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FOTO | VIDEO | Mare cristallino, coralli rari e tantissimi pesci: ecco l’ultimo paradiso di Raja Ampat

Mare cristallino, tantissimi pesci e una natura ancora (quasi) incontaminata: ecco perchè chiamano questo posto l'ultimo paradiso: siamo a Raja Ampat, in Indonesia, un arcipelago che conta 1500 isole e isolette, anche microscopiche

Pubblicato:21-03-2023 13:44
Ultimo aggiornamento:21-03-2023 21:02

raja ampat indonesia
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BOLOGNA – Fino a una decina di giorni prima di decidere di partire per Raja Ampat non riuscivo a ricordare bene il nome di questo arcipelago: invertivo le parole, le sillabe, ne inventavo di nuove. E non lo consideravo un buon auspicio per un viaggio. Poi il nome mi è entrato in testa, mi sono decisa ora che ci sono stata, di sicuro non me lo dimenticherò più. Raja Ampat, che significa “Quattro re”, in realtà di isole ne conta 1.500 di varie grandezze: ce ne sono addirittura di piccolissime, pochi metri quadri di sabbia bianca, che compaiono solo con la bassa marea. Si trovano nel territorio indonesiano, nella provincia della Papua Sud occidentale, subito sotto l’equatore. Sono state definite l’ultimo paradiso terrestre grazie alle acque cristalline che hanno tutte le sfumature del blu e del verde, una vegetazione ricchissima e una vita sott’acqua come pochi altri luoghi al mondo.

Si parla di più di 1.500 specie di pesci, più di 500 di coralli, oltre e circa 700 specie di molluschi. Premetto di non essere un’esperta, ma chi lo è più di me dice di non aver mai visto tanti pesci, coralli, strane e incredibili ‘piante’ sottomarine in acque anche basse. E poi le mante che nuotano in superficie, gli squali nutrice, i delfini e le tartarughe: se non ti avvicini troppo ti accompagnano eleganti mentre ti muovi a pelo d’acqua. Rapiti da tanta bellezza, coi miei compagni di viaggio abbiamo fatto talmente tanto snorkeling che alla fine eravamo convinti di avere mani e piedi palmati, oltre ad aver guadagnato un’abbronzatura da urlo, anche se solo nel ‘lato B’.

GIACARTA

Il viaggio è cominciato con una giornata a Giacarta, dato che ci siamo arrivati di mattina e l’ultimo volo, -quello che ci portava a Sorong- era la sera tardi. La capitale dell’Indonesia, per quel poco che abbiamo potuto vedere, è una grande, rumorosa e umidissima città, con moschee accanto alle chiese, mercati, palazzi fatiscenti e monumenti che celebrano l’indipendenza del paese dall’Olanda ottenuta dopo la Seconda guerra mondiale con conflitti e disordini durati circa quattro anni. Tra tutti, il luogo più affascinante che abbiamo visto è il caffè Batavia, un locale in stile coloniale su due piani, con vista sul centro storico e foto di attori famosi di ogni epoca. Un ottimo rifugio per sfuggire alla calura e poi al violento temporale che si è scatenato nel pomeriggio. Nei giorni successivi abbiamo scoperto infatti che parlare di stagione secca, a queste latitudini, è un po’ azzardato. Dopo il pit stop nella capitale, un altro volo, l’ennesimo, e un traghetto, per arrivare nella prima e più grande isola che abbiamo visitato, Waigeo. Qui, tra tutte le meraviglie che ci attendono c’è anche un letto, quasi un miraggio dopo due notti insonni, tra voli, scali e fuso orario.


LA VITA COI RITMI DELLA NATURA

Raja Ampat non è un luogo per viveurs, ci si alza con le prime luci dell’alba, si esce in barca e ci si tuffa già prima delle 8 di mattina, quando l’acqua è più calma e si possono osservare più pesci, si pranza a mezzogiorno e si cena alle 7 di sera. Per soggiornare ci sono alcuni resort, che puntano su appassionati di snorkeling e immersioni e non hanno intrattenimenti serali, oppure le homestay, che spesso sono composte da piccole palafitte sospese sull’acqua da due posti (stretti) con una più grande per consumare i pasti. Esistono anche alcune strutture ricettive di alti livelli, che noi ci siamo limitati quasi sempre ad osservare da lontano, non tanto per i prezzi, ma perché grazie alla nostra ‘capo-cordata’, Patrizia (che a Raja Ampat era già stata), abbiamo visitato luoghi meno ‘mainstream’ e siamo stati più a contatto con la vita vera degli abitanti. Così ci siamo adattati, tra le altre cose, a fare la ‘doccia a secchiate’, a usare i bagni in comune, alla ‘selvaggia’. Io già al secondo giorno non mi ricordavo più di aver portato dei sandali, camminavo costantemente in infradito o scalza e mi vestivo con accozzaglie di colori come se fossi stata improvvisamente colpita da daltonismo. Un po’ per pigrizia, un po’ perché nelle palafitte la luce elettrica viene attivata solo poche ore, quando fa buio.

IL KALI BLUE RIVER E I TUFFI DEI BAMBINI

Le isole di Raja Ampat sono soprattutto mare, ma hanno tanto da vedere anche “sopra” l’acqua. A Waigeo, per esempio, partendo con delle lance che navigano veloci in una bellissima baia, e dopo una breve passeggiata, si può fare un tuffo nel Kali Blue River, che è proprio blu, sormontato dal alberi e liane. Qui incontriamo un gruppo di vivaci bambini in gita che fanno gare di tuffi e ci chiedono di fare foto assieme. I selfie con gli stranieri, infatti, qui con in altri paesi del mondo pare siano un uso abbastanza diffuso.

IL TREKKING ALL’ALBA E L’UCCELLO DEL PARADISO

L’uccello del paradiso è uno degli animali rari che si possono osservare in quest’area del pianeta, ma per poterlo vedere bisogna raggiungere aree isolate al mattino presto, quando i maschi della specie, che hanno code lunghe e arricciate, si esibiscono nel rituale di pre-accoppiamento. Quindi una bella sveglia alle 4 con trekking al buio per arrivare alla zona di osservazione non ce la leva nessuno. Ma il gioco vale la candela, perché nonostante il nostro pessimismo (e un ragno che mi ha lasciato in ricordo una dozzina di morsi) ne appare prima uno, poi due, poi tanti, che come in una danza svolazzano da un albero a un altro per farsi notare dalle femmine cantando richiami a squarciagola. Quando torniamo indietro abbiamo ancora tutta la giornata davanti e ne approfittiamo per un’escursione in barca a Mion Kon, la prima di una serie infinita di isole paradisiache con acqua turchese e alberi che arrivano fin sulla spiaggia.

I TREKKING SUI FARAGLIONI E I PANORAMI MOZZAFIATO

Un altro incanto di Raja Ampat sono i faraglioni di rocce vulcaniche dai quali si possono ammirare panorami mozzafiato su baie punteggiate di rocce verdeggianti: se c’è il sole, queste micro isole sembrano sospese sull’acqua. Ci si arriva con piccoli trekking e arrampicate, non lunghe ma talvolta impervie, o usando ripide scale di legno. Come quella a Kabui bay, che abbiamo percorso lasciando Waigeo per andare sull’isola di Mutus o a Wayag o a Piaynemo

MUTUS, IL MODELLO ‘CASTAWAY’ E LE DOCCE A SECCHIATE

All’isola di Mutus, altro luogo splendido, abbiamo alloggiato in una homestay gestita dai locali, con palafitte a pelo d’acqua dove, forse per il vento, le onde o forse perché questa è una zona sismica, sembrava sempre ci fosse il terremoto. Ignoro se a scricchiolare fosse il legno o gli animali strani che camminavano sul tetto, ma dormire all’inizio non è stato facile. In questi posti si mangia in uno spazio comune, dove non si sa perché mancano sempre i coltelli e dove spesso gli alcolici non ci sono (il paese è a maggioranza musulmana). Se ci sono, si tratta di birra, costa l’equivalente di un pranzo ed è calda. Quanto ai bagni, sono comuni e si trovano in piccole capanne e le docce, così come le conosciamo, non ci sono: se vuoi ti lavi rovesciandoti addosso bicchierate d’acqua attingendo a grandi secchi. E non è calda.

LO SNORKELLING A OLTRANZA

Come detto, una delle attività che si può fare a oltranza a Raja Ampat è lo snorkeling. Tra i tanti luoghi che abbiamo visto ci sono Melissa Garden, Star Lagoon (per me forse il più spettacolare), Sauwandarek e Kri island. Abbiamo avuto la fortuna di farlo con una guida eccezionale che non ci ha mai lasciato soli e che, oltre a controllare la corrente e fare video subacquei che noi non saremmo stati in grado di girare, ci incoraggiava nei momenti di esitazione. Rombles, da noi ribattezzato il pesce Rom, saputo per esempio che io sono un po’ a disagio quando l’acqua è molto profonda, si è sempre preoccupato di avvisarmi quando c’erano dei ‘wall’, cioè quando l’acqua andava giù a picco. Grazie a lui e agli altri compagni di viaggio sono riuscita a fare snorkeling tranquillamente in luoghi come il Friwen wall: l’acqua blu scuro non mi fa più effetto. Ma Rom, che conosce tutte le isole a menadito, è anche un ottimo capo trekking e sa sempre dove portarti se hai delle curiosità.

LE MILLE ISOLE PAM, ARBOREK, AGUSTA

Tra un giro di barca e l’altro, non saprei dire quante isole abbiamo visto alla fine. Di certo so che, una sera siamo finiti a dormire in un resort in costruzione nell’arcipelago di Pam, un luogo da sogno, dove nelle curatissime casette di legno c’erano addirittura la doccia calda e l’aria condizionata e dove al ristorante avevano persino la birra gelata, che potevi bere ammirando il mare azzurro. Ad Arborek, dove invece abbiamo soggiornato più notti, la nostra homestay (instagrammabile come pochi) aveva palafitte poggiate sull’acqua dove, con l’alta marea, la barca ti poteva lasciare praticamente davanti alla ‘stanza da letto’. Qui, dopo una notte di tempesta di vento e pioggia, abbiamo chiacchierato con due ragazze spagnole che stavano facendo un giro dell’Indonesia e incontrato Oleg, un russo che ci ha detto avere una agenzia turistica e che apparentemente stava facendo il giro del mondo da quando, a novembre, aveva lasciato la madre patria. Ad Arborek abbiamo vissuto nel mezzo del villaggio, con la scuola, negozi di biscotti e souvenir. La sera, poco prima dell’alba, partivamo in spedizione per comprare la birra e berla ammirando il tramonto sul mare. Dopo giorni e giorni di riso, noodels e pesce, tutto sempre parecchio oltre il piccante, da bravi italiani abbiamo anche fatto una gita all’isola di Agusta per mangiare una pizza (che abbiamo digerito il giorno dopo) in un resort costruito da un compatriota che ha deciso di vivere quaggiù, lontano da tutto. Di nuovo in barca, per tornare verso Waigeo, e godersi gli ultimi giorni di bagni, snorkelling, coralli e pesci multicolori prima di riprendere mille voli per rientrare, mestamente, a casa.

MA LA PLASTICA IN MARE NO

C’è, però un neo, e bello grande, nell’ultimo paradiso perduto. Persino qui, in isole completamente disabitate, e sul mare, mentre fai snorkeling capita abbastanza spesso di vedere bottiglie, vasetti, pezzi vari di plastica che nuotano assieme ai pesci. Uno scempio, tanto più in un luogo che riesce ancora ad avere tanta biodiversità marina. La popolazione locale avrà forse delle colpe, ma di certo anche se la raccogliesse non avrebbe posti per poterla smaltire, perché qui tutto arriva e se ne va con le barche. Eppure, l’ultimo paradiso andrebbe preservato.

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