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Infiltrazioni mafiose in due Comuni messinesi: arrestati il sindaco e il vicesindaco

L'indagine della guardia di finanza ha portato all'esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette indagati

Pubblicato:18-05-2022 10:04
Ultimo aggiornamento:18-05-2022 12:40
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PALERMO – Il sindaco di Moio Alcantara, piccolo centro del versante ionico della provincia di Messina, è finito in carcere nell’ambito di una inchiesta per infiltrazioni mafiose e reati contro la pubblica amministrazione. In carcere anche il vicesindaco dello stesso Comune. Analogo provvedimento anche per un ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Malvagna, anche questo Comune della fascia ionica messinese, che ha ricoperto il ruolo fino al 2020.

L’INDAGINE

L’indagine ha portato all’esecuzione, da parte della guardia di finanza, di una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette indagati. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione a delinquere di stampo mafioso e di reati contro la pubblica amministrazione. I provvedimenti sono stati disposti dal gip del Tribunale di Messina, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Sotto i riflettori le presunte infiltrazioni mafiose e il presunto condizionamento delle amministrazioni comunali dei Comuni di Moio Alcantara e Malvagna ad opera di Cosa nostra. Secondo la guardia di finanza una “cellula criminale autonoma”, avvalendosi della “legittimazione mafiosa derivante dalla contiguità con il famigerato clan dei Cintorino, è riuscita a imporsi nel tessuto sociale delle due piccole realtà criminali”.

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LE MANI DEI CLAN MESSINESI SUI COMUNI DI MOIO E MALVAGNA

Cosa nostra messinese si era inserita nelle dinamiche elettorali e nella vita amministrativa di due piccoli centri della fascia ionica siciliana: Moio Alcantara e Malvagna. Questo il quadro che emerge dall’inchiesta che ha portato in carcere il sindaco di Moio, Bruno Pennisi, e la sua vice, Clelia Pennisi.

La “struttura criminale” individuata, secondo l’ipotesi d’accusa, sarebbe stata in grado di inserirsi nelle dinamiche elettorali e politiche dei due comuni “condizionandole”, oltre che nella relativa gestione dell’attività amministrativa “attraverso l’infiltrazione di soggetti alla riconducibili direttamente o indirettamente alla stessa struttura criminale”.

La guardia di finanza spiega: “Non il classico gruppo criminale che fa della violenza la cifra del suo modo di agire, bensì qualcosa di diverso, di molto meno visibile ma non per questo meno pericoloso, comunque forte di una ormai riconosciuta forza criminale”.

UN NUOVO MODO DI ‘FARE MAFIA’

Le indagini, secondo le valutazioni del gip, hanno alzato il velo su uno spaccato assolutamente significativo del nuovo modo di “fare mafia”: “un gruppo che, per il suo modus operandi, rappresenta l’evoluzione del modello tradizionale di associazione mafiosa che sfrutta la fama criminale ormai consolidata e che non abbisogna di manifestazioni esteriori di violenza, per intessere relazioni con la politica, le istituzioni, le attività economiche, al fine di imporre il proprio silente condizionamento”, si legge. Uno dei principali indagati, nonostante fosse detenuto, dava ordini affinché i suoi sodali prendessero contatti con le ditte appaltatrici di lavori assegnati dai due Comuni di Moio e Malvagna, anche garantendo sostegno ai candidati elettorali in occasione del rinnovo dei rispettivi consigli comunali. “Il gruppo indagato – ricostruiscono le fiamme gialle – faceva pervenire al sindaco di Moio inequivoche sollecitazioni, cui peraltro aderiva, affinché interessasse gli amministratori comunali di altre distinti enti locali a bloccare, o sbloccare, indebitamente, procedure esecutive a vantaggio della famiglia”.
Comportamenti ritenuti sintomatici di una “patente subordinazione del sindaco”.
Dello stesso tenore, peraltro, la disponibilità offerta alla cellula indagata dall’ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Malvagna. Quest’ultimo si sarebbe adoperato per l’assegnazione di appalti di lavori a ditte vicine, “anche mediante il compimento di reati di corruzione – dicono dalla guardia di finanza – e altri reati contro la pubblica amministrazione”. La corruzione, secondo le ipotesi d’indagine, sarebbe stata “il collante dell’operatività generale del contesto” analizzato da inquirenti e investigatori. Il sindaco di Moio, insieme con il responsabile dell’area Servizi territoriali e ambiente del Comune, oggi in pensione, avrebbe “accettato denaro o promesse di denaro” e avrebbe favorito vendite di materiale edile da parte di una società “in cui vantava cointeressenze per compiere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio”. Per gli investigatori sarebbe stata turbata la gara relativa al recupero del tessuto urbano locale a favore di un imprenditore di Santa Teresa di Riva (Messina), oggi finito ai domiciliari. Allo stesso modo, l’ex assessore del Comune di Malvagna, finito anche lui in carcere, avrebbe abusato della sua carica e dei suoi poteri e avrebbe “indotto il rappresentante di una ditta edile di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), aggiudicataria di lavori pubblici, a rifornirsi di materiale edile da una ditta di Randazzo (Catania)”. Il tutto “con lo scopo di agevolare” il clan mafioso finito sotto alla lente d’ingrandimento dei magistrati peloritani. Per questo “interessamento”, il titolare della ditta edile catanese, anche lui in carcere, avrebbe corrotto l’assessore. Le indagini, andate avanti con intercettazioni e pedinamenti, si sono avvalse anche del contributo di un collaboratore di giustizia.
Quest’ultimo, dopo essere stato arrestato nell’operazione ‘isola Bella’ che ha svelato gli interessi mafiosi nel settore turistico, ha raccontato ai magistrati della Dda di Messina le dinamiche criminali della fascia ionica della provincia peloritana.

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