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Per le associazioni di Napoli “lo Stato che non protegge” le donne dai femminicidi “è colpevole”

"Le istituzioni giudiziarie civili e penali costituiscono oggi l'anello debole della filiera che dovrebbe proteggere le donne", rimarcano

Pubblicato:21-08-2023 11:32
Ultimo aggiornamento:21-08-2023 11:32
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NAPOLI – “Solidarietà alla famiglia di Anna Scala“. La esprimono le associazioni Salute donna, Arci donna, Udi Napoli, Donne insieme, Psy-com Protocollo Napoli, Maddalena, Dream team – Donne in rete, Coop. Dedalus e la rete dei centri antiviolenza della città di Napoli che si dicono “pronte a intervenire come parte civile nel procedimento penale“.

In una nota, poi, denunciano come la situazione del contesto napoletano e campano non sia difforme dal contesto nazionale che penalizza e revittimizza le donne che subiscono violenza. “Come associazioni in difesa delle donne – spiegano – siamo consapevoli che le istituzioni giudiziarie civili e penali costituiscono oggi l’anello debole della filiera che dovrebbe proteggere le donne. Siamo sempre più indignate dal modo in cui, nonostante leggi, convenzioni, codici rossi e percorsi rosa ospedalieri (all’avanguardia nel nostro paese e in Europa) vengono trattate le donne che si rivolgono a noi quando varcano le soglie dei tribunali. Al pari delle vittime, anche noi come associazioni siamo tenute in scarsa considerazione dalle istituzioni giudiziarie che ci giudicano poco credibili perché portiamo avanti le ragioni, i vissuti e le esperienze delle donne come vittime, mentre si dà ampio spazio a consulenti di varie professionalità non competenti sulla violenza”.

“Diciamo basta – scrivono nella nota – a questo atteggiamento istituzionale che sistematicamente danneggia le donne e non prende nella giusta considerazione le allegazioni prodotte dalle associazioni che le rappresentano. Oggi mettiamo sul banco degli accusati queste istituzioni e pretendiamo che ci ascoltino, dopo inutili tentativi di dialogo e di appelli alla costruzione di tavoli tecnici per condividere buone prassi. Abbiamo costituito una task force contro la violenza perché non transigeremo mai sulla mancata adesione alla Convenzione di Istanbul, messa sotto i piedi, sui ritardi nell’applicare il codice rosso, sulla mancanza di misure cautelari e pre-cautelari che salvaguardino le donne e i loro figli (vittime – riconosciute dalla legge – di maltrattamento assistito), sul calvario che le donne affrontano nei tribunali civili per l’affidamento dei figli in nome di una giuridicamente malintesa bigenitorialità”.


Il nostro obiettivo – concludono le associazioni napoletane – sarà intervenire pubblicamente per denunciare ritardi e omissioni nell’operato della giustizia. Di volta in volta seguiremo le tracce di comportamenti pregiudizievoli per le donne: di non ascolto, di ribaltamento dei ruoli delle vittime e degli aggressori, di considerare come strumentali le denunce di violenza, di indicare le donne come madri malevole, alienanti, addirittura vittime consenzienti di stupri di gruppo effettuati da rei confessi. Tutto ciò al fine di tracciare la filiera delle responsabilità di chi non ha fatto tutto quello che era in proprio potere di fare, di chi ha trascurato e non rispettato le leggi a cui è sottordinato e a cui deve conformarsi anche il ‘libero convincimento’ del giudice, perché per ogni altra violenza, per ogni altro femminicidio, siano perseguiti non solo gli esecutori materiali, ma anche i responsabili istituzionali della mancata protezione“.

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