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La morte ai tempi del Coronavirus, dalla preghiera detta dal benzinaio all’isolamento degli ebrei

L'emergenza Covid-19 ha 'congelato' pressochè tutti i riti religiosi, dai funerali ai battesimi passando per i matrimoni. Ecco come le diverse comunità stanno affrontando la situazione

Pubblicato:23-04-2020 14:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:11

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BOLOGNA – La morte ai tempi del Coronavirus. I funerali senza parenti, le sepolture senza nessuno a gettare un fiore insieme alla bara, l’assenza di un rito e di quell’ultimo saluto che è presente pressochè in tutte le religioni del mondo. Di questo si è parlato ieri a Bologna durante una commissione comunale a cui hanno partecipato i rappresentanti di tre diverse confessioni, quella cristiana, quella ebrea e quella musulmana. I religiosi hanno raccontato come le comunità bolognesi stanno vivendo questa situazione, dagli accorgimenti rocamboleschi a cui qualche parente è ricorso per salutare il caro estinto (come una sosta dal benzinaio accanto al carro funebre) al totale isolamento degli ebrei, impossibilitati per precetto a celebrare riti di tipo telematico. Ma non c’è solo la morte. Le restrizioni anti Covid hanno ‘fermato’ anche gli altri riti di tipo religioso, dai battesimi ai matrimoni.


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PER ULTIMO COMMIATO ANCHE FINTE SOSTE DAL BENZINAIO

silvagniNell’emergenza coronavirus, all’impossibilità di dare il commiato ai defunti nelle forme tradizionali “si è cercato di ovviare, a volte, anche con espedienti un po’ rocamboleschi: una sosta di emergenza in un’area servizio, un distributore che si prestava ad accogliere la salma e due macchine che si accostavano per una preghiera”. Un modo “però poco dignitoso”, sintomo di un “vulnus molto grave” che si creato di fronte alla pandemia. A riferire questi episodi è monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale dell’Arcidiocesi di Bologna, ieri nel corso di una commissione del Consiglio comunale.


In generale, per tutti i riti, le disposizioni si sono fatte “sempre più stringenti”, riepiloga Silvagni: “Sono state sospese immediatamente tutte le attività che prevedono la riunione e la concentrazione di più persone e infine è arrivata la sospensione di tutte le celebrazioni pubbliche”. Ad esempio “i battesimi dei bambini e degli adulti, che sono particolarmente numerosi in questo periodo- spiega Silvagni- sono stati spostati in avanti salvo i casi di emergenza”, in cui vengono adottate “meticolose” precauzioni.

Per quanto riguarda i matrimoni, “alcuni sono stati celebrati ugualmente, anche con le restrizioni stabilite- continua il prelato- e quindi solo con la presenza di testimoni, ministro di culto ed eventualmente genitori, ma poco più di questo. Non ci siamo sentiti di scoraggiare questa iniziativa, che ha qualcosa di eroico e prodigioso”. Ma la maggior parte delle coppie “ha preferito rimandare la celebrazione, anche se con comprensibile disagio, perchè hanno considerato fosse impensabile un rito matrimoniale senza parenti, amici e senza il contatto dei baci e degli abbracci“, sottolinea Silvagni.

“Più delicata”, continua Silvagni, l’assistenza ad anziani e malati in casa o nelle case di cura e negli ospedali: “In generale è prevalso il criterio di prudenza evitando le visite”, negli altri casi si è proceduto “con le dovute precauzioni”. Da parte delle strutture “c’è stata grande disponibilità, ma a volte anche qualche intoppo legato a una situazione del tutto imprevedibile”, racconta il vicario della Curia: si è registrata “qualche interpretazione un po’ troppo restrittiva dei regolamenti o qualcuno che andava avanti secondo il suo punto di vista, soprattutto tra gli operatori sul campo”.

Per la Chiesa bolognese “un dolore molto grande è che molte persone hanno vissuto gli ultimi giorni sole, assistite solo dal personale ospedaliero ma senza la possibilità di avvicinare parenti, amici e ministri di culto”, rimarca Silvagni: “E’ uno scrupolo molto grande, possiamo trovare tutte le giustificazioni del mondo ma non siamo tranquilli, crediamo di non aver saputo suggerire e concordare in fretta misure più rispettose del malato e del morente, oltre che dei familiari”. Perchè l’assistenza “anche spirituale oltre che psicologica e medica”, afferma Silvagni, è “un grande principio di civiltà”. Infine, quello dei funerali è “un punto veramente dolente- dichiara Silvagni- perchè con le progressive restrizioni si è arrivati praticamente a rendere impossibile qualunque commiato, si è detto che sarebbero state consentite le preghiere nella camera mortuaria o sul luogo di sepoltura ma di fatto molta gente è stata lasciata andar via senza un momento di saluto o di elaborazione insieme”. Un prete che benedice “si trova ma non è questo il commiato”, afferma Silvagni, richiamando gli “espedienti” già citati. Ora però “la situazione sta migliorando e si intravede qualche sbocco”, conclude il vicario.

SOS RABBINO CAPO BOLOGNA: NOI SIAMO DAVVERO ISOLATI

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In occasione delle festività religiose, i componenti della Comunità ebraica non possono neanche affidarsi alle tecnologie per condividere il momento nonostante le restrizioni anti-coronavirus: quindi “noi siamo davvero all’isolamento”, sottolinea il rabbino capo di Bologna, Alberto Sermoneta, partecipando ieri alla commissione del Consiglio comunale.

Fin dall’inizio dell’emergenza “abbiamo seguito scrupolosamente le ordinanze sia del Governo che della Regione”, spiega Sermoneta. Quindi sono state chiuse le sinagoghe, le scuole e i luoghi dedicati alle attività di giovani e meno giovani, attivando le opportunità di comunicazione a distanza. Per quanto riguarda le festività, “mi fa piacere sentire” che la comunità cattolica “ha continuato a svolgere delle funzioni- rileva Sermoneta- anche se ristrette a pochissime persone, soprattutto per le feste”.

Per la comunità ebraica finora ci sono state due festività durante l’emergenza. Proprio nel giorno in cui è scattata la chiusura dei luoghi di culto cadeva la festività del Purim: una “semi-festività”, in realtà, per cui “abbiamo potuto usare mezzi tecnologici per entrare nelle case dei nostri correligionari e farli assistere a una piccola parte delle funzioni”. Ma in seguito c’è stata la festa di Pesach, o Pasqua ebraica, cioè “per noi la festività più grande dell’anno“, spiega Sermoneta: essendo una ricorrenza solenne, “non è previsto l’uso di mezzi tecnologici e di comunicazione, quindi non abbiamo potuto fare nessun tipo di manifestazione”.

I matrimoni? “Non ne celebriamo fino a che non saranno riaperte le manifestazioni pubbliche”, afferma il rabbino, anche se al pari di altre cerimonie ebraiche “potremmo celebrarli in un luogo aperto e con la presenza di un minimo gruppo di persone. Ma per evitare malintesi e non negare la possibilità di assistere a ai matrimoni, abbiamo deciso di bloccarli”. Lo stesso vale per le nascite e i funerali, continua Sermoneta.

“Non abbiamo la possibilità di poter fare qualcosa anche se per noi il funerale è fondamentale”, sottolinea il rabbino capo: eppure un funerale ebraico “non ha bisogno di un luogo chiuso, si più fare anche all’aperto, ad esempio nel campo dove la salma verrà seppellita. La cosa fondamentale è che che ci sia almeno la presenza di consanguinei, addirittura anche solo di sesso maschile, cosa che limita ancora di più la partecipazione. E’ l’unica necessità forte che si presenta e per cui dovremo trovare delle soluzioni”.

Finora il tema non si è posto: quella di Bologna è “una piccola comunità” e finora, dall’inizio dell’emergenza, non si sono registrati decessi e nascite. Serve “una strategia che ci deve consentire di riattivare queste forme di socializzazione che appartengono alla nostra storia- aggiunge il presidente della comunità, Daniele De Paz- ma anche al nostro presente e futuro”. Per questo “ci stiamo già interrogando, sia a livello locale che nazionale, su cosa vorrà dire riaprire sinagoghe, luoghi di culto, scuole e doposcuola”, sottolinea De Paz: un tema “complicato”, soprattutto pensando alle grandi festività.

ISLAMICI: SU ADDIO AI DEFUNTI BOLOGNA FA DA ESEMPIO

lafram

Se a livello nazionale si registra “un problema grossissimo” rispetto ai riti funebri islamici nell’emergenza coronavirus, la città di Bologna rappresenta invece una “buona pratica” che fa da esempio. Parola di Yassine Lafram, presidente della comunità bolognese e dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia, che ieri era presente alla commissione del Consiglio comunale. Intanto, a livello nazionale solo una cinquantina di cimiteri hanno spazi dedicati ai musulmani, secondo il censimento dell’Ucoii. E spesso i regolamenti comunali sono “molto restrittivi”, sottolinea Lafram, perchè ad esempio può essere seppellito solo chi è residente in quella specifica città. Mentre Bologna già da tempo “ha risposto molto bene”, segnala il rappresentante della comunità islamica: c’è un campo dedicato nel cimitero di Borgo Panigale e le maglie sono più larghe perchè è disponibile per chi è la residenza nell’area metropolitana, per chi è nato sotto le Due torri anche se poi si è trasferito e per chi deceduto a Bologna mentre era solo di passaggio. Per quanto riguarda poi la situazione attuale, “ci sono Comuni che vietano le cerimonie anche per poche persone“, segnala Lafram, pur essendo quello islamico un rito “molto semplice che potrebbe durare anche cinque minuti”: si tratta di accompagnare il defunto nel campo e fare un momento di preghiera.

Covid-19, emergenza per i defunti musulmani: “Rimpatri bloccati, salme stipate in obitori”

Di nuovo, a Bologna “non abbiamo riscontrato problemi particolari, siamo riusciti ad accompagnare i defunti in questa ultima fase di passaggio”, riferisce Lafram (che, tra l’altro, da alcuni giorni accusa i sintomi del Covid-19 e quindi è in quarantena volontaria per precauzione). Altre realtà territoriali, insomma, dovrebbero prendere Bologna come esempio perchè in Italia “oggi abbiamo molte famiglie che piangono i loro cari non tanto per il lutto, che è naturale- afferma Lafram- ma per il fatto di non averli accompagnati”. Nel rispetto di “tutte le precauzioni”, dunque, questo diritto “va assicurato” e “deve aver il riconoscimento delle istituzioni”, conclude Lafram: “Non stiamo parlando della chiusura di una pasticceria o di una palestra, stiamo parlando di un accompagnamento unico nel suo genere che va rispettato”.

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