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L’attenzione del Cts per il ‘dossier scuola’: un lungo lavoro

Intervento a cura di Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico

Pubblicato:09-12-2020 09:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:43
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ROMA – La lettura degli stralci di verbale del CTS, oggi disponibili in rete per la consultazione, ci fa comprendere come la percezione del “rischio scuola” sia evoluta nel tempo, e come la scarsa conoscenza di dati, di letteratura scientifica, di indagini o ricerche sul tema abbia influito nelle decisioni prese di volta in volta dal Comitato Tecnico Scientifico.

Un rapido excursus di quei verbali serve a comprendere come, ex post, sia facile esprimere giudizi critici sulle decisioni prese nel passato ragionando con il “senno di poi”, o partendo dalle conoscenze scientifiche più recenti e adattandole alle decisioni prese mesi fa.

Il dossier scuola è stato affrontato in ben 40 sedute del CTS sulle 131 che si sono tenute e sin dalla prima riunione del CTS, il 7 febbraio 2020, emerse l’ipotesi di prevedere la quarantena per gli studenti (prevalentemente di nazionalità cinese) che rientravano dalle vacanze in Cina o nei paesi del lontano oriente.


Le indicazioni di fare la quarantena derivavano dall’evidenza dei primi casi importati con i due turisti di Wuhan ricoverati allo Spallanzani il 28 gennaio.
L’individuazione dei primi due casi di COVID 19 rese evidente la necessità di rallentare la diffusione del virus dalla Cina bloccando, ad esempio, i voli e mettendo in quarantena tutti coloro che arrivavano in Italia da quel paese.
L’intelligente intuizione del Ministro Speranza di bloccare i voli dalla Cina fu minata dal fatto che nessun altro paese decise di prendere la stessa decisione, per cui centinaia di migliaia di persone provenienti dai paesi in piena epidemia arrivarono per via aerea anche in Italia attraverso triangolazioni di volo su aeroporti dei paesi vicini.

Nelle prime fasi dell’epidemia i matematici e gli epidemiologi, in tema di “rischio scuola”, suggerivano che le aggregazioni scolastiche avrebbero contribuito alla crescita dell’indice di trasmissione, l’ormai ben noto Rt, di 0.3/0.4, un dato assolutamente incompatibile se rapportato al fatto che 1 è il limite oltre il quale la diffusione dell’epidemia ha un veloce incremento.

E’ a questo proposito importante ricordare che a quell’epoca non erano state introdotte tutte le misure di controllo e contenimento della diffusione del virus che nei mesi successivi furono rese disponibili. Pertanto l’unica ipotesi percorribile per contenere la diffusione del virus fu all’epoca quella di chiudere le scuole, decisione che fu presa il 4 marzo con una indicazione precisa al governo: “tutte le scuole vanno chiuse, e per avere una efficacia nel provvedimento la chiusura deve essere di durata prolungata”.

Qualche giorno dopo il 9 marzo il Governo, in ragione della drammatica evoluzione dell’epidemia decise il lock down nazionale.

Un mese dopo (3,4,9 aprile) in pieno lock down il CTS, in ragione dell’andamento dell’epidemia, confermava la necessità di mantenere chiuse le scuole; il picco epidemico era stato raggiunto, e la curva stava scendendo, ma l’incertezza dell’ipotesi di un nuovo incremento di 0.3/0.4 con la riapertura impose la decisione di mantenere chiuse le scuole sino al termine dell’anno scolastico.
Unica eccezione fu quella di tenere l’esame di maturità in presenza; esame che si svolse per 500 mila studenti senza particolari problemi pur adottando le nuove stringenti regole di controllo e protezione dal virus: mascherine obbligatorie, distanziamento e igiene delle mani.

Pur con le scuole chiuse, sin dalla fine di aprile il CTS iniziò a discutere le ipotesi di riapertura che sarebbe avvenuta a settembre e che avrebbe dovuto essere in presenza e, ovviamente, in piena sicurezza per gli studenti e gli operatori, ben consapevoli che le indicazioni che il Comitato dava per il rientro in sicurezza mal si conciliavano con l’esistente sistema scolastico nazionale e le sue precarie risorse strutturali, umane e materiali.

I quattro pilastri su cui basare le attenzioni per i piani di riapertura ponevano tutti enormi problemi.

L’intero settore della sanità scolastica era stato negli anni totalmente abbandonato; un abbandono che si inseriva in un altrettanto deficitario sistema nazionale di sanità pubblica.

Le strutture scolastiche erano assolutamente deficitarie per tipologia, spazio pro capite, disponibilità di arredi, strumentazione tecnologica, digitalizzazione e attrezzature informatiche.

I trasporti pubblici locali, decisamente deficitari soprattutto nelle città metropolitane, ed in particolare nelle ore di punta durante le quali la movimentazione di qualche milione di studenti incideva notevolmente sui flussi di traffico del TPL.

Le risorse umane, annoso problema dei docenti nei ruoli e dei precari oltre al personale ATA, di cui soffre cronicamente la nostra scuola, aggravato da una età media del personale docente e non decisamente molto alta.

Tutti gli elementi necessari ad immaginare un ritorno in sicurezza dovevano essere ripensati e riorganizzati; non c’era nulla, tra maggio e giugno, che lavorasse in favore del ritorno in sicurezza a scuola.

Con questi scenari e queste risorse il CTS si è confrontato suggerendo numerose indicazioni atte a ridurre il rischio di trasmissione del virus, dando indicazioni per rendere compatibile il ritorno a scuola secondo gli standard raccomandati dalle Agenzie Internazionali.

Il primo dossier sul ritorno a scuola venne prodotto il 18 di aprile con indicazioni relative ai trasporti pubblici per i lavoratori e gli studenti.

Nelle sedute successive sono stati affrontati i temi della riorganizzazione delle aule scolastiche con la necessità di prevedere banchi singoli distanziati di un metro dalle rime buccali, l’obbligo delle mascherine per gli studenti e il personale della scuola, inclusi i DPI per studenti in condizioni particolari (non udenti), la disponibilità di dispenser di disinfettanti all’interno degli spazi scolastici, le mense, i trasporti da e per la scuola, il controllo della temperatura, la gestione dei casi di covid 19 intra scolastici e extra scolastici, il confronto con la comunità scientifica internazionale ed i paesi a noi più vicini.

Si è arrivati a settembre quando, in coincidenza della riapertura delle scuole, ci si è posti il problema delle elezioni dei presidenti di 6 regioni, le elezioni amministrative in 1134 comuni oltre che il referendum nazionale.

Nella seduta del 19 maggio il CTS diede indicazione di tenere le elezioni all’inizio del mese di settembre in ragione della data prevista per l’inizio del nuovo anno scolastico, che avrebbe dovuto essere il 14 settembre.

Il governo ha deciso di tenere le consultazioni elettorali nella terza settimana di settembre, scadenza che ha imposto a sei regioni coinvolte nella consultazione regionale di posticipare l’inizio dell’anno scolastico.

Nelle settimane successive ci si è trovati di fronte a situazioni a macchia di leopardo relativamente all’apertura o chiusura delle scuole, dal momento che in numerose regioni i presidenti di regione davano indicazioni di chiudere o aprire le scuole in modo autonomo e non coordinato con il centro.

Si è così arrivati al DPCM del 18/10 che indica per le scuole secondarie di secondo grado forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica incrementando il ricorso alla didattica digitale integrata che rimane complementare alla didattica in presenza modulando la gestione degli orari di ingresso e uscita degli alunni.
Il DPCM del 24/10 indica l’adozione, per le scuole secondarie di secondo grado di forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica, incrementando il ricorso alla didattica digitale integrata per una quota pari ad almeno il 75% delle attività modulando ulteriormente gli orari di ingresso e uscita degli alunni.

Con il DPCM del 3 novembre si danno indicazioni restrittive per la scuola imponendo per le scuole superiori il 100% delle attività svolte attraverso il ricorso alla didattica digitale integrata (salvo l’uso dei laboratori). lo stesso DPCM prevede all’art 3 comma f l’interruzione della scuola in presenza anche per gli alunni delle scuole secondarie di primo grado a partire dal secondo anno.
Il DPCM del 3 dicembre prevede infine la riapertura delle scuole superiori il 7 di gennaio, sollecitando la creazione di tavoli provinciali coordinati dai Prefetti per la soluzione della gran parte dei problemi che rendono complesso il ritorno in sicurezza degli studenti a scuola.
Sin dalla riapertura dell’anno scolastico il CTS ha comunque espresso una posizione di deciso sostegno alla scuola in presenza laddove le condizioni di sicurezza fossero compatibili, considerando che, alla luce dei dati epidemiologici disponibili, le misure messe in atto in tutte le scuole, le evidenze dimostrate dalla comunità scientifica internazionale nonché’ le decisioni in materia di frequenza scolastica prese da numerosi paesi dell’UE, gli indicatori mostrano un basso livello di contagio tra la popolazione scolastica e che il rischio di mantenere a lungo i ragazzi con il metodo della DAD è ben maggiore dal potenziale rischio che possa essere corso a scuola.

Il pensiero e le indicazioni del CTS non si sono adattate alle esigenze della politica, come qualche superficiale osservatore vorrebbe far rilevare, muovendo da posizioni di chiusura estrema a indicazioni di decisa apertura. Quello che si è modificato, oltre alle conoscenze sulle capacità di trasmissione del virus, è il conteso nel quale oggi potremmo essere in grado di accogliere i nostri ragazzi in ambienti che consideriamo relativamente sicuri, nella piena consapevolezza che il “rischio zero” non esiste in nessun ambiente pubblico o privato che sia, stante l’alta diffusione del virus.

Per raggiungere un obiettivo che noi tutti consideriamo una priorità assoluta per il paese, ci troviamo oggi nella difficile condizione di delegare agli Uffici Territoriali del Governo la responsabilità di trovare misure idonee che possano facilitare il ritorno dei nostri studenti in presenza a scuola; quelle stesse misure che avremmo dovuto identificare sin dal mese di maggio, ma che per varie ragioni non hanno trovato adeguata risposta.

Noi tutti abbiamo fiducia nella capacità dei Prefetti di svolgere questo nuovo difficile lavoro di concertazione, dobbiamo solo sperare che altre emergenze, alle quali gli stessi Prefetti sono chiamati a rispondere, non facciano collocare i tavoli di coordinamento della scuola ad ud un livello di priorità inferiore rispetto ad altre emergenze.

Ci auguriamo infine che il sistema nazionale di Protezione Civile, che per legge ha la competenza di coordinare le emergenze nazionali, sia in grado di facilitare e supportare il lavoro degli Uffici Territoriali del Governo.

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