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Mafia, 31 arresti a Palermo: droga, armi e pizzo a Brancaccio

Nel quartiere di Brancaccio, a Palermo, nessuno sfuggiva al pizzo, nemmeno l'ambulante che vende lo 'sfincione': i Carabinieri hanno ricostruito 50 casi di estorsioni

Pubblicato:17-05-2022 08:51
Ultimo aggiornamento:17-05-2022 16:24

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PALERMO – Mafia, estorsioni, droga e armi. Questo il campionario delle accuse formulate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha coordinato un blitz con 31 arresti: 29 indagati sono finiti in carcere, due ai domiciliari. Il blitz, portato a termine da polizia e carabinieri, ha colpito il mandamento mafioso di Brancaccio, che comprende le famiglie mafiose del quartiere alla periferia est del capoluogo siciliano, quella di corso dei Mille e di Roccella. L’operazione rappresenta il seguito dell’inchiesta avviata nel luglio 2021.

La squadra mobile e il Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della polizia ha eseguito il provvedimento del gip a Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova. Le indagini hanno individuato i protagonisti della riorganizzazione delle famiglie mafiose duramente colpite dai precedenti arresti: ricostruiti, quindi, gli assetti delle famiglie mafiose di Brancaccio, con i presunti nuovi vertici, gregari e soldati.

PIZZO PER COMMERCIANTI E IMPRENDITORI

Oltre all’associazione mafiosa, gli indagati sono accusati di avere imposto il pizzo a commercianti e imprenditori e di avere gestito le numerose piazze di spaccio sparse sul territorio di Brancaccio: tutti reati che “hanno consentito di accumulare quei proventi necessari alla remunerazione dei sodali liberi – dicono gli investigatori – e delle famiglie di quelli detenuti”. Sono cinquanta le estorsioni ricostruite dagli inquirenti ai danni di commercianti della zona. Nessuno sfuggiva alla legge del pizzo: dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione. A tutti veniva chiesto denaro o, addirittura, Cosa nostra pretendeva una richiesta di autorizzazione preventiva rispetto all’avvio di lavori. Tra le richieste dei clan, inoltre, anche l’assunzione di dipendenti indicati dalle famiglie.


L’INTERCETTAZIONE: “TI LASCIAMO LIBERO MA CI SONO ESIGENZE…”

“Ti stiamo lasciando libero, però tu capisci, siccome ci sono esigenze…siccome per ora c’è urgenza che bisognano qualche 100 euro per questi poveri sfortunati… non per metterli in tasca”. Questa una delle frasi intercettate dalle microspie di polizia e carabinieri che a Palermo hanno portato a termine il blitz contro il mandamento mafioso di Brancaccio e che raccontano delle estorsioni subite da commercianti e imprenditori della zona che con il loro lavoro erano costretti a foraggiare i clan e le famiglie dei carcerati (i “poveri sfortunati”). Nella periferia est di Palermo, territorio dei clan di Brancaccio, tutti erano costretti a pagare: dagli imprenditori edili agli ambulanti, passando per la grande distribuzione organizzata. La richiesta di denaro proseguiva così: “Non ti preoccupare, viene Pasqua e dici: ‘ho questo pensierino’. Va bene, a posto”.

NESSUNO SFUGGIVA ALLA LEGGE DEL PIZZO

L’imprenditore edile che corre a ‘mettersi a posto’ con i clan per non subire furti o danneggiamenti nel suo cantiere, ma anche l’ambulante che vende lo ‘sfincione’, tradizionale focaccia palermitana a base di sugo di pomodoro e caciocavallo, che dopo avere subito una intimidazione si affretta a pagare. Sono le tristi storie di estorsioni che emergono dall’operazione antimafia che a Palermo ha portato a 31 arresti.

I provvedimenti emessi dal gip del Tribunale sono stati richiesti dalla Dda del capoluogo siciliano ed eseguiti da polizia e carabinieri. Dalle indagini emerge l’imposizione a tappeto del racket nella zona di Brancaccio, alla periferia est della città, dove nessuno sfuggiva alla legge del ‘pizzo’.

Emblematica la conversazione captata dalle microspie degli investigatori tra il responsabile delle estorsioni della cosca mafiosa e un suo sodale, avvicinato da un imprenditore edile che – avendo in progetto di acquistare un terreno nella zona di competenza della famiglia mafiosa per costruirvi appartamenti e consapevole di doversi assoggettare alle pretese mafiose per poter realizzare le costruzioni senza incorrere in furti, rapine o danneggiamenti – si è rivolto al referente mafioso della zona per ‘mettersi a posto’ e ottenere la protezione di Cosa nostra.

Diverso l’episodio dell’ambulante, il cosiddetto ‘sfincionaro’: quest’ultimo, dopo avere subito il danneggiamento della saracinesca del proprio laboratorio con l’attak, si è rivolto a uno degli indagati per pagare.

Gli investigatori, inoltre, segnalano la “pervicacia” dimostrata dagli estortori di Brancaccio che non avrebbero esitato a effettuare un sopralluogo in un cantiere edile, nonostante la vicinanza con il Commissariato di polizia della zona, per chiedere il pizzo.

BUSINESS DROGA CON RICAVI DA 80MILA EURO SETTIMANA

Il traffico di droga si conferma una delle principali voci di arricchimento illecito della mafia. L’operazione portata a termine nella notte a Palermo da polizia e carabinieri, ha portato alla luce il business dello spaccio in sei piazze del quartiere Sperone in mano alle famiglie mafiose della zona: il ricavo stimato dagli investigatori è di circa 80.000 euro settimanali.
Parte della droga arrivava dalla Calabria: due degli arrestati, infatti, sono stati catturati a Reggio Calabria. Nel corso di tutta l’indagine, inoltre, le forze dell’ordine hanno sorpreso e arrestato 16 persone in flagranza di reato per detenzione di droga e sequestrato complessivamente ottanta chili di sostanze (tra cocaina purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana) per un valore sul mercato di oltre otto milioni di euro.

DURANTE IL COVID INDAGATO RUBÒ 16MILA MASCHERINE DESTINATE A UN OSPEDALE

L’emergenza Covid e il conseguente lockdown non hanno fermato la ricerca di denaro della mafia ai danni di imprenditori e commercianti di Palermo. Dall’indagine emerge infatti che anche in piena emergenza epidemiologica, i clan erano alla ricerca di denaro e così uno degli indagati si impossessò di venti scatole contenenti 16mila mascherine Ffp3 sottraendole a un ospedale della città. L’obiettivo era quello di rivendere le mascherine per conto proprio.

NON SOLO DROGA ED ESTORSIONI: GLI AFFARI DEI CLAN NELLA GESTIONE DELLE ACQUE IRRIGUE 

Non soltanto droga ed estorsioni: pur di arricchirsi la mafia palermitana interviene anche nelle condutture dell’acqua per incanalarla a proprio piacimento. La circostanza emerge dall’inchiesta che ha portato a 31 arresti operati da polizia e carabinieri. Il filone investigativo è stato portato avanti dai militari del Nucleo investigativo, secondo cui i clan avrebbero fatto affari anche con la gestione delle acque irrigue, sottratte direttamente alla conduttura ‘San Leonardo’ di proprietà del Consorzio di Bonifica Palermo 2.

Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli sarebbero infatti intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà per poi ridistribuirla ai contadini dell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Una mossa che oltre all’arricchimento per le classe dei clan ha consentito alla famiglia mafiosa di Ciaculli “di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli – ricostruiscono i carabinieri -, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di un been essenziale come l’acqua”.

LE MANI DEI BOSS DI CIACULLI SULLE SCOMMESSE ILLEGALI

Le scommesse online erano una delle fonti di guadagno dei clan mafiosi di Ciaculli, a Palermo. Lo rivelano i carabinieri, che con la polizia hanno portato a termine una operazione antimafia con 31 arresti. Secondo i militari gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali. “Questo delicato settore, che risulta una costante nella moderna economia che costituisce gli affari delle famiglie mafiose siciliane, avrebbe assicurato cospicui introiti nella cassa della consorteria di Ciaculli e di quel mandamento mafioso, che avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta dalle leggi italiane”, riferiscono i carabinieri. Il compenso sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento mafioso. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.

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