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Bufera sull’Agenzia che amministra beni sequestrati alla mafia, la denuncia di Cristiana Rossi: si accanisce su coadiutori

Come si fa a non pagare chi opera per lo Stato per recuperare beni dalle mafie? Il sospetto è che la PA voglia avocare tutto a sè, basta un corso?

Pubblicato:14-07-2023 18:41
Ultimo aggiornamento:14-07-2023 18:41
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ROMA- “L’instaurarsi di una certa diffidenza o sfiducia tra loro (coadiutori) e l’Agenzia potrebbe ripercuotersi sull’efficacia delle reciproche azioni, impattando negativamente sulle stesse finalità della normativa antimafia, finendo con l’ostacolare la restituzione dei cespiti ai circuiti legali”. E’ questa la conclusione lapidaria della deliberazione 34 del 2023 ‘Relazione su ANBSC (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) redatta dalla Sezione controllo della Corte dei Conti sulla Gestione delle Amministrazioni dello Stato. La vicenda, spiegata all’agenzia Dire in una videointervista di denuncia di Cristiana Rossi, amministratrice giudiziaria che come coadiutore operava per il recupero di beni sequestrati alla mafia e restituiti allo Stato, è ormai nota alla cronaca.
L’Agenzia è sotto un faro per il mancato pagamento dei compensi ai coadiutori che ha generato di fatto una situazione che va oltre il destino di una categoria professionale, ma riguarda tutti: come si fa a non pagare chi opera per conto dello Stato per il recupero dei beni dalle mafie?
“Non si tratta soltanto di un mancato riconoscimento del diritto alla retribuzione negato per anni ad una categoria di lavoratori-professionisti qualificati- denuncia Cristiana Rossi- ma ciò danneggia l’immagine dello Stato che lotta contro il fenomeno mafioso e si accanisce contro la categoria dei coadiutori. Vi è difatti un grande dispiegamento di energie e risorse che convergono tutte verso un unico obiettivo: non pagare il compenso maturato dal coadiutore. Si scomoda persino l’Avvocatura dello Stato per promuovere opposizione ai decreti ingiuntivi anche immediatamente esecutivi come prassi dilatoria per bloccare la procedura di pagamento sfruttando la lentezza della giustizia civile come arma da puntare contro i suoi stessi coadiutori, come emerge chiaramente dal citato documento della Corte dei Conti. È dunque prassi dello Stato affidare incarichi professionali a professionisti qualificati senza avere l’intenzione di corrispondere loro il compenso dovuto”.
“Il Prefetto Bruno Corda – direttore dell’Agenzia Nazionale – lo scorso mese di maggio ha stipulato con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili un protocollo d’intesa per la formazione professionale dei propri dipendenti. La recente modifica del codice antimafia apportata con la legge 161/2017- spiega sempre Rossi tornando sull’importanza della formazione specialistica necessaria- prevede la possibilità di nominare – fin dalla fase cautelare del sequestro – il personale dell’Agenzia Nazionale quale amministratore giudiziario invece di nominare un libero professionista iscritto all’ordine dei dottori commercialisti o degli avvocati. Viene spontaneo chiedersi se la vera intenzione dello Stato sia quella di avocare a sé – quindi alla pubblica amministrazione – in via esclusiva questo delicatissimo settore accentratore di molteplici e rilevanti interessi economici. Vero è che gli impiegati pubblici distaccati all’ANBSC da altre amministrazioni centrali dello Stato per brevi e variabili periodi di tempo, sono completamente carenti delle competenze professionali – da noi acquisite in anni e anni di professione – necessarie per l’amministrazione dei patrimoni confiscati, e non è sufficiente davvero partecipare a qualche evento formativo organizzato dall’Ordine dei Dottori Commercialisti per acquisire competenza ed esperienza per svolgere tale delicatissima funzione pubblica. Forse gli impiegati ed i dirigente dell’ANBSC non sono consapevoli che non si può gestire il patrimonio confiscato come si amministra una pubblica amministrazione”.
Esiste poi un’altra spinosa questione giuridica che Cristiana Rossi riferisce alla Dire. “Quando i patrimoni vengono acquisiti al patrimonio dello Stato vengono acquisiti dal MEF e non dall’Agenzia Nazionale che invece è il soggetto al quale è affidato per legge in via esclusiva l’incarico di curare la destinazione dello stesso. Da ciò ne deriva che il soggetto che dovrà rendicontare sul patrimonio dal momento in cui è stato emesso il decreto di confisca definitiva è il MEF e non l’ANBSC e men che mai il suo coadiutore. Il rendiconto del coadiutore ha una finalità giuridica nell’ambito del procedimento e non è un documento di finanza pubblica. A questo punto- conclude- è spontaneo chiedersi se non si provi a raggiungere due obiettivi: non corrispondere il compenso dovuto ai coadiutori e contemporaneamente scaricare su di essi la responsabilità di una gestione che agli stessi non dovrebbe riguardare”.

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