da tradurre. Leggere-camminando è un’abitudine che Anna Burns aveva da adolescente, e il fatto che spesso glielo facessero notare come cosa strana (sottolineo, durante i Troubles) la disorientava. D’altronde la frase più emblematica del libro è il botta e risposta tra sorella di mezzo e l’amica storica: «Stai dicendo che se lui va in giro col Semtex va bene ma se io leggo Jane Eyre in pubblico non va bene?» «Non ho detto che non devi farlo in pubblico. Non lo devi fare mentre cammini. Non è una cosa gradita»”.

Tra le motivazioni che hanno spinto i giurati del Man Booker Prize a premiare “Milkman” c’è l’originalità della lingua. Alcuni critici, però, hanno messo in guardia i lettori, avvisandoli della difficoltà del testo. Per The Guardian è una lettura “macina-cervello”. A me, invece, è sembrato che il flusso generato dalle parole della protagonista sia di grande impatto anche grazie alla tua traduzione. Come sei riuscita a mantenere il ritmo della Burns?

“Prima di cominciare a tradurlo l’ho riletto tutto, ed è stata questa seconda lettura più profonda a farmi capire bene il tono, il ritmo e il linguaggio che dovevo usare. È nell’originale che trovi l’italiano; ma questo vale per tutti i libri che si traducono. La voce di sorella di mezzo è ricchissima e racchiude in sé tutte le voci del mondo che la circonda: è letteraria ma anche colloquiale e confidenziale, è sporca, è pulitina, è adulta, è fanciullesca, è inarrestabile, è mimetica, è malinconica, è furiosa, è riflessiva, è ironica, è beffarda, è cartoonesca, e potrei andare avanti all’infinito. È una voce che mi ha riempito la testa. La sfida per me era farla suonare credibile in italiano”.

Qual è il messaggio che hai ricavato da questo libro?

“Un giorno si sparge la voce che sorella di mezzo se la intende con il lattaio, e questa è una cosa che fa scalpore nel quartiere cattolico della città senza nome in cui vive, per certi versi anche di più della guerra civile in corso a cui la comunità pare assuefatta. Se ne dicono parecchie sul suo conto, e il comportamento di sorella di mezzo viene scandagliato, esaminato con un tale ardore dagli abitanti del quartiere che ogni cosa che fa, compreso leggere-mentre-cammina, viene interpretata come l’indizio di un carattere equivoco, di un’aberrazione mentale. Sorella di mezzo viene bollata come una “inaccettabile” (categoria popolata da personaggi bellissimi: ragazza delle pastiglie; sorella di ragazza delle pastiglie colpevole di essere una persona solare, di irradiare troppa luminosità; l’impulsivo vero lattaio che ostacola le azioni dei rinnegatori-dello-Stato; le femministe donne delle questioni; ragazzo nucleare ecc.). Ecco, il messaggio del libro, secondo me, è che in una società oppressiva e claustrofobica come quella di Milkman, ma più in generale nella vita, l’atto più sovversivo di tutti è essere fedeli a sé stessi, essere autentici, non lasciarsi condizionare dagli altri, non farsi assorbire dal pensiero unico. Solo la libertà di essere sé stessi porta al cambiamento. Un’altra riflessione che vorrei fare è sul caso editoriale di Milkman: ha venduto più di cinquecentomila copie; oltre al Man Booker Prize ha vinto il National Book Critics Circle Award in America, l’Orwell Prize for political fiction ed è stato in short list in tanti altri premi; è tradotto in più di trenta paesi e ne hanno parlato tutti i giornali e le televisioni del mondo; affronta temi universali come vivere e sopravvivere in un luogo sotto assedio qual era l’Irlanda del Nord durante i Troubles, lo stalking, la violenza fisica e la vischiosa pericolosità della violenza psicologica, il patriarcato, il femminismo, l’incomunicabilità, l’odio tra popoli e tra individui, il potere delle maldicenze ecc. ecc., ma in Italia, anche chi si professa femminista o dice di avere a cuore le questioni delle donne lo sta snobbando. Com’è possibile mi chiedo. Poi ci sarebbe la questione del valore letterario, ma è una battaglia persa”.

Elvira Grassi vive e lavora a Roma nello studio editoriale Oblique Studio.

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