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Indonesia, quasi 200 arresti in seguito a incendi dolosi

La denuncia di Greenpeace: le aziende non possono non sapere

Pubblicato:17-09-2019 12:49
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:42
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ROMA – In Indonesia, 185 persone sono arrestate questa settimana perché sospettate di essere coinvolte nell’ondata di incendi che hanno colpito l’arcipelago nelle ultime settimane. Molti dei fuochi, è stato denunciato da più parti, sono stati causati deliberatamente per fare posto a piantagioni, in particolare di palma da olio.

Migliaia di pompieri sono stati impegnati anche ieri nel contrasto ai roghi, che hanno portato a livelli inaccettabili la qualità dell’aria in diverse regioni del Paese. Situazioni critiche sono state registrate, oltre che in Indonesia, in Malesia e a Singapore, con scuole chiuse e tratte aeree sospese in relazione a un grave deterioramento della qualità dell’aria, apparentemente legato agli incendi.

I roghi più difficili da debellare sono quelli nelle foreste umide, che bruciano in profondità ed emettono grandi quantità di fumo. Questi, osserva un nuovo documento del programma ambientale dell’Onu, sono rari in condizioni normali, ma i rapidi cambiamenti nell’uso del suolo stanno portando ad una loro maggiore frequenza, anche nelle torbiere e soprattutto nell’isola del Borneo (il cui territorio è diviso fra Indonesia e Malesia).


La denuncia di Greenpeace: le aziende non possono non sapere

“Basta, è inaccettabile che le aziende non sappiano da dove vengono le loro materie prime” così Martina Borghi, responsabile per le campagne sulle foreste di Greenpeace Italia commenta alla Dire l’ondata di incendi che ha recentemente devastato migliaia di ettari di foreste nel sud-est asiatico.
Il riferimento è in particolare alla Wilmar, multinazionale di Singapore: all’inizio di questo mese, ‘Greenpeace’ ha sospeso la collaborazione con questa ed altre aziende, accusate di non aver rispettato gli impegni presi sulla lotta alla deforestazione.
Nel 2018 il gigante asiatico dell’agri-business, insieme alle multinazionali Unilever e Mondelez, si era impegnato con l’ong ambientalista a monitorare il settore della palma da olio per scongiurare eventuali abusi.
Meno di un mese fa, Greenpeace si è ritirata dall’accordo, accusando le tre imprese di non aver fatto nulla per rispettarlo.
Venticinque società attive nel settore dell’olio di palma, denunciava l’ong un anno fa, hanno fatto sparire 130mila ettari di foresta pluviale dal 2015, anno record per gli incendi in Indonesia. Questi erano situati per il 40% nella Papua indonesiana, in aree ricche di biodiversità e rimaste estranee al fenomeno degli incendi dolosi fino a pochi anni fa. “Tra gennaio e maggio 2019 abbiamo assistito a 42.740 incendi- segnala Borghi citando dati ufficiali- il doppio rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente”.

La testimonianza di Roberta, italiana a Kuala Lumpur

“Pensavo stesse per piovere, invece erano solo fumo e cenere, una roba terribile, che arrivava a farti bruciare gli occhi”. Roberta Madda Farris, sarda, 56 anni, parla con l’agenzia Dire dal quartiere di Hartmas, a Kuala Lumpur, dove da alcuni giorni una fitta coltre di fumo e cenere ha coperto il cielo. È in Malesia per un viaggio in cui puntava a unire vacanze, lavoro e ricerca, dopo che a febbraio aveva visitato il Paese per svolgere attività di volontariato a Sepilok, in un centro di riabilitazione per organgotanghi.

Questi ultimi rappresentano una delle specie più minacciate dalla deforestazione: “Non è l’unica specie in via di estinzione nella foresta pluviale, ce ne sono almeno altre 150” sottolinea Roberta. In città, l’effetto degli incendi è invece soprattutto legato a quello che la stampa chiama ‘haze’, ‘foschia’: “Non è altro che fumo misto a cenere, e si resta in casa, le scuole sono chiuse, i bambini che abitano con me sono usciti solo per mettersi in macchina ed entrare in un centro commerciale” racconta l’italiana, che risiede presso una famiglia ospitante, ma tra pochi giorni conta di andare “in Australia, per respirare un po’”. E sul fitto scambio di accuse tra Indonesia e Malesia, che per alcuni giorni si sono rimpallate le responsabilità sull’ondata di roghi, commenta: “Quando divampa un fuoco, se ne frega dei confini”.

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