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VIDEO | 35 anni con Mario Monicelli: ecco com’è sopravvissuta Chiara Rapaccini

L'arte, il femminismo, la politica e le vite vissute: Rapaccini si racconta alla Dire con il suo romanzo autobiografico: Mio amato Belzebù

Pubblicato:10-11-2023 14:02
Ultimo aggiornamento:10-11-2023 14:02
Autore:

Chiara Rapaccini
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Foto Fabrizio Troccoli

ROMA – Cantare a squarciagola, sotto palco, a un concerto degli Elio e le Storie Tese, ma anche ricevere, con classe e disinvoltura, quello che fu il Presidente Giorgio Napolitano. Conversare amabilmente con alte cariche dello Stato e mescolarsi naturalmente a ragazzi e ragazze, nel suo studio in via del Boschetto (a Roma), o nelle classi dell’Istituto Europeo di Design, dove insegna illustrazione per bambini. Questa è Chiara Rapaccini, artista e scrittrice che sfugge a qualsiasi tipo di definizione, se non una: quella di essere una donna ‘oltre’: oltre le etichette, oltre il tempo, oltre a qualsiasi contesto possibile.
L’occasione per tornare a parlare di lei è il romanzo autobiografico ‘Mio Amato Belzebù’, uscito da qualche settimana per la casa editrice Giunti. Rapaccini racconta di lei, di Mario Monicelli, della loro vita insieme e, contemporaneamente, restituisce a chi legge la fotografia di un Paese passato, tra cinema e politica.


A soli 20 anni, nel 1975, ha incontrato Mario Monicelli, che di anni ne aveva 60: per lui ha gettato il cuore ‘oltre’ agli ostacoli. Femminista, figlia dei fiori, illustratrice e giovanissima editrice (ha fondato Fatatrac insieme a Matteo Faglia e Adriano Conte), Chiara ha lasciato tutto per amore. Da Firenze, dove viveva, studiava e lavorava e dove Monicelli ha girato Amici Miei, ha deciso di seguire il regista a Roma. Una favola, si potrebbe pensare. La dolce vita, il cinema, gli scrittori. Eppure per Rapaccini è stato un cammino lungo e complesso.


“Come si veste una ventenne a una cena informale a casa di Laura Betti?” e ancora, “Cosa ci fa una ragazza troppo giovane a cena con degli intellettuali troppi vecchi?”. Intellettuali, per capire, come Moravia, Comencini e Scola. Giganti di un’epoca che diventeranno affetti profondi.
“Io che ci faccio qui” è il refrain che risuona pagina dopo pagina, racconto dopo racconto. Uno stato, costante e continuo, a cui però ha sempre reagito.
‘Oltre’ il cinema, Rapaccini è diventata la pittrice, la scultrice e la scrittrice che avrebbe voluto essere, senza mai farsi schiacciare o risucchiare da quel mondo in cui facilmente avrebbe trovato il suo posto. Essere la ‘compagna di’, per la ragazza fiorentina in marcia nei cortei femministi, non sarebbe stato possibile. “L’unico modo possibile per sopravvivere a tutto questo, era rimanere fedele a me stessa”, racconta all’Agenzia Dire.

Ecco allora che oltre all’amore, immenso, per Mario Monicelli, Rapaccini ha da subito dichiarato di amare se stessa, moltissimo. La vocazione per l’arte, a cui mai si è sottratta, l’ha certamente aiutata a restare, a far uscire la sua voce, anche là, vicino alla commedia italiana intrisa in quegli anni di maschilismo, machismo e patriarcato.
“Dopo 13 anni dalla morte di Mario, ho pensato fosse il momento giusto per fare un bilancio della mia vita, prima non ero pronta. Con ‘Mio amato Belzebù’ chiudo un capitolo: finalmente ho sistemato il subbuglio di questi 35 anni trascorsi insieme”.
L’incontro negli studi della Dire si conclude parlando della politica nell’arte, oggi, e dell’immobilismo del cinema italiano contemporaneo. Una conversazione ‘oltre’ il romanzo che si chiude aprendo riflessioni necessarie.

LA VIDEO INTERVISTA A CHIARA RAPACCINI

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