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Enuresi, Sip: “Ne soffre fino al 20% dei bambini di 5 anni”

Ancora oggi molti pazienti enuretici non ricevono un inquadramento diagnostico e un trattamento adeguato a causa di un atteggiamento attendista dei medici e dei genitori che considerano il sintomo irrilevante e di sicura risoluzione nel tempo

Pubblicato:09-07-2020 13:59
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:37
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sipps
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ROMA – “L’enuresi è tra le condizioni cliniche più frequenti in età pediatrica, con una prevalenza del 10-20% nei bambini di 5 anni, del 5-10% in quelli di 10 anni e del 3% nei ragazzi tra i 15-20 anni. L’incidenza è maggiore nei maschi rispetto alle femmine con rapporto 2:1, indipendentemente dalle differenze ambientali, socioeconomiche e culturali. Ma ancora oggi molti pazienti enuretici non ricevono un inquadramento diagnostico e un trattamento adeguato a causa di un atteggiamento attendista dei medici e dei genitori che considerano il sintomo irrilevante e di sicura risoluzione nel tempo”. A spiegarlo è la Società italiana di pediatria (Sip) che ha dedicato all’argomento il supplemento ‘Cangurini di Pediatria’ allegato al numero 6 della sua rivista ufficiale. 

Screening, diagnosi e gestione del problema nei bambini, i temi sviluppati lungo le 11 pagine dell’inserto. “A differenza di quanto normalmente ritenuto, l’enuresi non scompare con l’adolescenza, ma è ancora presente nello 0,5-1% dei pazienti adulti”, spiega la Sip. Parlare di enuresi in età pediatrica è importante “per il numero di bambini coinvolti, per la complessità della sua origine, per l’impatto che può avere sulla sfera psico-comportamentale del bambino, per migliorare la qualità di vita di chi ne è affetto e perché è un problema sottostimato”, scrivono i pediatri. 

“Il raggiungimento del controllo sfinterico rappresenta una tappa importante nella storia dello sviluppo psicomotorio del bambino, perché implica sia la maturazione di molteplici funzioni che l’interazione con il contesto sociale in cui il bambino è inserito- spiegano gli esperti- L’enuresi è una condizione stressante e limitante per il bambino e la sua famiglia, in grado di determinare effetti negativi profondi su benessere, autostima, comportamento e sulle interazioni sociali e la sfera emotiva. La causa principale non è da ricercarsi in generici motivi psicologici ma, al contrario, è proprio la condizione di enuretico che può comportare, se protratta nel tempo, problematiche di tipo psico-emotivo. La difficoltosa capacità di risveglio, in risposta al senso di ripienezza vescicale con conseguente sonno frammentato, determina inoltre una minore concentrazione diurna che impatta sulle performance scolastiche”. 


Ma che cos’è l’enuresi? “E’ definita dall’International Children’s Continence Society (ICCS) come una incontinenza urinaria intermittente durante il sonno. L’enuresi si può classificare in: primaria, quando non sia stato mai raggiunto il controllo minzionale notturno; secondaria, quando si ripresenta dopo un periodo asciutto continuativo almeno maggiore di 6 mesi- spiega la Sip- Sia nella enuresi primaria che in quella secondaria devono essere inoltre distinte le forme: monosintomatica (EM), in cui l’unico sintomo è rappresentato dalla perdita involontaria di urina durante il sonno in assenza di altri sintomi di disfunzione vescicale; non-monosintomatica (ENM), quando il letto è bagnato più di una volta per notte, e sono presenti uno o più dei seguenti sintomi di disfunzione vescicale: alterazione della frequenza minzionale (minore o uguale a 3, maggiore o uguale a 7 minzioni/die); incontinenza urinaria diurna di diversa entità; urgenza minzionale (improvviso e incontrollabile desiderio di fare la pipì); manovre di sostegno del piano perineale atte a contrastare le contrazioni detrusoriali e ad assicurare la continenza (inchino, pressione calcagno su perineo, gambe incrociate, saltelli); sensazione di svuotamento vescicale incompleto; mitto interrotto o necessità di fare pipì ravvicinate; minzione che avviene grazie al torchio addominale (minzione da sforzo); storia di pregresse infezioni urinarie”, sottolineano i pediatri. 

Cosa fare per migliorare la qualità di vita dei bambini con questa condizione clinica e delle loro famiglie? “Il compito del pediatra è proprio quello di avvicinarsi non all’enuresi ma al bambino enuretico- dicono gli esperti- cercando di dissipare i suoi dubbi, le sue perplessità, dando per quanto possibile certezze e facendo comprendere alle famiglie che il bambino va supportato, compreso e aiutato e, soprattutto, non va colpevolizzato e rimproverato”. Per quanto riguarda gli strumenti diagnostici, la Sip spiega che “la presa in carico del bambino con enuresi richiede due differenti livelli di intervento: il primo concerne il pediatra; il secondo riguarda lo specialista psicologo e/o neuropsichiatra infantile, qualora si evidenzi l’opportunità di approfondimenti specifici”. Importante la comunicazione positiva al genitore sull’integrazione dei diversi livelli di assistenza “nella gestione della problematica dell’enuresi- sottolinea la Società italiana di pediatria- un ruolo fondamentale viene sicuramente svolto dal pediatra che ha sostanzialmente tre compiti: definire il processo diagnostico e nel caso di una EM gestire la fase terapeutica. Inoltre, nel caso di una ENM, dovrà inviare il bambino/a o ragazzo/a ad un centro di II livello; modulare la terapia dell’EM; giocare un ruolo motivazionale positivo sia nei confronti del paziente che nei confronti della famiglia”. 

L’articolo completo è consultabile sul sito della Sip a questo link: https://docs.sip.it/2020/sito_sip/CANGURINO_6-2020_web.pdf


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