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Dantedì, Patota (Crusca): “Su 2mila parole 1.600 le dobbiamo al Sommo Poeta”

"Oggi non sarebbe scandalizzato da linguaggio innovativo. Parolacce? Se ne aveva bisogno le usava"

Pubblicato:25-03-2024 17:18
Ultimo aggiornamento:25-03-2024 17:18

dantedì patota
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ROMA –  ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita’. ‘Tra color che son sospesi’. ‘Fatti non foste a viver come bruti’. ‘Non ragioniam di lor ma guarda e passa’. Alcuni potentissimi versi utilizzati da Dante nella sua Divina Commedia hanno attraversato i secoli e sono diventati proverbiali. Ma quanto effettivamente del nobile passato della nostra lingua continua a vivere nell’italiano contemporaneo? E cosa avrebbe pensato il Sommo Poeta del linguaggio innovativo utilizzato oggi dai giovani? Oppure del turpiloquio, di cui lui stesso faceva uso se ne aveva bisogno? E ancora: perché tutti noi preferiamo l’Inferno alle altre due cantiche, Purgatorio e Paradiso? In che girone Dante avrebbe posizionato chi, ai nostri giorni, scatena e sostiene le guerre? Infine, tutti conoscono il poeta, ma che uomo era Dante?  A queste e ad altre domande ha risposto il professor Giuseppe Patota, ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Siena, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, Accademico della Crusca e dell’Arcadia, intervistato dalla Dire oggi in occasione del ‘Dantedì’, la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri, istituita dal Consiglio dei ministri e dal ministero della Cultura per celebrare il Sommo Poeta. La data scelta per la Giornata, il 25 marzo, è quella che i dantisti riconoscono come l’inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia.

– Professor Patota, intanto perché i dantisti fissano al 25 marzo l’inizio del viaggio di Dante nell’aldilà? 

“Dante ricostruisce perfettamente e dà conto nella Divina Commedia, punto per punto, del tempo e dello spazio del viaggio. Sulla base delle coordinate che lui stesso offre, gli studiosi sono riusciti a ricostruire la durata del viaggio, la data in cui ha inizio e quella in cui ha fine. Si è giustamente deciso di celebrare il ‘Dantedì’ il 25 marzo, quindi, facendo riferimento a quello che, con tutta probabilità, è il giorno che Dante ha indicato come inizio del suo viaggio nell’aldilà. Per  la giornata a lui dedicata non si poteva scegliere il giorno della sua nascita, perché non lo conosciamo con certezza; sappiamo invece che è morto a Ravenna nella notte tra il 13 e 14 settembre del 1321”.


– Perché ancora oggi dobbiamo essere orgogliosi di essere gli eredi della lingua di Dante?

“Lo zoccolo duro della nostra lingua è la lingua di Dante. La maggior parte di quello che diciamo e scriviamo noi lo abbiamo in comune con lui. Questa affermazione nasce da dati statistici elaborati da un grande linguista come Tullio De Mauro, il quale ha dimostrato che quando Dante cominciò a scrivere la sua Divina Commedia, all’inizio del Trecento, il vocabolario fondamentale dell’italiano era composto per poco più del 60%; quando Dante aveva finito di scrivere la Divina Commedia, invece, quello stesso vocabolario era ormai formato per oltre l’80%. Il vocabolario fondamentale dell’italiano è un insieme di circa 2mila parole – poche – con cui noi oggi, indipendentemente dalla nostra estrazione socioculturale e dal nostro titolo di studio, produciamo oltre il 90% dei nostri testi parlati e scritti. Bene: 1.600 circa di queste 2mila indispensabili parole  le abbiamo in comune con Dante. Faccio un solo esempio. Prendiamo il celeberrimo verso della Divina Commedia: ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita’: se noi volessimo parafrasarlo in prosa italiana attuale, dovremmo fare soltanto due piccoli cambiamenti, aggiungere la ‘o’ finale alla parola ‘cammin’ per eliminare il troncamento e trasformare la preposizione semplice ‘di’ in quella articolata ‘della’”.

– La lettura di Dante, però, è impegnativa… 

“Certo che lo è, ma non tanto per la lingua che Dante usa, quanto per le cose che dice. Dante in tutti i suoi versi si dimostra un grande esperto di astronomia, astrologia, fisica, medicina, teologia, religione, diritto e non solo”.

– Ma quanto Dante c’è, effettivamente, ancora oggi nell’italiano attuale? Mi può dimostrare, magari con qualche aneddoto, in che modo il nobile passato dell’italiano continua a vivere nell’italiano di oggi scritto e parlato? 

“Alcuni versi di Dante sono diventati proverbiali, cioè dei modi di dire che noi adoperiamo non dico di frequente ma qualche volta. ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita’: chi non conosce questo verso? Qualche volta accade che i versi di Dante vengano storpiati o trasformati, per esempio: ‘Non ragioniam di loro ma guarda e passa’ con cui Virgilio esorta Dante a non dare troppa importanza agli ignavi, color che vissero ‘sanza infamia e sanza lodo’, diventa ‘Non ti curar di lor ma guarda e passa’. Pensiamo, ancora, a ‘e caddi come corpo morto cade’, il verso con cui si conclude il V Canto dell’Inferno, in cui Dante, dopo aver sentito da Francesca la storia di lei e di Paolo, racconta di essere svenuto. Sono versi che ormai fanno parte della nostra cultura e della nostra lingua. Aggiungo un altro particolare e poi ‘mi taccio’, sempre per usare un dantismo: ci sono personaggi rimasti celebri nella storia della cultura italiana perché li ha immortalati Dante: Paolo e Francesca, Pia de’ Tolomei, il conte Ugolino, Farinata degli Uberti, tutti personaggi realmente esistiti che probabilmente avrebbero avuto qualche citazione nelle opere dei cronisti, ma la loro fama si sarebbe fermata lì. Invece sono diventati famosi proprio grazie a Dante”.

– ‘Tra color che son sospesi’, ‘Fatti non foste a viver come bruti’ o, appunto, ‘Non ragioniam di lor ma guarda e passa’. Sono solo alcuni esempi di versi incredibilmente potenti sopravvissuti nei secoli: qual è la forza di Dante?

“La forza di Dante è la forza straordinaria della sua poesia. Dante è in assoluto uno degli scrittori più importanti, più celebri e più celebrati delle letterature di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Dante se la può giocare con Shakespeare o con Omero (che, oltretutto, non sappiamo neppure se sia realmente esistito). Quando si legge la Divina Commedia si ha l’impressione che davvero, come ha scritto Dante, sia il poema sacro al quale ‘ha posto mano e cielo e terra’. Pochi scrittori come Dante, poi, e pochi testi come la Divina Commedia, hanno avuto un numero così alto di studi e di commenti. Il prodigio di questo poema è anche un altro: la Divina Commedia ha generato altri libri che la riraccontano e sono migliaia. Le pagine che Jorge Luis Borges ha dedicato alla Commedia sono, oltre che di altissima critica, anche di altissima letteratura”.

– Ma perché tutti preferiscono l’Inferno? 

“Perché è in assoluto la cantica più movimentata. In molti canti del Purgatorio e anche del Paradiso Dante affronta questioni teologiche e dottrinali. Una cosa è raccontare la storia di un amore travolgente e drammatico come quello di Paolo e Francesca, altra cosa è fare teologia o filosofia in versi. Ma la grandezza di Dante è proprio questa: mostrando lui di avere una conoscenza e una memoria prodigiose, è riuscito a trattare altissimamente di filosofia, di teologia e di religione utilizzando terzine di endecasillabi a rima alterna incatenata. Insomma: chi ci sarebbe riuscito?”.

– I peccati raccontati nell’Inferno rappresentano i vizi dell’umanità e riguardano tutti noi. Sarà anche per questo che preferiamo l’Inferno, perché ci piace guardarci allo specchio?

“Certamente, c’è anche questa componente. Non dimentichiamo però il fatto che queste stesse colpe e questi stessi peccati scandiscono anche il Purgatorio. La differenza tra le presenze dell’Inferno e quelle del Purgatorio è che le anime dell’Inferno non si sono pentite, mentre le anime del Purgatorio hanno chiesto perdono e dunque si sono salvate. Potranno passare migliaia e migliaia di anni nelle varie cornici del Purgatorio, ma alla fine raggiungeranno Dio nell’alto dei cieli”.

– Dante e le ‘parolacce’. Se le usava lui le possiamo usare tutti?

“No (sorride), o meglio, dipende da come, dove e quando le adoperiamo. Dante è ricorso al turpiloquio perché nella Divina Commedia sperimenta sia l’altissimo sia il bassissimo: l’altissimo nel contatto con la luce di Dio, il bassissimo nel contatto con Lucifero, principe del male. Dante sperimenta tutte le possibilità della sua lingua materna; nel registro basso, naturalmente, ci sono anche le parolacce. Una cosa che mi ha sempre fatto sorridere, leggendo le parafrasi presenti nei testi destinati alla scuola, è che se Dante adopera la parola ‘puttana’, quella parola nella parafrasi diventa ‘prostituta’. È un controsenso: Dante ha tutte le intenzioni di usare la parola ‘puttana’. Nel suo caso non possiamo evocare il “politicamente corretto” perché questa cultura gli era totalmente estranea. Parliamo di un uomo che ha scritto queste cose nel Medioevo, più di 700 anni fa, quando la mentalità era profondamente diversa”.

– Un altro esempio celebre di turpiloquio dantesco che vuole ricordare? 

“Un verso famoso è quello con cui si chiude il XXI canto dell’Inferno, quando il capo della squadraccia di diavoli dà gli ordini attraverso peti. Ma Dante non parla di ‘peti’ e scrive ‘ed elli avea del cul fatto trombetta’. Un altro esempio è nel XXVIII canto dell’inferno, dove Dante colloca gli scismatici, che sono puniti in questo modo: c’è un diavolo che squarcia in continuazione il loro corpo. Dante ne vede uno completamente squarciato e racconta: ‘Tra le gambe pendean le minugia; la corata pareva e ’l tristo sacco, che merda fa di quel che si trangugia’. Dante vuole mostrarci una scena spaventosa, di quelle che sui giornali online oggi sono accompagnate dalla scritta ‘potrebbero urtare la vostra sensibilità’. Dante vuole urtare la nostra sensibilità”.

– Sono note le opere di Dante, forse un po’ meno il suo carattere. Che persona era Dante?

“Ci sono stati dei tentativi di ricostruzione della biografia di Dante: viene presentato come un esule severo, un uomo che ha sofferto per questa sua condizione di esule. Ma per ricostruire l’indole e il carattere di Dante la cosa migliore è far parlare Dante; come lui sia e come lui veda sé stesso ce lo dice attraverso la Divina Commedia, per esempio quando si identifica con alcuni personaggi, da lui considerati positivi, che però magari hanno avuto una sfortuna politica. Esattamente come accaduto a lui, che ha amato Firenze e si è dato da fare per la sua città ma soffre ingiustamente l’esilio”.

– Volendo attualizzare Dante, che avrebbe pensato del linguaggio dei giovani di oggi?

“Dante è stato uno straordinario innovatore e sperimentatore; ha inventato una infinità di neologismi (noi li chiamiamo ‘dantismi’), nella Divina Commedia ha dato prova di plurilinguismo e pluristilismo; ci sono dei luoghi della Commedia in cui a versi italiani si alternano versi latini, c’è un’intera sequenza di versi in provenzale, ci sono perfino dei tentativi di lingue inventate: per esempio Nembrot, il gigante che aveva istigato gli uomini alla costruzione della Torre di Babele, parla, per contrappasso, una lingua fatta di parole incomprensibili, che soltanto lui può capire, essendo stato la causa della confusione linguistica. Il famoso verso ‘pape Satàn aleppe’ contiene parole trasformate dall’ebraico. Insomma, se dovessi rispondere giocosamente alla domanda, direi Dante non si sarebbe scandalizzato per un linguaggio innovativo”.

– Dante e i conflitti. In quale girone Dante avrebbe messo chi oggi anima e supporta le guerre?

“Sicuramente nel girone dei seminatori di discordia, tra quelli che vengono lacerati. E tutto sommato non avrebbe fatto male”.

– In Russia Dante è letto? 

“Assolutamente sì: non solo è letto, ma ci sono tanti illustri dantisti russi. Nel mondo, comunque, credo non ci sia un Paese in cui Dante non sia noto e celebrato. In alcuni luoghi di più, in altri di meno, ma sicuramente non c’è cultura del mondo in cui Dante non sia un nome noto e la Divina Commedia non sia un testo noto. Molti anni fa fui invitato a parlare di lingua italiana e di Dante anche dall’Istituto italiano di Cultura di Kiev in Ucraina”.

– Perché tutti, soprattutto i giovani, dovrebbero conoscere Dante? 

“Dante potrebbe essere utile a tutti, perché come tutti i grandi classici continua sempre a raccontarci qualcosa che è presente a noi, come la guerra, la pace, l’odio, la giustizia, l’ingiustizia, l’amore, il disamore. E Dante lo fa con una maestria, direi con una fantasia, sorprendente. Chi ama il fantasy, per esempio, non può non rimanere incantato da alcuni passaggi della Commedia; quando Dante racconta che sale da un cielo all’altro, dal primo al secondo con Beatrice, e lo fa in un tempo paragonabile a quello che può impiegarci una freccia che sia scoccata da un arco, direi che siamo quasi al teletrasporto”.

– Infine, non possiamo non citare il professor Luca Serianni, che è stato anche suo docente. Qual è l’aneddoto più bello che lega Serianni a Dante? 

“La prima cosa che posso dire è che Serianni ha scritto un libro la cui lettura, veramente, consiglio a tutti: si intitola ‘Parola di Dante’. La seconda cosa è che io sentii parlare per la prima volta di Luca Serianni quando frequentavo ancora il ginnasio, a Ostia, e c’erano i ragazzi più grandi di me che parlavano di un giovanissimo professore che conosceva la Divina Commedia a memoria e che quando spiegava Dante riusciva ad incantare tutti. Questo professore si chiamava Luca Serianni e lo conobbi fisicamente, per la prima volta, quando seguii le sue lezioni alla Sapienza”.

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