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Marco Bellocchio torna con ‘Rapito’: “Spero che il Papa lo veda”

Il regista piacentino presenta al Festival di Cannes il suo nuovo film, dal 25 maggio al cinema con 01 Distribution

Pubblicato:24-05-2023 19:57
Ultimo aggiornamento:25-05-2023 14:04

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ROMA –  Sul palco dei David di Donatello, Marco Bellocchio ha dichiarato: “Spero di avere altro tempo per fare cose belle”. Oltre ad essere uno dei cineasti più splendenti del cinema italiano, Bellocchio sa mantenere le sue promesse. ‘Rapito’, presentato in queste ore in Concorso al Festival di Cannes, è meraviglia sotto ogni punto di vista.

BELLOCCHIO: “SPERO CHE IL PAPA VEDA ‘RAPITO'”

Dopo aver ripercorso la prigionia di Aldo Moro in ‘Esterno Notte’, il regista torna sul grande schermo per raccontare la vicenda realmente accaduta di Edgardo Mortara: il bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX, suscitando un caso internazionale. Una storia su cui anche Steven Spielberg ci aveva messo gli occhi. “Spero che Papa Francesco veda questo film, gli ho scritto una lettera. Ha tanti impegni, chi lo sa…magari trova il tempo per una serata divertente tra amici“, ha detto Bellocchio durante l’incontro stampa. “Al momento lo hanno guardato alcuni sacerdoti, erano emozionati e pensierosi. Lo hanno visto anche alcuni ebrei – ha proseguito il regista – sono stati pervasi da una commozione evidente”.

In sala dal 25 maggio, l’idea del film è nata quando “ho letto il libro di Vittorio Messori in cui c’è una piccola autobiografia di Edgardo che prende le parti della Chiesa e del Papa Pio IX (qui interpretato Da Paolo Pierobon). Ma ci siamo fermati perché abbiamo saputo che Spielberg si era messo al lavoro sul progetto”, ha raccontato Bellocchio. Durante la promozione in America per ‘Il traditore’ abbiamo scoperto che si era fermato. Così abbiamo ripreso in mano il progetto ma non per fare un film con la Chiesa, il Papa o la cecità della religione. Qui non c’è intento ideologico o politico“.


LA STORIA

Nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino era stato segretamente battezzato. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.

Sulla conversione “c’è ancora un mistero. Il giovane Mortara l’ha pagata con malattie e incapacità. Credo non sia mai riuscito a convertire nessuno, se non se stesso. Per gli ebrei è stata un’estrema violenza. Io non giudico, è così e basta“, ha sottolineato Bellocchio. “In Edgardo bambino ci sono una serie di reazioni, non è completamente domato: lui cerca di conciliare i genitori e il Papa, questo lo mostra la scena in cui toglie i chiodi dalla croce. Il rapporto è dialettico, vorrebbe salvare gli uni e gli altri“.

BELLOCCHIO E IL TEMA DEL RAPIMENTO

Il tema del rapimento è ricorrente nella filmografia del regista piacentino dal caso Aldo Moro. “Non mi ci sono mai soffermato su questo aspetto. Il film su Moro e ‘Rapito’ si muovono su due piani differenti. Ad accomunare i due rapimenti è la cecità: quella brigatista convinta che la società diverrà comunista, guidata da un partito rivoluzionario, in ‘Rapito’ c’è da parte del Papa, per cui non è possibile cedere il bambino. ‘Non possumus’ (‘Non possiamo’) – ha continuato il cineasta – era l’ultimo titolo pensato per ‘Rapito’ che esprimeva il concetto del ‘cristiano per sempre'”.

In questo film tornano alcuni interpreti ‘feticcio’, come Fabrizio Gifuni, nei panni di monsignor Feletti, e Fausto Russo Alesi in quelli del papà di Edgardo. “Mi sono rivolto a loro per esperienza, per complicità e affetto. È stato difficile trovare il bambino. C’è stato un casting – ha raccontato Bellocchio – in Emilia-Romagna e mi ha colpito di Enea Sala. Noi vediamo in tv tanti bambini nelle pubblicità dei biscottini, qui bisognava trovare un bambino vero, che non recitasse”.

BELLOCCHIO, 83 ANNI E ANCORA TANTO DA DARE

Ottantatré anni, sì 83. Eppure Bellocchio riesce sempre a disarmare con i suoi film e il suo sguardo sempre lucido, contemporaneo e vivo. Il tempo passa ma non per Bellocchio. “Per questo ringrazio mia moglie”, ha detto il regista, consapevole che “non siamo eterni però cerco di non correre in modo compulsivo e lavoro solo su cose che mi coinvolgono profondamente. L’età ha solo svantaggi ma hai esperienza e maggiore capacità di visione”.

BELLOCCHIO È UN FUORICLASSE

Bellocchio ancora una volta si conferma un fuoriclasse in tutta la sua eleganza e compostezza. Un film che assomiglia a un’opera d’arte, dalla regia alla sceneggiatura (firmata anche da Susanna Nicchiarelli, con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli) fino alla fotografia di Francesco Di Giacomo e alla locandina. ‘Rapito’ è un’attentissima ricostruzione (con la consulenza di Pina Totaro) animata da meravigliose musiche di Fabio Massimo Capogrosso che amplificano angoscia e tensione. Una ricostruzione che non si muove tra ‘frasone’ ad effetto. Al contrario, attraverso sguardi, gesti e dialoghi sussurrati si racconta sì un dramma familiare ma anche il declino delle religioni e del dogmatismo. E ancora, la forza morale e spirituale costretta a lasciare spazio alla forza fisica, alla limitazione della libertà di scelta, alle ipocrisie della Storia e del nostro Paese, agli abusi, alle ossessioni, alle perversioni per il potere, all’orrore della Chiesa che strappa via un bambino dalla sua famiglia e allo strazio di una madre (Barbara Ronchi, sensibile e intensa: una conferma) e un padre che, forse, non rivedranno più il loro figlio.

Date politica e religione a Bellocchio e lui saprà sempre come dipingere sul grande schermo un capolavoro in tutta la sua profondità, passione, potenza e feroce grazia. Un regista capace di riempire gli occhi di chi guarda i suoi film di sorprendenti e poetici dettagli, di interpretazioni che lasciano il segno nel tempo, di riflessioni che si conficcano nella testa e non escono più. Del resto non è strano se quando si ha la fortuna di incontrare il Maestro si desidera non arrivare mai alla fine dell’incontro.

Bellocchio continua a scrivere memorabili pagine di storia del cinema vivisezionando l’Italia, del passato e del presente, in tutte le sue sfumature. È come se smembrasse un puzzle di infiniti numeri di pezzi per poi trovare l’incastro giusto pezzetto dopo pezzetto secondo la sua sorprendente visione e il suo genio. Il risultato? Film che parlano di noi, dell’Italia, della Storia, della politica, della fede, (in tutti i suoi aspetti) e di drammi che non danno risposte ma hanno la capacità di far riflettere, di suscitare emozioni contrastanti e di generare pensiero critico.

Il film arriva nelle sale con 01 Distribution. Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, ha annunciato che “l’incasso nazionale del primo giorno sarà devoluto alla Regione Emilia-Romagna, per l’emergenza in corso“.

Il film è una produzione IBC Movie e Kavac Film con Rai Cinema in coproduzione con Ad Vitam Production (Francia) e The Match Factory (Germania) ed è prodotto da Beppe Caschetto e Simone Gattoni, coprodotto con la partecipazione di Canal +, Cine’ + e Br/Arte France Cinéma in associazione con Film-und Medienstiftung NRW con il supporto di Région Ile-de-France. Il film gode del contributo selettivo del MIC ministero della Cultura e del sostegno della Regione Emilia-Romagna attraverso l’Emilia-Romagna Film Commission. 

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