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È morto Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica

Aveva 98 anni. Nel 1955 aveva fondato il settimanale l'Espresso

Pubblicato:14-07-2022 11:28
Ultimo aggiornamento:14-07-2022 18:24

EUGENIO_SCALFARI
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ROMA – È morto Eugenio Scalfari. Aveva 98 anni. È stata ‘la Repubblica‘, il quotidiano da lui fondato nel 1976 a darne notizia, con una grande foto di apertura accompagnata da un ‘Ciao Direttore’. E aggiunge: ‘Una vita da giornalista patriarca’ annunciando lo speciale a lui dedicato.

Scalfari era Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924, aveva iniziato da giovane la carriera di giornalista e scrittore, quando era ancora studente, poi la collaborazione con ‘il Mondo’ di Pannunzio e, nel 1955 fonda il settimanale l’Espresso. Venti anni dopo “l’avventura di ‘Repubblica’ che cambia per sempre la storia dell’informazione italiana”, come riporta il quotidiano stesso.

ADDIO ‘GRAND HOTEL’, LA SUA VITA ‘ESTESA’ E LA POESIA DELLA FINE

Sono stato più esteso che profondo. Non ho conosciuto né vette né abissi, ma vasti altipiani”. Così due anni fa Eugenio Scalfari parlava di sé stilando lui stesso non solo una sorta di epitaffio della sua immensa vita, ma una sintesi di che cosa è il giornalismo, un’ultima lezione sul mestiere che amava e aveva insegnato a generazioni di giovani. Una vita ‘estesissima’ davvero: nello spazio, dall’amata Calabria di Vibo Valentia paese del padre, alla Liguria di Sanremo dove, nei banchi del liceo fece il primo incontro decisivo con Italo Calvino, che lo aiutò “a sbarazzarsi di Dio”; a Milano con il lavoro in Bnl e i primi rapporti con il mondo economico e finanziario che conta; a Roma, la città dove tutto è accaduto, la politica, il giornalismo, gli amori, la fine.


‘Estesissimo’ anche nel tempo Scalfari: se ne è andato a 98 anni seguendo, e contribuendo a farla, un pezzo di storia dell’Italia. Il suo tempo è stato frenetico e alla fine lentissimo. Si è preparato alla morte frequentandola nei pensieri da molti anni: “Della vita è interessante anche la vecchiaia, quando i ricordi, a lungo covati, rompono il guscio”, quei ricordi che “non hanno più né artigli né denti”, raccontava ai suoi colleghi scrittori Merlo e Gnoli in ‘Grand Hotel Scalfari’, nel 2019.

Titolo felicissimo, ‘Grand Hotel’ di lusso quello di Scalfari, ricco di pensieri, cultura, incontri, amori. Infatti era frequentatissimo, da politici, intellettuali, giornalisti, con tutti gli arredi di chi sa che cosa sia e come si frequenta il potere. E ‘la Repubblica’ produceva i risultati di tutto questo, dalla sua fondazione nel 1976, sofferta ma voluta a tutti i costi, al passaggio di consegne ad Ezio Mauro venti anni dopo, senza però mai smettere di scrivere sul suo giornale e identificarvisi.

La sua impronta alla storia e al giornalismo Scalfari l’ha impostata già dai tempi del ‘Mondo’ di Pannunzio e dell”Europeo’, poi diventa decisiva dopo l’incontro con Carlo Caracciolo e la fondazione dell’Espresso, ma solo negli anni ’80 Scalfari irrompe e diventa protagonista della vita italiana con le grandi battaglie del suo quotidiano, da quelle contro il Craxi ‘Ghino di Tacco’, alle simpatie per il Pci di Enrico Berlinguer, che proprio a ‘la Repubblica’ presentò la sua ‘questione morale‘.

Poi De Mita, la guerra fra Mondadori e De Benedetti alla fine del decennio e gli anni ’90, con la stagione del berlusconismo al quale Scalfari dedicò tante battaglie senza quartiere. Nel frattempo allevava grandi giornalisti, scriveva libri, faceva politica alla sua maniera e ne conosceva benissimo tutti i meandri, dopo averla frequentata anche direttamente tra il 1968 e il 1972, nella sua esperienza da deputato come indipendente nelle liste del Psi. Fu anche nel Partito radicale, un cultore del liberalismo, accusato di simpatie fasciste nel ventennio e poi della militanza antifascista, il suo giornale sempre bollato come la voce della sinistra.

Era sì militante il direttore di ‘Repubblica’ ma nell’acume e nella radicalità dei pensieri, mai identificabili con un partito in particolare. E la vita privata. Estesa anch’essa, un’esperienza unica di grande amore per due donne, Simonetta De Benedetti che Scalfari sposa nel 1954, con cui fa due figlie, Enrica e Donata, e Serena Rossetti, conosciuta nel 1966, amata a lungo e che sposerà solo dopo la morte di Simonetta. Alle sue due donne dedica un libro sul Sessantotto, ‘L’autunno della Repubblica’: “Questo libro è dedicato a due persone. Una m’ha insegnato a non farmi corrompere dal potere, l’altra a non disperare della rivoluzione”.

Vita e opere di Scalfari, non si finisce mai, c’è stato davvero tutto. Ma negli ultimi anni della sua vita incontra il mondo interiore e sente l’urgenza di esplorarlo. Certo la politica resta sempre, ma la filosofia, la religione si affacciano nella sua vita declinante e poi pervadono i pensieri che si riversano in nuovi libri, come ‘L’uomo che non credeva in Dio‘ (2008), ‘L’amore, la sfida, il destino’ (2013), fino all’incontro con Papa Francesco e ai colloqui intensissimi con lui raccolti poi nel ‘Dialogo tra credenti e non credenti’. Il Dio di Scalfari, “un essere caotico che crea forme”, aveva un’attrazione speciale per lui alla fine, rappresentava la curiosità di ciò che sfugge al controllo della ragione: “Mi illudo di credere che non ci sia niente che io non sappia di me. Ma so che non è così, so che l’introspezione, per quanto vada a fondo, non rivelerà tutto ciò che esiste nell’intreccio di corpo, mente e inconscio”.

La vita estesa di Scalfari si chiude quindi in profondità e un po’ anche nel mistero, con una stagione spirituale che lo accompagna fino alla fine in serenità e poesia: “La poesia è diventata per me il solo modo di accarezzare me stesso, di consolarmi, di esistere”, dice descrivendo i suoi ultimi anni e accompagnandosi alla fine.

IL RICORDO DE ‘L’ESPRESSO’

“Quella sua idea di fare giornalismo, con le battaglie politiche, culturali e sociali, ha modificato la nostra vita, e sicuramente ha migliorato la mia vita professionale. E il dolore per la sua scomparsa è profondo non solo in me ma in tutta la redazione de L’Espresso“. Questo il ricordo del direttore del settimanale ‘L’Espresso’ Lirio Abbate a nome anche di tutti i suoi redattori.

“Abbiamo perduto il fondatore, il padre di questo giornale, ‘il Direttore’ come l’ho sempre chiamato per il rispetto professionale e per la stima. Oggi è una giornata buia per questo settimanale, ma anche per l’intera stampa libera. E la commozione a ricordarlo mi assale – prosegue Abbate -, perché scrivendo di Lui in questa giornata di lutto e dolore, seduto al posto in cui Lui è stato tanti anni fa non è facile da contenere. E per questo voglio trasmettervi il valore non solo umano ma identitario che Scalfari ci ha donato e insegnato. ‘Il Direttore’ amava ricordare che L’Espresso era nato per affermare il valore dell’innovazione, d’un accordo produttivo tra gli imprenditori e i lavoratori per portare la sinistra democratica al governo del Paese, purché quella sinistra abbandonasse l’ideologia marxista e soprattutto le sue aberrazioni”.

Volevano una forza riformista, con libera Chiesa in libero Stato, capace di lottare contro la corruzione e l’evasione fiscale – ricorda l’attuale direttore del settimanale – . Nella stanza che occupo oggi ci sono due grandi fotografie appese alle pareti: nella prima è Lui, in piedi, sorridente, davanti a Carlo Caracciolo che ha in mano una copia de L’Espresso, scattata da Enrica Scalfari; la seconda è un incontro pubblico al Salone del Libro di Torino, al quale eravamo seduti l’uno accanto all’altro, per dialogare e analizzare i fatti del nostro tempo. Sono immagini che segnano questa vita, ma anche quella che verrà, la strada che percorreremo. Grazie ‘Direttore’ per quello che ci hai dato. Proseguiremo nel solco dei tuoi insegnamenti e delle tue idee, tenendo alta la bandiera del tuo giornalismo“. 

AL MINISTERO DELLA CULTURA MINUTO SILENZIO, TUTTI IN PIEDI PER SCALFARI

Un minuto di silenzio al ministero della Cultura per la morte di Eugenio Scalfari. A rendere omaggio al grande giornalista la platea che al Collegio Romano sta assistendo alla presentazione del Rapporto Federculture. I presenti, tra i quali il ministro della Cultura, Dario Franceschini, si sono alzati tutti in piedi.

FRANCESCHINI: “CON LA SUA OPERA HA SEGNATO LA STORIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA”

Eugenio Scalfari è stato un esempio di giornalismo civile e un profondo intellettuale che ha segnato con la sua opera la storia dell’Italia repubblicana. La sua scomparsa oggi lascia un vuoto incolmabile: è una voce e un pensiero che mancherà a tutti noi. Mi stringo al dolore dei famigliari, degli amici, della redazione di Repubblica e dei tanti colleghi che hanno visto in lui un maestro”, ha dichiarato il ministro della Cultura, Dario Franceschini.

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