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Donne, presentato il piano operativo anti violenza. Gelo dai centri D.i.Re: “Calato dall’alto, non ci hanno interpellato”

"Improvvisato e pensato senza interpellare chi lavora sul campo": le critiche della rete D.i.Re. al Piano operativo relativo al Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017-2020)

Pubblicato:21-07-2019 14:49
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:33

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ROMA – “Un piano di 37 milioni di euro, 6 milioni in più dell’anno scorso, ma soprattutto un piano concreto. Abbiamo 10 milioni in più per i centri antiviolenza e le case rifugio, abbiamo un fondo per le donne che vogliono uscire dalla casa o dalla famiglia in cui sono vittime di violenza, abbiamo soprattutto una task force insieme alla Guardia di Finanza per monitorare bene l’utilizzo delle risorse e un programma ad hoc per gli uomini maltrattanti. Credo che siano tutte iniziative molto concrete, soprattutto con risorse certe, che si uniscono al cosiddetto ‘Codice Rosso’ e vanno a dare un quadro di iniziative molto dettagliato e concreto per tutte le donne”. Lo ha detto nei giorni scorsi il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora, a margine della presentazione del Piano operativo relativo al Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017-2020) presentato assieme al ministro per la Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, nella Sala stampa di Palazzo Chigi a Roma.

“Credo che il ‘Codice Rosso’ introduca delle norme importanti non sono a livello emergenziale ma per dare delle risposte a un fenomeno in aumento nel nostro Paese- ha aggiunto Spadafora- Il tema culturale è quello più importante, non a caso noi prevediamo molte campagne di comunicazione e informazione che riguardano soprattutto i più giovani, nelle scuole ma anche i ragazzi dovunque loro siano, per evitare l’odio che spesso nelle reti viene fomentato proprio sugli stereotipi di genere”.

E sui fondi per la formazione delle forze dell’ordine e degli operatori di settore, Spadafora ha precisato: “Non sono una tantum, sono fondi che quest’anno vengono destinati innanzitutto alla formazione. Poi sicuramente, insieme alle varie forze, all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza decideremo anche gli anni prossimi quali nuovi modelli potranno essere attuati per fare in modo- ha concluso- che questo tipo di forze possano operare sempre nel migliore dei modi a favore delle donne”.



La rete D.i.Re: “Calato dall’alto, i centri non ci sono”

Una dichiarazione di intenti di non chiara attuazione, calata dall’alto e non preparata in concertazione con chi lavora sul campo, a cominciare dai centri antiviolenza, al contrario di quanto il governo cerca di accreditare. E’ questo in sintesi il commento della rete D.i.Re rispetto al Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne presentato dal sottosegretario Spadafora.

“Dopo tutti questi mesi ci saremmo aspettate che tutte le attività previste nel Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017/2020) venissero organicamente declinate nel Piano Operativo con accanto l’indicazione delle risorse dedicate, del soggetto attuatore, dei tempi di realizzazione”. Molte le criticità evidenziate e spiegate nella nota, tra cui la strategia attuativa della Convenzione di Istanbul: “È un piano ancora in divenire e da aggiornare che presenta diversi elementi di preoccupazione e ci lascia con troppi dubbi- affermano- ma è difficile distinguere quali tra gli interventi enunciati sono da riferirsi all’asse della prevenzione, quali alla protezione delle donne, quali le politiche integrate che pure la Convenzione definisce accuratamente”. 

“Un percorso condiviso tra attori istituzionali e associazioni maggiormente impegnate sul tema, ma noi rete nazionale dei centri antiviolenza e componenti del Comitato tecnico conosciamo solo ora il documento– questo uno dei punti di maggiore contrasto evidenziato dalla Rete- le risorse previste, certo in misura maggiore rispetto al passato, anche se ancora non è pronto il Dpcm di riparto, saranno distribuite prevalentemente alle regioni, alle quali sono devolute tantissime funzioni strategiche, quali gli interventi per le donne migranti, per le vittime minorenni e per gli uomini maltrattanti, che avrebbero avuto bisogno di un’unica regia nazionale. I fondi per i centri antiviolenza e per le case rifugio arriveranno quando e se arriveranno, attraverso le regioni con criteri che, come abbiamo già più volte verificato, possono essere molto variabili tra una regione e l’altra o addirittura escludenti per i centri di provata esperienza come nel caso della Lombardia che condiziona l’erogazione dei fondi alla comunicazione di dati sensibili, a cominciare dal codice fiscale delle donne accolte”.

“L’idea che le funzioni di monitoraggio- aggiunge D.i.Re- e di controllo della spesa siano affidate a una task force in collaborazione con la guardia di finanza ci restituisce l’idea di un’attenzione alla trasparenza che sarebbe condivisibile se affiancata da una valutazione reale della qualità dei servizi erogati. Invece, ancora persiste improvvisazione e poca esperienza in molte realtà che gestiscono servizi molto diversi da un centro antiviolenza, poco rispondenti ai bisogni delle donne e molto lontani dai centri specializzati di cui parla la Convenzione di Istanbul”.

“Leggiamo- conclude la rete nazionale dei centri antiviolenza- che è finalmente prevista la formazione dei Carabinieri, dell’esercito, della Polizia Locale, della Polizia Penitenziaria e di non meglio specificati operatori sul tema della violenza contro donne con disabilità. Ma chi erogherà tale formazione? Con quali contenuti? Sono previsti dei tavoli tecnici su questi temi, ma non sono mai stati attivati. Il Fondo per le donne vittime di violenza definito dalla ministra Buongiorno ‘Fondo antiostaggio’ ci conferma l’idea di un governo che, oltre a non prestare ascolto a chi lavora sul campo da decenni, opera con una logica assistenziale”.

“Da oltre 30 anni i centri antiviolenza hanno accompagnato decine di migliaia di donne fuori dalla violenza e sanno bene che non basta un aiuto economico una tantum per allontanarsi dal maltrattante e ricominciare una vita in autonomia- conclude D.i.Re- Le donne sopravvissute alla violenza hanno diritto a essere credute e supportate in un percorso di ricostruzione della propria vita nel pieno rispetto della loro autodeterminazione, libere di scegliere e libere dalla paura, come i centri antiviolenza D.i.Re fanno da sempre attraverso la costruzione di progetti individuali, definiti passo passo con le donne accolte, e non di percorsi assistenziali, standard e uguali per tutte”.

Centri e servizi antiviolenza, i dati dell’indagine Istat-Cnr

In base al quadro emerso dall’indagine condotta da Istat e Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr sulla base di accordi con il Dipartimento per le Pari Opportunità, i centri e servizi specializzati nel sostegno alle donne vittime di violenza nel 2017 sono 338 (253 aderiscono all’intesa Stato-Regioni del 2014, i restanti 85 non vi aderiscono), ai quali si sono rivolti una volta in un anno 54.706 (in media 172 per ogni centro/servizio), di cui 32.632 (59,6%) hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. Sono 1,2 i centri/servizi ogni 100mila donne con 14 anni e più in tutta Italia, con una media più alta nel Mezzogiorno (1,5). Superano la media italiana con 2,3 centri/servizi ogni 100mila donne l’Abruzzo e la provincia autonoma di Bolzano; seguono il Molise con 2,1 e la Campania con 2,0. In Sicilia, Basilicata e Lazio il numero dei centri/servizi è invece di poco inferiore a 1 per 100 mila donne. In media sono presenti circa 16 centri/servizi in ogni regione/provincia autonoma. In numeri assoluti, Campania (51) e Lombardia (47) accolgono quasi il 30% dei centri/servizi antiviolenza presenti in Italia.

Le strutture del Nord hanno accolto, in media, 143 donne, quasi il doppio di quelli al Sud (58). Le donne che hanno iniziato per la prima volta, nel 2017, il percorso di uscita dalla violenza sono state 23.999, in media 76 a centro/servizio, con un’affluenza più elevata nei centri/servizi localizzati al Nord (107); molto più basso il numero medio (42) delle donne che hanno avuto accesso per la prima volta ai centri/servizi del Sud. Le donne straniere che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza sono risultate in totale 8.711, 28 in media nazionale per ogni servizio o centro antiviolenza. I centri aderenti ai requisiti dell’intesa Stato-Regioni hanno registrato una media di 31 straniere per centro/servizio antiviolenza, mentre i centri non aderenti all’intesa ne hanno conteggiate 15.

In base alle rilevazioni delle strutture monitorate emerge un’ottima offerta ‘colloquio di accoglienza, orientamento e accompagnamento ad altri servizi presenti sul territorio’, ‘consulenza psicologica’, ‘consulenza legale’, presenti in più del 90% dei centri/servizi antiviolenza; una buona offerta della prestazione ‘accompagnamento all’inserimento lavorativo/autonomia lavorativa’ (83,4%), soprattutto tra i servizi rilevati non aderenti all’intesa Stato-Regioni (96,5%), e della ‘disponibilità di alloggi sicuri come case rifugio a indirizzo segreto e di primo livello’, quindi della salvaguardia della sicurezza della donna che si rivolge ai centri/servizi specializzati (82%), soprattutto tra i centri antiviolenza aderenti all’intesa Stato-Regioni (85,7%); una discreta diffusione di centri/servizi specializzati che effettuano la valutazione del rischio (77,5%), dato che risulta inferiore per i centri non aderenti all’intesa tra Stato-Regioni (63,5%).

E ancora: una discreta presenza (73,4%) di servizi specializzati che effettuano l’accompagnamento all’autonomia abitativa, prestazione meno diffusa tra i centri antiviolenza aderenti all’intesa Stato-Regioni (65,6%); un’area problematica nell’accoglienza in emergenza (o al pronto intervento) offerta dal 63,6% dei centri/servizi specializzati presenti sul territorio italiano, caratterizzata da una rilevante eterogeneità territoriale, dovuta alla minore presenza di centri/servizi antiviolenza che offrono questo supporto nel Centro Italia rispetto al Nord e al Sud; un’area problematica nell’offerta di prestazioni rivolte a minori e a donne migranti in cui i centri/servizi specializzati che forniscono prestazioni rivolte a questo target di destinatari/e si attestano tra il 60% e il 65%.

Le attività di supporto ai figli minorenni vittime di violenza assistita risultano meno diffuse tra i centri antiviolenza aderenti all’intesa Stato-Regioni (50%), cosi come quelle di sostegno alla genitorialità (62,5%) e di mediazione linguistica-culturale (49%).

Su accessibilità e lavoro in rete, risulta che la maggioranza assoluta dei centri/servizi (280, pari all’82,2% del totale) rimane aperto più di cinque giorni a settimana, con una maggiore presenza di centri/servizi con aperture oltre i cinque giorni nel Nord e tra i centri aderenti all’intesa Stato-Regioni; la reperibilità 24 ore su 24 è, invece, garantita da 231 centri (68,3%), soprattutto al Sud (122, in valore assoluto), mentre al Centro e al Nord si ritrovano in misura minore.; l’88,5% dei centri/servizi antiviolenza aderisce al numero di pubblica utilità 1522, soprattutto nel Nord e in misura significativamente maggiore tra i centri accreditati dalle Regioni; il 77,2%, dei centri/servizi fa parte di una rete territoriale; l’anonimato e la privacy delle donne che si rivolgono ai Centri sono assicurati dalla presenza di più dell’80% di centri/servizi con operatrici che condividono un codice deontologico su riservatezza, segreto professionale e anonimato, in modo omogeneo tra le ripartizioni.

Nel 2017 il 75,4% (255) hanno ricevuto un finanziamento pubblico. Solo 58 Centri/servizi antiviolenza (17,2%) in tutto hanno ricevuto finanziamenti privati. Una rappresentanza del tutto marginale i sei centri/servizi antiviolenza (1,8%) che hanno ricevuto nel 2017 finanziamenti per progetti specifici da parte della Ue.

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