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In Italia i suicidi rappresentano il 12% delle morti tra i giovani

La psicoterapeuta Roberta Bommassar: “E’ una generazione disillusa, abbiamo cresciuto ragazzi più fragili”. Domani è la Giornata internazionale per la prevenzione del fenomeno

Pubblicato:09-09-2022 14:04
Ultimo aggiornamento:09-09-2022 14:04

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Alessandro, il 13enne di Gragnano morto qualche giorno fa dopo essere precipitato dal balcone di casa, è solo l’ultimo dei casi che le cronache annoverano tra i suicidi di giovanissimi. Mentre sulla sua morte sono ancora in corso le indagini, i numeri raccontano un fenomeno tutt’altro che sporadico. Ogni anno, infatti, quasi 46.000 bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita in tutto il mondo. Si tratta di circa uno ogni undici minuti. Il suicidio è la quinta causa di morte più comune tra gli adolescenti dai 10 ai 19 anni e la quarta nella fascia d’età dai 15 ai 19 anni (addirittura la terza se si considerano solo le ragazze). In Italia, in termini relativi, i suicidi rappresentano il 12% delle morti tra i giovani di 15-29 anni, e tra gli uomini di questa età sono la seconda causa di morte più frequente, con un numero di vittime analogo a quello causato dai tumori (13% del totale) e inferiore solo a quello causato dagli incidenti stradali (35% del totale). L’incidenza del suicidio è quindi particolarmente grave tra i giovani e per questo il 10 settembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale per la prevenzione del suicidio, con l’obiettivo di accendere una luce su un fenomeno spesso trascurato ma che nel mondo è responsabile di circa 800.000 morti, una ogni 40 secondi.

“Rispetto a tutti gli altri indici legati al disagio giovanile, come per esempio i dati sulla criminalità che negli ultimi 10-15 anni sono sostanzialmente in flessione, i suicidi non seguono lo stesso trend- spiega Roberta Bommassar, psicologa psicoterapeuta e referente del Gruppo di lavoro infanzia e adolescenza nel Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop)– questo vuol dire che la sofferenza interiore dei ragazzi, in media, si mantiene piuttosto elevata rispetto alla manifestazione del disagio attraverso dei comportamenti antisociali”.

I MOTIVI SONO VARI

Questa generazione vive un periodo complesso in cui c’è molta disillusione rispetto al futuro, sta venendo meno la speranza- spiega Bommassar- se, infatti, le generazioni precedenti hanno in qualche modo fatto dei passi avanti verso il benessere e la conoscenza, in tutti i campi, ai ragazzi di oggi è richiesto, al contrario, di fare un passo indietro, ad esempio rispetto all’utilizzo delle risorse economiche ed ecologiche del pianeta. E’ una generazione che vive tante incertezze: la salute, la guerra, il lavoro. La vita professionale, in particolare, apre scenari di grandissima incertezza per quanto riguarda la realizzazione del sé. Si può certamente dire che i compiti evolutivi a cui sono chiamati questi ragazzi sono più complicati, faticosi e complessi di quelli delle generazioni passate”. Per la psicoterapeuta “abbiamo cresciuto dei ragazzi più sensibili e questa sensibilità, associata alla complessità dello scenario attuale, crea anche più fragilità. I ragazzi di questa generazione esprimono di più il proprio malessere psicologico”.


La vicenda di Alessandro, per esempio, “racconta di un disagio, che si è manifestato in un gesto autolesivo collegato al confronto tra il singolo e il gruppo- continua Bommassar- il gruppo, infatti, ha una valenza e un potere che vanno al di là delle singole identità che lo compongono, è un soggetto che può incutere timore e mettere in soggezione, soprattutto se il confronto è legato alla tematica della valutazione del sé. Il gruppo è un grande attivatore, nel bene e nel male- osserva la psicoterapeuta- e quando il confronto è molto sbilanciato, come nelle dinamiche di bullismo, diventa una lotta tra Davide e Golia”.

AD AMPLIFICARE IL TUTTO C’E’ IL RUOLO DEI DISPOSITIVI ELETTRONICI

Ad amplificare tutto questo c’è poi il ruolo dei dispositivi elettronici. “Uno strumento potente per controllare l’altro ed entrare nella sua vita- spiega Bommassar- se il bullismo, infatti, è sempre esistito, di diverso oggi c’è la presenza pregnante di smartphone e tablet che consentono di esercitare il proprio aspetto distruttivo nei confronti dell’altro nascondendosi dietro lo schermo, la distanza fisica e, a volte, anche dietro l’anonimato. E soprattutto si è persecutori onnipresenti perché si può interagire a qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi luogo ci si trovi. Tutto ciò può rendere ancora più evidenti gli effetti di comportamenti che una volta erano meno distruttivi”.

COME INTERVENIRE?

“Innanzitutto facendo prevenzione- dice Bommassar- quindi, ad esempio, mettendo a disposizione uno psicologo di base, nelle scuole e nei servizi territoriali, che possa intercettare il malessere dei ragazzi. La politica dovrebbe riflettere e investire su questo che sarebbe un importante investimento per il futuro. Con i giovani, infatti, nel momento in cui sono loro stessi a cercare aiuto, basta anche un intervento breve che li aiuti a vedere uno spiraglio nel buio in cui sono entrati”. Bisogna però “insegnare ai ragazzi a chiedere aiuto- dice la psicoterapeuta- e questo lo si fa innanzitutto depatologizzando l’accesso a certe figure, come appunto quella dello psicologo. Ai giovani serve un adulto competente in termini emotivi che sappia quali sono i meccanismi di funzionamento dell’adolescenza e sappia lavorare con loro così che possano pensare che la società è disseminata di una rete di aiuto di facile accesso. Dobbiamo pensare- conclude Bommassar- che stiamo andando verso una complessificazione della realtà, non possiamo quindi immaginare che avremo sofferenza zero, quello che dobbiamo fare è, invece, imparare a gestirla”.

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